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FESTIVAL DI CINEMA

66esimo Festival di Cannes: “Un Château en Italie” di Valeria Bruni Tedeschi (In Concorso)

Con “Un Château en Italie”, la sua terza opera registica, la Bruni Tedeschi torna a Cannes, dove nel 2007 aveva ottenuto il Prix spécial du Jury nella sezione Un Certain Regard con il film “Actrices”

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Anno: 2013

Durata: 104’

Genere: Commedia/Drammatico

Nazionalità: Francia/Italia

Regia: Valeria Bruni Tedeschi

Creatura strana ed interessante, Valeria Bruni Tedeschi, attrice, autrice e regista di origini italiane naturalizzata in Francia, apparentemente fragile rispetto alla più nota sorella Carlà (ex first lady di Francia) ma in realtà estremamente selettiva e determinata nelle scelte professionali, non cessa di stupirci, nel bene e nel male: con il nuovo film presentato in concorso (unica donna in corsa per la Palma d’oro), Un Château en Italie, la sua terza opera registica, la Bruni Tedeschi torna a Cannes, dove nel 2007 aveva ottenuto il Prix spécial du Jury nella sezione Un Certain Regard con il film Actrices.

La pellicola ha molte ambizioni, forse troppe: raccontare una storia di famiglia (in parte dichiaratamente autobiografica, il cognome doppio – nel film Rossi Levi – , il fratello morto giovane, la mamma pianista, la decadenza lenta ed inesorabile di una famiglia di industriali del nord Italia), parlare d’amore in modo non convenzionale, rendere protagonista una casa ‘avita’, come luogo di memoria e ricordi d’infanzia; l’intento è buono e le idee tante ma il risultato si va perdendo nei meandri della narrazione, rendendola discontinua e a tratti faticosa, pur se sempre sincera. Le vicende di fratello e sorella inteneriscono, benché segnate da momenti crudi; le trovate brillanti spiazzano, in particolare (paradossalmente, essendo la questione tutt’altro che spassosa) quelle legate agli episodi sul tema della ‘fecondazione in vitro’, cui la protagonista si sottopone con il riluttante compagno nel disperato tentativo di avere un bimbo in età limite, e dalle quali nascono situazioni tragicomiche sia in clinica e sia presso le suore scandalizzate e ignare. Numerosi anche i momenti di malinconia: il matrimonio in ospedale, l’antico albero tagliato dopo la vendita della casa, i beni di famiglia perduti.

La regista, con l’aiuto della co-sceneggiatrice Noémie Lvovsky, costruisce personaggi decadenti e tragici – come l’amico d’infanzia indebitato e un po’ laido – o bizzarri ed imprevedibili – come Nathan, il ragazzo della protagonista, molto più giovane di lei, che si sente stretto nel mestiere di attore (nel ruolo Louis Garrel, fino a poco tempo fa vero fidanzato di Valeria)-, o lievi , ironici ed apparentemente garruli – come la madre pianista, tale nella finzione e nella realtà, interpretata da Marisa Borini. «Mi piacciono i disequilibri nei personaggi che descrivo, come nella vita – spiega Valeria – e sulla scena fanno più spettacolo come insegnano i maestri del teatro».  A chi le chiede se pensa che fare cinema sia terapeutico, la regista risponde: «È il lavoro ad essere terapeutico , ma la psicoanalisi è tutt’altra cosa».

Elisabetta Colla

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