Kamay, il documentario dei registi afghani Ilyas Yourish e Shahrokh Bikaran, verrà proiettato al Festival dei Popoli di Firenze il 5 novembre 2024. In questa occasione i registi saranno presenti in sala.
Kamay: la triste storia di una famiglia
Questo documentario racconta la storia di una famiglia Hazara sconvolta dal suicidio di una delle figlie, avvenuto nel 2017 in seguito alle molestie subite da un professore dell’università di Kabul. Kamay inizia con un testo introduttivo che riassume brevemente le persecuzioni storiche contro il popolo Hazara, a partire dalla fine dell’Ottocento. I membri della famiglia Khawari vengono presentati soltanto successivamente: i genitori, Younes e Hawa e i loro sei figli, tra cui Freshta, un’adolescente desiderosa di iscriversi all’università.
In una scena suggestiva, Freshta racconta sottovoce di aver scalato una montagna innevata per cercare la pianta di kamay, destinata a Zahra per il suo progetto di ricerca. La vediamo camminare faticosamente in salita, con un falcetto in mano, immersa nel silenzio della neve.
Kamay è una pianta selvatica e autosufficiente che si trova nelle montagne dell’Afghanistan centrale – ha spiegato Yourish, il co-regista e fondatore della Kamay Film in Afghanistan – è emblematica per gli Hazara, che devono avere un modo per sopravvivere senza nessuna delle risorse risparmiate per i loro connazionali urbani. La parola stessa è una testimonianza di resilienza e resistenza: l’identità Hazara della famiglia è fondamentale per comprendere la lotta della famiglia per la giustizia.
Il viaggio dei ricordi
La famiglia è sostenuta da Zohra, l’avvocato che li assiste nel caso. Gli sviluppi della vicenda legale vengono svelati grazie a delle telefonate frammentarie e i rari viaggi che Younes e Hawa intraprendono verso Kabul. Per raggiungere la capitale da Daykundi, la loro regione montuosa, affrontano lunghe giornate di viaggio su furgoni sovraffollati, percorrendo strade impervie tra le montagne innevate e superando numerosi posti di blocco talebani.
La voce narrante, quella di Freshta, guida lo spettatore all’interno di questa storia struggente, tra le pieghe di un paesaggio interiore ed esteriore. La storia di una famiglia che ha poco e che ha perso una delle cose più importanti: la figlia. Così il regista trasporta all’interno delle vite della famiglia dopo la perdita, in un’angosciosa traversata verso la giustizia. Freshta parla direttamente con la sorella, Zahra, che non c’è più, raccontando a lei – e agli spettatori- la loro quotidiana battaglia per la sopravvivenza e la giustizia. Il dolore della famiglia è trasmesso in maniera delicata dal regista. Lo si può notare nei paesaggi desertici, nei gesti quotidiani, nei silenzi che riempiono le loro giornate. Si percepisce nei pianti e nelle urla dei familiari quando ricevono gli effetti personali di Zahra.
Kamay: la realizzazione del documentario
Il documentario, realizzato nell’arco di sei anni, assume un aspetto drammatico se unito al colpo di Stato dei talebani del 2021. Yourish ha lasciato Kabul alla fine del luglio dello stesso anno, coordinando da Bruxelles l’evacuazione del suo team. La famiglia protagonista del film, i Khawari, è rimasta coinvolta nell’attentato suicida ad Abbey Gate, avvenuto nel caos dell’evacuazione stessa, riuscendo comunque a mettersi in salvo.
Sembra che il mondo ci abbia abbandonati, di nuovo – ha detto Yourish – ci rende tristi, ma non ci fa fermare. Per me è importante continuare a far arrivare al mondo le storie di resistenza e resilienza di coloro che sono rimasti indietro.
Il lungometraggio offre una riflessione intensa su cosa significhi sopravvivere in una terra sempre più segnata dalla violenza e dalla repressione.
L’inserimento in concorso di Kamay al Festival dei Popoli rappresenta un’occasione importante per amplificare queste voci e dare spazio a narrazioni di cui spesso si parla poco.