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66esimo Festival di Cannes: “Grigris” di Mahamat-Saleh Haroun (In Concorso)

La competizione ufficiale arriva in Africa con “Grigris”, spaccato intimo e civile di una piccola fetta di Ciad raccontata attraverso il suo singolarissimo protagonista

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il

 

Anno: 2013

Durata: 101′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Francia, Ciad

Regia: Mahamat-Saleh Haroun

 

Il Ciad e il suo rassegnato sfruttamento a passo di danza

La competizione ufficiale arriva in Africa con Grigris, spaccato intimo e civile di una piccola fetta di Ciad raccontata attraverso il suo singolarissimo protagonista. Il regista Mahamat-Saleh Haroun, per questa pellicola, si è ispirato a colui che ne è diventato protagonista, il giovane Souleymane Démé, scovato per caso mentre Saleh Haroun si trovava al FESPACO Film Festival in Ouagadougou…Assistendo ad uno show in un locale, il regista ha scoperto questo singolare danzatore. Affetto da un rachitismo ad una gamba, Démé ne ha fatto la punta di diamante di un ballare snodabile e aggraziato, al ritmo di una musica dance che trattiene ed espande l’energia di corpo e spirito tutta africana. Souleymane, alias Grigris (nome d’arte quando si esibisce), diviene il perno attorno al quale la macchina da presa fa ruotare il suo sguardo sulla porzione di spazio e tempo dominata dalla povertà, da un vivere che oscilla tra una pia rassegnazione, nella muta accettazione di una condanna alla quale è impossibile sfuggire, e il sogno di un riscatto, irrealmente legato ad ambizioni della cui impossibilità di realizzazione si è consci nel profondo. In questa piccola comunita’ Grigris spicca per grazia e purezza, agnello legato al sogno della danza, che abbraccia diverse croci. Oltre alla sua condizione fisica, la malattia del suo patrigno dispendiosissima per la povertà di casa rispetto al costo delle cure richieste. Per pagarle il giovane cerca di farsi assumere (e inevitabilmente, di dover dipendere) nella rete dei contrabbandieri di petrolio, che succhiano e disperdono il prezioso (non per gli africani, purtroppo) oro nero in differenti modalità: un riappropriarsi delle risorse del proprio territorio, sovraccaricato dall’ulteriore interno sfruttamento malavitoso, che non vale neppure un briciolo di riscatto rispetto allo sfruttamento economico ed ambientale delle nazioni terze e civilizzate su questa terra d’Africa.

Mimi (Anaïs Monory) è la luce che abbaglia il cuore del giovane ballerino, capace di catturare l’animo di questa splendida giovane prostituta, che sogna di diventare una modella. Quando il necessario doppio gioco del giovane nei confronti del boss della zona viene scoperto, Grigris e Mimi non possono far altro che fuggire. Tornati nel villaggio di Mimi, in mano alle donne mentre i maschi sono in tempo di raccolto, si consuma la giustizia nelle mani dell’essere femminile, dentro un’Africa più a misura di se stessa, morfologicamente ed esistenzialmente… Pur partendo da una prospettiva indubbiamente sui generis, consumando la storia in un’atmosfera da ‘thriller’ sicuramente privo di qualunque cliché sia di azione che di contenuti specifici, la pellicola non spicca nè visivamente, nè narrativamente per originalità nel suo complesso. Strutturalmente, la storia va per inerzia, sottratta pure ad un approfondimento di accrescimento di tensione. Il minimalismo, di fatto, è impersonale, non getta una luce specifica sulla realtà che descrive. Anche visivamente, la distanza della macchina da presa non si tramuta in una rivelazione: nemmeno nei momenti di ballo di Grigris, che rimangono seducenti di per se stessi. L’occhio non li trascende, non li penetra. La poesia ci arriva alla fine, nel bel riscatto femminile di questo ‘utopico’ e possibile governo delle cose da parte delle donne…l’unico novus di una visione decisamente piatta.

Maria Cera

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