Mefite, là dove la natura afferma vigorosa la sua forza l’uomo si avvicina con il dovuto timore, ne venera il mistero e – soprattutto – la rispetta.
Tale è la missione di Vito Santoli, presenza umana ormai rara nella valle d’Irpinia, che ossequiosamente si prende cura della Mefite di Rocca San Felice, piccolo lago sulfureo che con l’incessante ribollire rende il paesaggio intorno arido e inospitale e, secondo gli antichi, conduce al sonno eterno.
Là dove la vita sembra impossibile la dea Mefite veglia sulla fertilità e la dimensione femminile, generando un ecosistema prezioso fatto di gesti lenti e rara bellezza.
Tra sostenibilità e difesa dell’ambiente
Il cortometraggio di Beatrice Surano, in concorso al Festival Mente Locale 2024, prende vita grazie ad un cammino compiuto personalmente in Irpinia ed è un ottimo spunto per raccontare il dissidio tra la retorica della finta sostenibilità, intenta a deturpare il territorio a suon di speculazione e orride pale eoliche, e la difesa dell’ambiente nella sua essenza atavica, reso dallo sguardo inerme di persone e animali, ormai rassegnati a una contemporaneità desertificante.
Le luci rosse delle turbine rompono la sacralità della notte e un sibilo sordo e sinistro riempie gli spazi. Intorno, un’umanità estraniata e attempata si muove all’interno di luoghi ove i vecchi mestieri non sono più praticabili, i ritmi cambiano e la terra – nella sua connotazione più ancestrale – soccombe. Le distese di grano e i centri abitati lasciano posto alla tecnologia eolica e le comunità locali vengono meno. Tuttavia, l’ostinazione del giovane Vito tenta di sovvertire tali dinamiche e si erge a baluardo dell’ordine naturale.
L’idea di un ecologismo sfrenato che si beffa di qualsiasi morale e si prostra a servizio del capitalismo selvaggio, pronto a rivendere qualsiasi principio quale categoria di marketing, sono condensati con sensibilità e tatto in un racconto documentaristico che alterna voci autoctone, e dunque coinvolte, e notiziari sterili a servizio del sistema.
Qua e là maschere danzano beffarde, specchio di riti secolari che esorcizzando minacce future regalano fili di speranza.
L’Irpinia può vivere ancora, lo deve al vigore gentile di chi compie azioni apparentemente inspiegabili. Le mani di Vito che steso a terra accarezza il suolo e quasi si aggrappa a esso sono un’immagine di resistenza estrema. L’accudimento e la cura non fanno rumore e forse da lì si ripartirà, alla fine di tutto.
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