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Interviews

‘Rabia’, il volto disumanizzato del radicalismo

Un’intervista esclusiva con la regista Mareike Engelhardt

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Abbiamo incontrato Mareike Engelhardt in occasione del Festival di Roma, dove presentava Rabia, film di cui ha audacemente curato la regia.

Rabia non è un film facile e non già per la cruda realtà narrata schiettamente dalla cinepresa di Mareike, quello dei campi di reclutamento dell’organizzazione terrorista jihadista del Daesh, dove ha compimento la missione esiziale della giovane Jessica, partita da Parigi in compagnia della sua migliore amica, forse da lei persuasa nell’intraprendere un’avventura che la condurrà in Siria, affidata alle cure di Madame, capo della comunità femminile del gruppo terroristico.

Mareike, quanto tempo hai impiegato nella ricerca del fenomeno del radicalismo islamico, in particolare quel che concerne la vita delle donne all’interno di un contesto come quello del Daesh? Immagino sia stata una sfida complicata. Quali fonti ti sono state più utili?

La mia ricerca è durata circa cinque anni. Ho iniziato con alcune conversazioni, soprattutto con giovani donne che erano tornate dalla Siria. Questo risale al 2016, credo. Mi raccontavano quello che avevano fatto laggiù, le ragioni per cui erano partite, com’era organizzata la vita lì. Inoltre, ho letto molti libri e reportage. Due giornaliste in particolare, che in Francia sono specializzate di jihadismo femminile, mi hanno aiutato enormemente.

Qual è stato l’impatto emotivo delle scene più drammatiche? Pensi che Rabia possa suscitare un dibattito sullo stato delle donne nel contesto estremista?

Sì, è proprio uno dei motivi per cui ho voluto girare questo film. Mi interessa raccontare le storie delle donne in tutta la loro complessità, non solo nelle situazioni classiche come l’amore o l’amicizia, ma anche come combattenti, esecutrici, persino torturatrici. Questo permette di rappresentare una femminilità più completa, mostrando ruoli che, come hai detto, sono presenti anche in sistemi estremisti. Credo fermamente che questo film possa e debba generare forti emozioni. Sarebbe preoccupante se non fosse così. È un tema che merita un dialogo profondo, soprattutto perché non si parla abbastanza del ruolo che queste donne hanno ricoperto in quei sistemi. Le testimonianze spesso descrivono le mogli come più spietate dei mariti. Credo sia importante che questa realtà venga alla luce.

Sei molto legata alla realtà francese, quindi vivi in prima persona anche le difficoltà di integrazione e il fenomeno del radicalismo. Come pensi che questo si rifletta nella vita quotidiana, e cosa vorresti dire a proposito dell’argomento?

È una domanda complessa, ma durante la mia ricerca ho capito che molte delle donne che sono partite per la Siria non avevano alcuna conoscenza dell’Islam, né parlavano arabo o provenivano da paesi arabi. Questo dimostra che il fenomeno del radicalismo è molto più complesso e non ha sempre radici religiose. Spesso, le motivazioni sono molto più personali: desiderio di fuga, insoddisfazione o la ricerca di qualcosa di diverso. Vorrei che si guardasse a questi fenomeni con maggiore apertura, cercando un dialogo costruttivo che vada oltre le accuse e si concentri invece sulle dinamiche sociali più ampie.

Hai già in mente un nuovo progetto? Di cosa ti piacerebbe parlare nel tuo prossimo film?

Penso di aver chiuso con il tema della jihad e della violenza, ma non ho finito con le storie delle donne. Mi interessa molto la psicologia femminile e il modo in cui il corpo e la mente si esprimono e si trasformano. Vorrei affrontare il tema del desiderio femminile, che credo sia ancora poco esplorato nel cinema. È un argomento delicato e complesso, ma penso che sia importante.

  • Anno: 2024
  • Durata: 1h 34m
  • Genere: thriller/drammatico
  • Regia: Mareike Engelhardt