Glory Hole è un film del 2024, diretto da Romano Montesarchio al suo esordio in un lungometraggio di finzione. Presentato in anteprima al Shanghai International Film Festival il 9 giugno 2024 e uscito nelle sale italiane il 18 luglio 2024.
Ha ottenuto il Premio della Critica SNCCI il 26 ottobre al Festival del Cinema di Castelvolturno.
Glory Hole, la trama
Uno spazio bianco apre la visione del film, una stanza minimalista, immersa nella luce che richiama all’empireo e da una colonna bianca, immacolata, si apre un varco. Un uomo collegato a un respiratore, quasi nudo, compie il passo per uscirne.
Da una scena così metaforicamente forte, il protagonista Silvestro (Francesco Di Leva) cerca una via di fuga dal piano più alto di questo palazzo. Fugge da qualcuno, da qualcosa. Cerca riparo attraverso stradine sterrate, ma gli ostruiscono il passaggio cumuli di immondizie. Chiede aiuto al suo amico sacerdote Peppino (Mario Pirrello) che sembra già sapere il motivo della sua fuga e lo conduce da Lello (Roberto De Francesco), amico e proprietario di un night club. L’ambiente del club, l’atmosfera in penombra, protetta da specchi oscuranti non rassicura però Silvestro che è stravolto, spaesato, impaurito. Tutti sembrano già sapere cosa è accaduto, ma nessuno ne parla. L’unica via di uscita è nascondersi in un bunker, in un sotterraneo ed attendere.
Francesco Di Leva e Roberto De Francesco in Glory Hole
Tra immagini a tinte forti, passando dal verde accesso al rosso, Silvestro percorre i corridoi della nuova terra che lo ospiterà. Un uomo terrorizzato e sconvolto che si ritrova in una stanza asfittica, sporca, claustrofobica. Solo attraverso delle telecamere sull’esterno e dei buchi nel muro riesce a guardare fuori, un piccolo spaccato di mondo, mentre i suoi pensieri iniziano a confondersi tra realtà, allucinazioni e ricordi. Primo fra tutti l’incontro con Alba (Maria Carla Casillo), una visione tinta di bianco, un banchetto per una ricorrenza, quasi preludio a un matrimonio, dove conosce la giovane ragazza, restando folgorato da una bellezza così pura e fresca. Tanti flashback durante la solitudine nel bunker svelano i loro successivi, furtivi, incontri. Alba è infatti la figlia del boss Sarnese (Gaetano Di Vaio), capo di Silvestro e da cui teme di essere scoperti.
Francesco Di Leva, Glory Hole
Nel prolungarsi dell’isolamento di Silvestro emergono inquietudini, tormenti e sensi di colpa su ciò che è accaduto, svelata allo spettatore solo alla fine, dallo stesso Silvestro che, teatralmente, parla guardando lo spettatore negli occhi e confessa.
Glory Hole, analisi
“Alla fine a tutti manca qualcosa”
cit. Silvestro (Francesco Di Leva)
Il primo lungometraggio di finzione di Romano Montesarchio è quasi un’opera enciclopedica. Glory Hole è intenso, intriso di messaggi profondi, citazioni cinematografiche, letterarie ed artistiche. Attraverso la trama, quella di un camorrista che decide di scappare e nascondersi, il regista compie un lavoro di analisi psicologica e introspettiva dell’essere umano in senso più ampio. Il gesto di fuggire da responsabilità e conseguenze è un atto che quasi sempre porta a fuggire da se stessi. La scelta di chiudersi, autorecludersi e ancor più toccare con mano i propri dolori è prendere coscienza e consapevolezza.
La discesa agli inferi
La discesa agli inferi, come allusivamente può sembrare entrare nei corridoi del bunker, è un passaggio necessario per il protagonista. Solo di fronte alla propria coscienza, attraversandone il dolore, può arrivare alla salvezza, al perdono, alla verità. A trovare se stesso. Il regista usa molti strumenti per enfatizzare questo passaggio e questo viaggio. Con la nascita di Silvestro, metaforicamente, in una stanza inondata di bianco e luce, come un foglio bianco su cui ognuno di noi scrive la propria vita. L’incontro con Alba, e in senso più ampio con la bellezza che suscita amore, che scaturisce un sentimento.
Bellezza e amore come salvezza
“Non mi meritavo un po’ di bellezza?”
cit. Alba Sarnese (Maria Carla Casillo)
Chiara citazione a Dostoevskij, alla capacità di vedere il bello, emozionarsi, amare. Probabilmente il nome Alba è stato scelto per citare l’alba di un nuovo giorno, un nuovo inizio, quello che sarebbe potuto essere per Silvestro. I ricordi che affiorano nel bunker dei loro incontri furtivi sono dolci, musicali. In uno di questi i due amanti si trovano felici in un bosco. Questa scena ricorda molto un’opera di Magritte, “La firma in bianco”, dove le cose visibili possono essere invisibili, dove i protagonisti quasi giocano a nascondersi, e gli alberi nascondono loro. Le scelte stilistiche del regista per enfatizzare i passaggi salienti si basano sull’uso dei colori molto accesi, sui suoni ovattati che creano nello spettatore un senso di stordimento e confusione. Schrader, Hitchcock, Kubrick sembrano presenti come sottofondo, per un’opera che si articola in modo perfetto, scioglie i nodi di un vissuto pesante e duro, di un uomo che cerca redenzione, scioglie le rigidità del protagonista, un ottimo Francesco Di Leva che con maestria ci offre tutte le sfumature di dolore sul suo viso. Un film generoso, prezioso, crudo, che fa riflettere, che invoglia ad una seconda visione per apprezzarne ancora di più tutti i dettagli, per scoprire tutta la simbologia che abilmente e amabilmente il regista Romano Montesarchio ha voluto donarci.