È sempre complesso scrivere di un film come Desert Suite di Fabrizio Ferraro. Quando la narrazione si sfalda e le immagini diventano enigmi da risolvere, le parole diventano superflue e ingannevoli. Presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia 2024, Desert Suite sfrutta una narrazione frammentata e che si sviluppa per flashback per cercare di raccontare un percorso di ricerca del sé e di un posto nel mondo.
La forma è il contenuto
Desert Suite non è un’opera di facile comprensione. Questa è una premessa fondamentale poiché modifica l’approccio al film. É da vivere mettendosi in condizione di comprendere i vari strati di cui è composto, che vengono mostrati sia a livello narrativo sia a livello puramente visuale. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, Ferraro sfrutta stilemi e convenzioni tipiche del cinema contemporaneo, grazie a un uso della fotografia fortemente significante e utilizzando inquadrature che schiacciano o aprono la visione. Questo continuo modificare il colore, che passa dal B/N a colori molto saturi in alcuni frangenti, non lascia indifferenti. La grande metropoli coi suoi enormi grattacieli confonde e intimorisce, è prodotto puro dell’artificio dell’uomo, che Desert Suite rende con colori saturi e anti-naturalistici. Le inquadrature con una forte presenza del fuori fuoco e al limite del grandangolo opprimono i protagonisti e li pongono in un contesto metropolitano estraneo e straniante. Nelle sequenze bucoliche, al contrario, le inquadrature si avvicinano allo standard e vengono sfruttate per rinforzare l’unione tra la terra e gli uomini, con i colori che tornano a essere naturali.
Un’odissea senza meta
Dal punto di vista narrativo, Desert Suite racconta di un giovane che, lasciato il paese d’origine, si dedica alla vendemmia in Francia e in seguito arriva a Bruxelles dove incontrerà una giovane donna. Fino ad arrivare a Rotterdam dove non troverà una meta, ma forse un obiettivo. Ferraro gioca con questa storia, tentando continuamente di minare le certezze non solo dello spettatore, ma anche e soprattutto dei protagonisti. Jimmy, interpretato da Gianmaria D’Alessandro, vaga alla ricerca di un posto nel mondo, che non può trovare poiché non è in grado di lasciarsi andare. Quando trova una soluzione è il mondo che gli mette il bastone tra le ruote, costringendolo a continuare il suo viaggio, proprio come un contemporaneo Odisseo. Sbarcato nella metropoli, questa lo trascina in un circolo infernale che prima lo vede vittima e sul finire, carnefice. Tutto questo Ferraro lo mostra sapientemente con inquadrature fortemente verticali, quasi un rimando espressionistico, dove l’altezza del grattacielo diviene luogo della bassezza umana fatta di sesso, droga e violenza. Violenza resa attraverso le immagini televisive, rimandando a un ulteriore strato interpretativo: quello della violenza filtrata e accettabile nella società contemporanea.
Il volto di una società
Desert Suite nel suo racconto di un giovane uomo e del suo rapporto con la terra, la città, le donne, è anche specchio di una società contemporanea che sta perdendo sempre più il contatto con la terra viva, disperdendosi nel caos metropolitano. Una società che può sostenere la violenza solo se filtrata attraverso le immagini di una televisione, ma che al contempo la esercita nel modo più vile attraverso la droga e l’annientamento dei sensi, non solo nei confronti dell’altro, ma anche nei confronti di sé. Una lettura che spinge a una riflessione di più ampio respiro che Ferraro mette in mostra quasi ossessivamente per tutta la durata della pellicola. In Desert Suite l’ambiguità è messa in rapporto con una realtà crudele, che forse l’uomo non è più in grado di affrontare senza un aiuto esterno, anche nel caso in cui questo aiuto sia rappresentato dallo smarrimento dell’individualità attraverso l’uso di sostanze stupefacenti.
In conclusione
Desert Suite è un film complesso. E Ferraro è un autore complesso che mette in scena sempre idee forti con uno stile importante. Questo tipo di pellicole però che ci ricorda ancora come sia importante una mediazione critica che possa far comprendere ulteriori strati di significato. Il punto fondamentale in Desert Suite è che la sua complessità non diviene mai fine a sé stessa e Ferraro riesce a comunicare attraverso le immagini, toccando argomenti universali attraverso la visione microscopica di un uomo qualsiasi.