Elín Hall veste i panni di Una in When the light breaks (Ljósbrot), un’adolescente che si ritrova a vivere un complesso dramma personale, in una lunga giornata estiva islandese. Un personaggio elettrico e stratificato, che rispecchia perfettamente la sua età. Abbiamo fatto due chiacchiere con l’attrice e musicista sulla preparazione che ha preceduto le riprese, sull’appoggio non scontato da parte del cast e sul grande legame di fiducia che si è creato tra lei ed il regista Rúnar Rúnarsson.
Presentato al Festival del cinema di Roma nella sezione autonoma e parallela di Alice nella città, When the light breaks verrà distribuito in Italia da Movie Inspired.
Elín Hall e Una, un lungo ed intenso viaggio
Ljósbrot, luce e rottura. Penso sia un concetto che rispecchi molto bene ciò che hai vissuto durante questo viaggio complesso. Come ti sei preparata per interpretare questo personaggio?
Fortunatamente, ho ottenuto il ruolo circa un anno prima di iniziare le riprese, quindi ho avuto davvero tanto tempo per prepararmi. Ho passato molto tempo con Rúnar e con il cast, e questo inevitabilmente ha portato ad un legame più affiatato tra noi, molto utile per le riprese; soprattutto tra me e Katla, l’altra protagonista femminile. Ho letto il copione e ho pensato che non volevo rendere il personaggio un cumulo di tristezza, ma qualcosa di più introspettivo. Volevo qualcosa di più profondo, un percorso in cui ogni minuto e ogni emozione avessero una sfumatura diversa, senza mai ripetersi. Questo è stato il mio obiettivo: mantenere il personaggio interessante e autentico. Mi ha aiutato anche il rapporto di fiducia con Rúnar e il confronto continuo con lui. E poi, naturalmente, dormire molto e mangiare bene… anche questa è parte della preparazione!
Qual è stata la tua reazione quando hai letto il copione?
Ho pianto. Mi è sembrato un film molto poetico. Rúnar si concentra tanto sulla visione estetica del film, su come vuole che le cose vengano percepite immagine per immagine. Perciò il copione esaltava soprattutto la parte emotiva, non era solo questione di tecnicismi. Ho creduto in questa storia fin dal primo giorno.
Hai detto in precedenza che è stato un lungo percorso.
Una lunga giornata in questo difficile cammino. Ogni minuto era come se Rúnar ti portasse in un viaggio intenso, fatto di tantissime emozioni. Quando ti trovi in una situazione del genere provi tantissime cose, ogni momento. È stato faticoso, ma unico. Ho imparato molto su di me, e mi sento come se in qualche modo fossi cresciuta molto.
Lavorare con Rúnar e addentrarmi così profondamente nel personaggio… alla fine mi sono sentita molto legata a lei. Non è stato facile lasciarla andare, insieme alla sua storia e al suo dolore. Il film dura solo 80 minuti, ma io ho vissuto tutto quello che vedete per tre mesi, tra preparazione e riprese. Abbiamo provato tantissimo. Mi ci è voluto un po’ per lasciarla andare davvero.
Still from When the light breaks, by Rúnar Rúnarsson
Il legame tra il cast ed il regista Rúnar Rúnarsson
Com’è stato per te lavorare con Rúnar?
È stato naturale fin dal primo momento. Sono andata all’audizione sapendo di avere una grande connessione con quel personaggio, per quanto in realtà siamo diverse io e Una. È stato come bere un bicchiere d’acqua per me, ma non si può mai sapere se piacerai ad un regista. Poi mi richiamò per fare un’audizione assieme a Katla. Siamo uscite convinte di non ottenere i ruoli, pensavamo che non gli fossimo piaciute perché Rúnar è piuttosto difficile da capire! Ma alla fine ha scelto entrambe.
Rúnar è una persona unica e ha davvero cambiato il mio modo di vedere il cinema. Non ho mai lavorato con nessuno come ho fatto con lui. Ci ha dato così tanta fiducia e tempo, e credo sia questo di cui sono più grata. Perché i set cinematografici possono essere estremamente stressanti: tutti sono sotto pressione, con orari serrati e non puoi permetterti di perdere tempo. È stressante, e i registi sono molto stressati. E lui poteva esserlo sul set, ma non me lo ha mai fatto pesare. Mi ha sempre dato tanto tempo. Ad esempio, non dice mai “azione”; dice solo “quando vuoi”. E io rimanevo ferma lì, magari per cinque minuti, prima di sentirmi pronta, mentre la telecamera e tutti aspettavano. È stato un approccio così umano. È un regista molto attento agli attori e a come si sentono durante le riprese.
Penso che la cosa più bella sia trovare un intero cast con cui ti senti in totale sintonia, come hai descritto all’inizio. Che legame c’è con loro?
Durante le riprese avevo tante preoccupazioni. Faceva un freddo incredibile, il personaggio era complesso, le emozioni difficili. C’erano tante sfide, cose che mi preoccupavano ogni giorno. Ma lavorare con i miei colleghi mi dava la forza per superare ogni mia paura. Rúnar ha scelto davvero i migliori talenti che abbiamo in Islanda. Questi ragazzi hanno fatto tantissimo per me, mi hanno sostenuta in modo incredibile. Erano lì anche quando non dovevano essere in scena, solo per darmi supporto. E Katla mi ha davvero aiutata a entrare nel personaggio: è una persona molto intuitiva sul piano emotivo. Sono dei talenti straordinari, solo a pensarci mi emoziono.
C’è una connessione profonda tra tutti voi, e si nota. Parlando di questo, com’era il tuo rapporto con Diddi (Baldur Einarsson)? Già dalla prima scena sembrate in perfetta sintonia. Com’è stato connettersi con quel personaggio per te?
Per me, Diddi rappresenta ogni ragazzo che ho amato. Quindi non è stato difficile. Mi spiego meglio: sono ossessionata dall’amore, sono sempre stata molto presa da questo sentimento così etereo e amo profondamente ogni volta.
Baldur in realtà è più giovane di me di circa cinque anni e lo ricordavo per un ruolo da protagonista in un film che fece anni fa, e casualmente anche io vivevo la stessa situazione in quel momento. Eravamo entrambi adolescenti al tempo, ed entrambi per due progetti importanti: ci siamo connessi subito attraverso questa esperienza che riprende l’età dei nostri personaggi. Ho sempre sentito una connessione profonda con lui. È anche un musicista, tra l’altro.
Still from When the light breaks, by Rúnar Rúnarsson
Elín Hall, tra musica e recitazione
E anche tu lo sei, una musicista. Come bilanci entrambe le carriere nella tua vita?
La musica fa parte di me, è come un impulso innato che ho. Per me, tutte queste espressioni creative si intrecciano. Amo entrambe le carriere in egual misura devo dire. È tutto una questione di narrazione: adoro raccontare storie e amo essere un mezzo per l’espressione emotiva, senza contare il legame che si crea tra l’artista e lo spettatore. Credo che sia lì che avvenga la magia, ed è qualcosa in cui credo profondamente.
D’altronde la musica ha un ruolo enorme nel film di Rúnar. Ci sono delle sonorità incredibili. Un esempio perfetto è la scena dove tutti danzano: la musica guida il rilascio catartico delle emozioni per il personaggio principale, Una. Questo è ciò che intendo dire quando parlo di musica e recitazione; tutto è così interconnesso. È come una meravigliosa treccia di arte e magia. Ogni settimana mi ritrovo a riflettere su tutto questo, mi chiedevo cosa venisse prima.
E quando è iniziato tutto questo?
Ho iniziato a scrivere musica dieci anni fa, mentre ero in vacanza con i miei genitori proprio qui in Italia. Avevo 15 anni e trascorsi tutta l’estate con loro, ma a volte mi sentivo molto annoiata. Alla fine, sono riuscita a convincere i miei a comprarmi una piccola chitarra da portare con noi. Mi rinchiudevo nei bagni degli hotel per scrivere canzoni. Poi l’ho inviata a un concorso di selezione che anticipa gli Eurovision in Islanda. Ed ha funzionato: mi hanno invitata a esibirmi in diretta televisiva con la mia canzone. Ed è lì che un agente di casting e un regista mi hanno vista e mi hanno chiesto di fare un provino per una serie TV.
Diciamo che entrambe le carriere sono iniziate praticamente nello stesso giorno. Non avrei mai immaginato quanto quella canzone nel bagno avrebbe cambiato la mia vita e mi avrebbe riportata qui, in Italia oggi con questo bellissimo film.
So che nasci in teatro. Che valore ha per te questo, nella tua esperienza attoriale?
Che mi trovi su un set o sul palcoscenico, l’importante riguarda sempre il raccontare storie in modo autentico. Certo, è un po’ diverso recitare davanti a 500 persone rispetto a stare davanti a una telecamera a pochi centimetri da te. In un certo senso, devi “abbassare il volume” in tutto. Ma per l’attore è sempre la stessa cosa: si tratta di trovare l’intensità giusta per ogni emozione. Nei film, però, mi sembra sia tutto più vicino alla vita reale. Non vorrei dire che è più facile, ma lo trovo più naturale. Adoro lavorare nel cinema perché sembra così vero e vivo. Puoi essere letteralmente in un’altra situazione, nei panni di qualcun altro, in una manciata di secondi. E per me, è pura magia.