Grandmamauntsistercat è difficile da capire quanto da digerire. Zuza Banasińska, regista del film, presenta il suo corto in prima internazionale alla scorsa edizione del Berlinale, raccontando attraverso gli occhi di una bambina una favola in cui la femminilità restituisce cura, rispetto e potere. La regista ha una formazione artistica, è nata a Varsavia ed è residente ad Amsterdam, si porta dietro nei suoi progetti, oltre che uno studio attento dei processi di produzione di conoscenza standardizzata, anche un pesantissimo bagaglio fatto di tormento e furia, riappacificazione e disillusione, amore e, infine, speranza.
Grandmamauntsistercat ripercorre la storia di una famiglia matriarcale: dalla nonna, alle sorelle, alla zia, alla madre. La bambina, voce narrante del film, viene incoraggiata ad aprire gli occhi e guardare il mondo e la sua famiglia; il macro e il micro, come a doverne fare rapporto, come a doverne rendersene conto. “Nelle case polacche”, dice, “si parlava la parola del padre, ma da noi quella era una parolaccia: noi parlavamo la lingua della madre”. La voce racconta con dolcezza, a volte con paura, altre con reverenza, la storia di sua nonna che, proprio come Baba Jaga, era un’estranea al mondo. Donne sole che crescono e portano avanti famiglie: streghe contemporanee, da guardare oggi con dolcezza e reverenza. Quindi è così che la strega slava mangia bambini, diventa, per Zuza Banasińska, una dea antichissima, sorvegliante del mondo dei vivi e dei morti.
Grandmamauntsistercat e l’impressionante lavoro d’archivio
La cosa più interessante su cui interrogarsi, a prescindere dalla prospettiva per cui raccontare il matriarcato ai contemporanei risulta già anacronistico di per sé, è la modalità con cui Zuza Banasińska decide di farlo. Dagli anni settanta in poi si sviluppa con l’avvento dei dispositivi elettronici (e con il digitale, poi) una vasta corrente di sperimentazione che fa capo a Nam June Paik, con le sue idee neo-dadaiste e i valori anarchico-comunisti. Paik, di fatto, segnerà una svolta all’interno del mondo dell’arte di cui, ancora oggi, abbiamo riscontro. Tuttavia, la corrente videoartistica ha creato non pochi problemi nella critica e negli studiosi d’arte, perché essa, ontologicamente, rompe quel confine, per le arti a lungo tempo invalicabile, che fa proprie alcune caratteristiche rispetto ad altre. Quindi se la videoarte può essere una miscela di tutte le arti, come lo è stato tempo prima il cinema: cosa distingue il cinema dall’attività video artistica?
Ci sono moltissimi studiosi che ancora oggi dibattono su questo interrogativo, ma la risposta che torna più utile nella visione di Grandmamauntsistercat è la presenza di una narrazione, di una storia coerente con un inizio, uno sviluppo e una fine. Eppure no. Perché la sua bravissima regista ha il chiaro, e allo stesso tempo crudele, intento di non creare confini, non creare spazi circoscritti di senso in cui poter trovare un significato unitario. Come se dicesse: “è ciò che vuoi vedere”. Ancor di più nella sua scelta di utilizzare materiale d’archivio, disturbandolo, distruggendolo e rivalutandone il significato. Ciò che era, ora non esiste più, ora è il momento di ridare senso a ciò che abbiamo ereditato e che pur non ci appartiene.
Grandmamauntsistercat al Festival dei Popoli
Il film della regista polacca è stato selezionato per essere presentato durante la sessantacinquesima edizione del Festival dei Popoli, nella sezione DOC AT WORK – FUTURE CAMPUS, in cui saranno presentati otto corti che ci spingono a immaginare le strade possibili del cinema del reale, a sondarne le correnti sotterranee e gli sguardi inattesi, realizzati da registe e registi provenienti dalle migliori scuole di cinema europee. In collaborazione con MAD Murate Art District si propone un osservatorio per guardare al futuro del documentario attraverso le opere di una generazione di cineasti e cineaste emergenti che si stanno formando negli ultimi anni.
Il Festival dei Popoli è in programma dal 2 al 10 novembre a Firenze; Antonio Stellino, direttore artistico di questa edizione, dichiara “Sarà un’edizione molto politica e d’altra parte con tutto quello che sta succedendo intorno a noi non potrebbe essere altrimenti. Regna un’atmosfera cupa ed è compito del cinema, in particolare documentario, testimoniare di quanto accade, rendere conto delle tensioni che infiammano tanti territori e di quelle che soggiacciono, per portarle allo scoperto. […] L’esploratrice che campeggia nel nostro manifesto arriva da un luogo lontano e porta a Firenze la cognizione che le immagini, se anche non cambieranno il mondo, possono aiutare a comprenderlo meglio”. Non è un caso che Grandmamauntsistercat abbia trovato il suo spazio proprio qui, essendo nella sua narrazione, come nella sua struttura, parte di questo movimento in rivolta.