Vivere o morire? É questa la domanda ricorrente di Don’t move, il thriller targato Netflix, diretto da Adam Schindler(Shut In) e Brian Netto(Delivery), girato interamente in Bulgaria. Un survival film prodotto dal maestro della suspense Sam Raimi.
Nel cast: Finn Wittrock, Kelsey Asbille e Moray Treadwell.
La trama di Don’t move
Iris (Kelsey Asbille) è una madre in lutto, tormentata dalla perdita del figlio, che diventa l’ultimo bersaglio di un serial killer (Finn Wittrock), incontrato in una foresta remota. L’uomo finge di essere anche lui alle prese con una grave perdita. Ma è una trappola per manipolare e attirare la donna, per poi iniettarle un farmaco che la paralizzerà, dando il via a una disperata lotta per la sopravvivenza, mentre il suo corpo lentamente si spegne.
Ritmo ma poche emozioni
C’è una certa suspense iniziale, a cui segue un buon ritmo, sebbene la presa del film inizia ad indebolirsi man mano che procede. Gli sceneggiatori Brian Netto e Adam Schindler fanno un buon lavoro, giocando con i colpi di scena e creando veri e propri momenti di tensione, ma il risultato, alla fine, non è così indimenticabile. Il film manca della forza e della tensione necessarie per coinvolgere pienamente lo spettatore. Ci sono troppi momenti inverosimili, un cattivo che non muore mai, che a volte nemmeno si scalfisce, neanche fosse un supereroe.
Il film è incentrato interamente sulla protagonista, i cui movimenti sono sempre più limitati. Asbille, che veste i panni di Iris, è gravata da un compito difficile, una performance quasi priva di dialoghi che si basa su una recitazione ridotta principalmente a movimenti di dita e occhi. Un compito portato a termine in modo non molto convincente. Il suo viaggio non ha abbastanza energia o emozione, non trova mai un modo unico per uscire dall’esterno congelato del personaggio. Più convincente è invece Wittrock, che porta in scena un serial killer squilibrato, e che regala al suo personaggio una vera e propria dimensione oscura.
Sam Raimi produce un thriller buono, che esplora grandi idee e tenta di affrontare i temi della mortalità e della depressione, ma manca di una trama forte. Buono invece l’uso della fotografia di Zach Kuperstein, con primi piani stressanti e inquadrature in soggettiva.
Che film ricorda
L’incapacità di controllare gli eventi è stato un tema ricorrente nel genere horror. Basti pensare al meraviglioso film Le verità nascoste, in cui Michelle Pfeiffer è intrappolata, paralizzata da un farmaco sperimentale mentre l’acqua sale. In Don’t movec’è anche un chiaro riferimento alla musica di Cape fear, nella scena finale sul pontile.
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