After Us, The Flood è un film di produzione finlandese diretto da Arto Halonen e scritto da Ossi Hakala. Le forti tematiche ambientaliste e sociologiche del film si vanno a perdere in una trama troppo allungata e senza fuoco. Presentato al Trieste Science+Fiction Festival.
La trama di After Us, The Flood
Anno 2064. Il mondo è sull’orlo di una catastrofe ambientale. L’ONU ha sviluppato un modo per viaggiare nel tempo, trasferendo la personalità e i ricordi al momento della nascita. Per la missione viene scelto Henrik, fisico geniale ma narcisista. Dovrà pubblicare in tutto il mondo il progetto del suo reattore nucleare e prevenire così un devastante cambiamento climatico. Ma qualcosa va storto: Henrik rinasce nel corpo sbagliato e deve vivere una nuova vita. Presentato al Trieste Science+Fiction Festival del 2024 insieme a tanti altri film di genere.
After Us, The Flood: La recensione.
Il film si apre con una nascita. È l’anno 1999 e il piccolo Henrik (interpretato da Tomas Nilson nella sua versione da giovane adulto) è appena venuto al mondo. After Us, The Flood utilizza un largo ma necessario preambolo. Nella prima parte del film ci vengono raccontate la vita di Henrik, uomo privilegiato che nasce in una famiglia ricca, e le sue problematiche con il padre.
Fin dalle prime scene, il film ci svela una dura verità: Henrik non ha possibilità di crescere in modo sano. Suo padre, dispotico e autoritario, non solo rifiuta di accettare l’interesse del figlio per le scienze – che chiama “scarafaggio” – ma è anche violento con la moglie. Da queste premesse, lo spettatore segue il doloroso percorso di Henrik: lo vediamo adolescente come un piccolo bullo che perseguita il giovane Markko nel 2011. Poi è uno studente arrogante di fisica nel 2024. E alla morte del padre, Henrik sembra assorbirne gli aspetti più oscuri iniziando a comportarsi in modo violento con la madre proprio come il padre. Quando infine si “innamora” di Julia (Linnea Leino), ragazza brillante e capace, riconosciamo con orrore il ripetersi dello schema paterno. Il suo comportamento aggressivo finirà per esasperare Julia fino a portarla al suicidio.
In questa cornice, una consapevolezza: la crisi climatica è alle porte e, forse, l’idea di Henrik, Julia e Sakari (Kasperi Kola) può portare l’umanità in salvo. O, meglio, avrebbe potuto.
After Us, The Flood: tra capitalismo e ambientalismo
Un’invenzione del genere dovrebbe essere di tutti
È così che Julia risponde quando Henrik propone l’idea di vendere il progetto per il reattore a fusione nucleare a una grande corporazione. Ed è qui che il film introduce il suo secondo tema, quello del capitalismo e di come un’invenzione non possa in alcun modo aiutare l’umanità quando relegata alle logiche del profitto.
Quando nel 2064 lo spettatore si ritrova davanti un Henrik anziano in un mondo devastato dalla crisi climatica, non può fare a meno di riconoscere nel titolo dell’opera di Halonen una spietata critica alle azioni sconsiderate di quella classe capace di mangiare l’intero piatto e lasciare il resto del tavolo affamato. Da qui, il presupposto di tornare indietro nel tempo assieme al collega Sakari per evitare di vendere l’idea alla corporazione e cambiare, dunque, le sorti dell’umanità diventa estremamente interessante. Quando però Henrik tornerà giovane, scoprirà di non essersi reincarnato in sé stesso, ma nel povero ed emarginato Markko, preso di mira proprio da Henrik in gioventù. I presupposti per un film dalle forti tematiche sociologiche sono quindi piazzati.
‘After Us, The Flood: poteva non solo essere una riuscita critica al capitalismo, ma anche un’efficace memento di quanto il contesto e le persone con cui si cresce cambino radicalmente chi siamo e come pensiamo.
Prima di noi, nessuna alluvione
I problemi del film emergono proprio quando i temi sembrano finalmente delineati, constatando la loro attualità e rilevanza. Nonostante il titolo e le premesse, la pellicola fallisce nel trattare con efficacia tanto la crisi climatica quanto il capitalismo. Essa trascina lo spettatore in un alternarsi di cambi di focus che finiscono per confondere e disorientare.
Quando si scopre che il collega di Henrik, Sakari, ha subito un destino simile al collega – reincarnandosi non in un altro ragazzo, ma in un cane – la narrazione si trasforma in un racconto di formazione incerto e surreale. Sebbene il film mostri il cambiamento di Henrik in una vita priva di privilegi, accanto a un padre amorevole e gentile, finisce per trascurare completamente la tematica centrale, a cui allude persino il titolo.
Nonostante il forte e simbolico tema dell’esistenza “all’ombra di sé stesso” – con Henrik che subisce angherie identiche a quelle che lui stesso infliggeva nella vita precedente, ora nel corpo di Markko – la storia si ritrova in un vicolo cieco. E, tra il cane/Sakari che si ubriaca bevendo del vino e altri assurdi litigi con cani che diventano visibilmente peluche quando sono calciati lontano, la storia si smarrisce in direzioni inattese. Questo, unito ad alcuni difetti di montaggio (come nella scena di una colluttazione, in cui manca persino il sonoro per un pugno sferrato) e di ritmo, genera un’opera disordinata, che non riesce a dare pieno valore alle sue premesse narrative e contenutistiche.
All’ombra di sé stesso
Alla fine, contento della nuova vita che ha passato nel corpo di Markko, finalmente soddisfatto e guarito dai suoi rancori e traumi interiori, Henrik affronterà la sua versione precedente e si abbandonerà in un fiume di ricordi della sua nuova vita. Allo spettatore, però, rimane la sensazione di aver visto quello che poteva essere un ottimo mediometraggio, che si è perso nel labirinto della sua lunghezza. Ritrovandosi, infine, a vivere all’ombra di sé stesso proprio come il suo protagonista.