Presentato in anteprima nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma, Ciao Bambino, opera prima del regista napoletano Edgardo Pistone, prodotta da Bronx Film, Anemone Film, Mosaicon Film, Minerva Pictures Group e realizzata con il sostegno del Mic – Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e Regione Campania – Fondo Cinema e Audiovisivo, in collaborazione con Film Commission Regione Campania.
Il film, per cui è stato scelto il bianco e nero tipico del realismo che rende universali i sentimenti raccontati, è scritto e sceneggiato dallo stesso regista con Ivan Ferone e vanta nel cast giovani attori scelti dopo un lungo e faticoso street casting come Marco Adamo, Anastasia Kaletchuk, Luciano Pistone, Pasquale Esposito, Salvatore Pelliccia, Sergio Minucci, Luciano Gigante, Attilio Peluso, Antonio Cirillo e Rosalia Zinno. Ciao Bambino racconta la storia di Attilio, un ragazzo di 19 anni che vive in un rione popolare di Napoli e che viene incaricato di proteggere una giovane prostituta dell’Est. Quando il padre di lui esce dal carcere ed è costretto a ripagare un debito consistente, Attilio si trova a scegliere tra l’amore per la ragazza e quello per il padre, mettendo in gioco la sua libertà e la sua vita fino a quel momento.
Edgardo Pistone e i contrasti di Ciao Bambino
Vorrei partire dall’inizio del film e in particolare dalla voce fuoricampo (che è quella del protagonista) che dice L’errore più comune è dividere il mondo in due parti: il buono e il cattivo, il bianco e il nero, i grandi e i piccoli. In effetti ci sono molti contrasti in questo film. Sembra quasi che tu sia partito da un’idea e che per svilupparla tu abbia pensato a ogni tipo di contrapposizione che fai pronunciare al protagonista stesso che, oltre a raccontare il fulcro del film, accenna anche alla tecnica parlando di bianco e nero che, al di là dei significati, è anche un contrasto esso stesso.
Assolutamente. Penso che la tensione e il conflitto che si creano tra due poli opposti è proprio quella che muove le cose, la tensione e il conflitto.
Infatti, secondo me, è uno degli aspetti alla base di questo film. Per esempio subito dopo vediamo il gruppo di giovani che si tuffa in acqua, ma per il modo in cui li riprendi e per l’uso del bianco e nero sembra anche che stiano volando. Anche questa è una sorta di contrasto. Sembra sia che si gettino nel vuoto incuranti, incoscienti e innocenti, ma sembra anche che volino verso una libertà e una speranza che cercano tutti insistentemente dall’inizio alla fine.
Sì, in realtà ci tenevo tantissimo alla prima scena perché era un po’ la rappresentazione dell’idillio subito infranto e rotto dall’arrivo del padre di Attilio. Quindi sì, quando tu mi dici che il film procede per contrasti, è vero. In quel caso ho provato a raccontare l’idillio infranto. I ragazzi volano come se non avessero una vera e propria direzione, poi a un certo punto arriva l’eredità dei padri che dà una direzione a tutto, insomma, almeno alla storia e, secondo me, alle vite di tutti quanti noi.
L’uso del bianco e nero
E un altro contrasto è anche un po’ il bianco e nero, che comunque sono, insomma, un contrasto essi stessi.
Esatto, questa è un’altra cosa a cui tenevo moltissimo, ma proprio perché io lavoro con oggetti e soggetti del reale, le scenografie sono così come le abbiamo viste, i personaggi sono persone vere prima di essere personaggi. Quindi lavoro molto con elementi del reale, cioè con la vita. Il bianco e nero è la quintessenza del cinema, cioè è tutto cinema. In genere ci sono film che sono o tutta vita o tutto cinema. Io ho provato a mettere in contrasto questi due poli così estremi, con la speranza che fossero un asse che tenesse in equilibrio, che mettesse il cinema e la vita al centro del discorso, cioè l’uomo al centro del discorso.
E poi oltre a tutto questo con il bianco e nero c’è anche un discorso di universalità perché chiunque, in qualche modo, può identificarsi con i personaggi. Senza contare che è anche un richiamo alla classicità: Ciao Bambino può essere definito quasi un film classico, secondo me.
Mi piace molto classico, anche se forse, a volte, provando a essere più ambizioso, mi piace definirlo eterno, ma per il semplice fatto che il bianco e nero mi dà la possibilità di selezionare, di escludere i sentimenti dal chiacchiericcio quotidiano della piccola relazione domestica che avviene nel film, col padre. In questo senso, per esempio, anche i ragazzi, e a volte pure gli attori, assumono pose statuarie.
Infatti a me è sembrato classico anche per questo, perché oltre a richiamare film più classici, richiama proprio l’idea delle statue (si possono citare la scena all’inizio di loro cinque che guardano la coppia che sta entrando in acqua, ma anche il momento dopo la scena d’amore tra i due).
Sì, infatti parlando con gli attori il tema era sempre quello di sottrarre, di sottrarre per evitare che andassero in overacting, ma anche con la macchina da presa stessa.
Una cosa che ho notato è che Ciao Bambino è un film dove, nonostante la narrazione vada avanti, non ci sono movimenti frenetici, caotici, ma è tutto molto calmo.
Esatto ed è una cosa a cui tenevo moltissimo, infatti mi fa piacere che tu l’abbia notato.
La centralità del film e della regia di Edgardo Pistone
Torno sul discorso che hai fatto prima in merito alla centralità perché ho visto proprio un’attenzione a questo. Non so se è un caso, ma il protagonista di ogni scena, non per forza Attilio, è sempre al centro di quella scena. A volte da lontano con la macchina da presa che va a inquadrarlo da vicino e altre volte al contrario, ma sempre mantenendolo al centro e dando una valenza simbolica.
Assolutamente. Non avrei saputo dirlo meglio.
E a proposito della musica come hai lavorato? Perché bianco e nero e musica vanno di pari passo, cioè immagini e suono.
Con la musica, in realtà, abbiamo avuto un approccio piuttosto spontaneo, perché il musicista scelto non aveva mai fatto musica per film e io non avevo mai fatto un film (questo è il mio primo lungometraggio). Quindi abbiamo lavorato molto con le reference, cioè io ho partecipato anche non essendo un esperto di musica. Sono riuscito a seguire questo processo con la musica, con il musicista che è stato generoso nel farmi assistere a questo percorso. La cosa a cui tenevo, però, era che non dovesse essere una colonna sonora d’accompagnamento, ma dovesse essere una colonna sonora che andava a sospendere sia il giudizio che la scena stessa, un po’ come se le scene volassero mentre altre planano. In generale usavamo sempre riferimenti di altezza e bassezza per le scene.
Attilio e Anastasio
Quindi con musica e dialoghi siete andati nella stessa direzione visto che anche i personaggi stessi spesso non parlano. Però, a proposito di utilizzo della musica, la scena d’amore tra i due è costruita senza musica e con la loro sparizione. E credo che questo abbia un valore particolare, per i singoli personaggi, ma anche per il rapporto tra loro.
Sì, io volevo, in qualche modo, utilizzare l’espediente del fuoricampo, cioè volevo che la macchina da presa non andasse a indagare qualcosa di abbastanza comune, cioè un rapporto sessuale. Volevo che fosse più immaginato che visto: quindi c’è l’accenno di questo rapporto, ma poi, a un certo punto, la macchina da presa esce fuori. Ed era una cosa che mi piaceva raccontare, come a dire che mentre il mondo va avanti, mentre il quartiere è brutto, sporco, cattivo e ignaro di tutto questo, mentre si sta consumando quello che potrebbe essere un rapporto sessuale qualsiasi, in realtà c’è della poesia. Una poesia che dopo andiamo a pescare, riprendendoli con quello che si dicono dopo.
E poi c’è un’altra cosa che sottolinea il loro rapporto e l’importanza del loro legame e che si mescola con le varie tecniche che hai inserito insieme a varie sperimentazioni e a una mescolanza di generi. Mi riferisco all’uso del ralenti, che richiama un po’ i ricordi e l’immaginazione, e che inizi a usare nel momento in cui Attilio capisce di provare qualcosa per Anastasia, come una sorta di epifania. Da lì in poi iniziano questi ralenti.
Ti devo dire la verità, non l’ho studiata a tavolino questa cosa. Però è vero che prima di quel momento non c’erano e iniziano quando lui realizza.
Come se fosse il loro segreto.
Sì, sì.
Il cast
A proposito del cast volevo chiederti come li hai scelti, soprattutto considerando che sono tutti attori non professionisti.
Marco (Attilio) è stato scelto attraverso un processo di street casting, l’abbiamo incontrato mentre stava andando a comprare il detersivo. Allo stesso modo anche Anastasia. Poi nel cast c’è anche mio padre perché comunque volevo raccontare un po’ la nostra relazione. E mi è sembrato giusto avere anche la sua testimonianza, a prescindere dalla resa cinematografica che comunque fa sì che lui si porti dentro quell’incertezza, quella fragilità, quella cosa che mi appassiona quando la vedo nei film. È stato un lavoro lunghissimo di street casting, poi però abbiamo lavorato anche dopo.
Le influenze di Edgardo Pistone
Approfitto di questa risposta per chiederti qualcosa a proposito delle ispirazioni e delle influenze. Hai detto che volevi raccontare un po’ la tua storia, ma hai avuto anche dei riferimenti in generale dal cinema o da qualche autore? Secondo me ci sono tanti richiami, più o meno volontari. Tra i tanti, per esempio, ci ho visto molto cinema francese del passato.
Sì, la nouvelle vague è un riferimento importante per questo film. Per esempio Fino all’ultimo respiro è un film che ho amato moltissimo. Poi chiaramente c’è stato tutto il primo Scorsese, che si può vedere nel discorso sul senso di colpa, il peccato, la redenzione, Antonio Capuano, Emir Kusturica, soprattutto Ti ricordi di Dolly Bell?.
Infatti ci sono tanti richiami al cinema in generale, ma, nonostante questo, è un film nuovo secondo me.
Questo è il complimento più bello perché in realtà uno cerca sempre di trovare la propria voce, la propria autenticità. Io spero di esserci riuscito. Poi chiaramente a me il cinema piace molto e ne guardo molto. Prima non l’ho citato, ma c’è anche molto cinema messicano, da Cuaron a Reygadas ad Amat Escalante, e pure molto cinema asiatico, da Wong Kar Wai al Lee Chang-dong.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli
Per l’intervista e le foto si ringrazia Reggi & Spizzichino