Due giovani ladri in fuga, un’isola sospesa nel tempo e nello spazio abitata da una strana famiglia. Due mondi apparentemente inconciliabili uniti da un insolito patto di reciproca educazione.
Tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco, con il sostegno dell’Emilia Romagna Film Commission e distribuito da Fandango Distribuzione, L’isola degli idealisti è una delle innumerevoli sfide che l’eclettica intellettuale ferrarese porta a compimento.
La pellicola fa rivivere il testo di Giorgio Scerbanenco: andato perduto, successivamente ritrovato dai figli dello scrittore e pubblicato per la prima volta nel 2018 da La Nave di Teseo, casa editrice della Sgarbi. Ambientato negli anni ’40, il romanzo scritto tra il 1942 e il 1943 nel soggiorno all’albergo Toledo, a Iseo, rifugio di Giorgio Scerbanenco, L’isola degli idealisti era destinato ad una pubblicazione a puntate sulle pagine del Corriere della Sera. Con l’avvento della guerra e l’esilio di Scerbanenco in Svizzera, tutto viene affossato.
Due giovani ladri, Beatrice Navi (Elena Radonicich) e Guido Cenere (Renato De Simone), sono in fuga in una notte fredda d’inverno. Approdano su un’isola: sorpresi dal guardiano Giovanni (Tony Laudadio) e dal dobermann Pangloss, vengono condotti nella grande villa dove abita la famiglia Reffi. Una famiglia decisamente singolare: il vecchio Antonio (Renato Carpentieri), il capofamiglia, è un ex direttore d’orchestra tornato fanciullo. Vive di musica e ricordi insieme ai due inquieti figli: il melanconico Celestino (Tommaso Ragno) e la testarda Carla (Michela Cescon), ciascuno chiuso nelle proprie ossessioni. Li affiancano, il cugino Vittorio (Mimmo Borrelli) e la moglie Jole (Chiara Caselli), costretta dal marito a restare in villa e a fare da governante alla famiglia e al vecchio Antonio.
Celestino Reffi propone ai due ladri in fuga uno strano accordo: non li denuncerà, li nasconderà al Commissario Càrrua (Vincenzo Nemolato) che è sulle loro tracce, a patto che seguano un “corso di educazione”. Celestino “è certo di potergli cambiare la vita.” I due giovani fuggiaschi che introducono nella fissità esistenziale dei Reffi la vita esterna nel male da affrontare (simboleggiato da Monsiù alias Antonio Rezza), innescheranno in questa commistione un cambio di rotta che stravolgerà il delicato equilibrio di tutti i protagonisti.
Un tempo e un luogo sospesi
Elisabetta Sgarbi nel riappropriarsi dell’atmosfera del romanzo, ambienta il suo L’isola degli idealisti in un tempo più vicino al nostro, ma parimenti distante. Indefinito. Ne afferriamo la cronologia nell’attenzione ai dettagli seminati nel corso della narrazione: arredamento, opere d’arte, oggetti, libri, giornali.
L’arte in scena, accentua la sospensione nell’Isola degli Idealisti: da Adolfo Wildt a Enrico Baj, da Cagnaccio di San Pietro a Valerio Adami, da Apollodoro di Porcia a Irolli e Favai, da Magatti a Lamb, alle ceramiche di Tosalli a Cosmo Sallustio…
Nella precisa convinzione (mia, ma anche dei Reffi) che le opere d’arte, mentre indicano
un tempo, lo sospendono. Stanno e non stanno nel tempo. Catturano l’occhio, per destinarlo, poi, a una dimensione diversa.
L’inattualità del suo protagonista
Elisabetta Sgarbi nell’adattamento visivo anticipa in Celestino alcuni caratteri di Duca Lamberti (il personaggio letterario creato da Scerbanenco, protagonista di quattro suoi romanzi noir). Anche Celestino ama la filosofia e la matematica. La proposta che lancia ai due giovani è assolutamente inattuale. Una inattualità da cui la regista è irresistibilmente attratta:
Amo vivere nei tempi sospesi, amo i luoghi indefiniti, le atmosfere nebbiose». La dimora dei Reffi («abbiamo girato a Villa Torres, un luogo che piacerebbe a Tim Burton»), è come un fortino che si difende dall’esterno.
La macchina da presa attraversa la villa e l’isola catturandone l’alienazione spirituale, in simbiosi con una fotografia capace di attrarre chi guarda in uno stato mentale illusorio, in bilico tra reale ed irreale. Gli attori si muovo in questo limbo a proprio agio, ciascuno incastrato nella prassi quotidiana di automatismi sfiancanti, tra indolenza, impotenza, completamente imbrigliati nel mondo in cui sono costretti a stare. Cornice e sostanza ne L’isola degli idealisti coincidono, a discapito di una narrazione volutamente priva di una forza propulsiva. Il racconto si dipana nell’attesa di una svolta che non arriva o se arriva scorre come una inerzia, una conseguenza di pura causa ed effetto.