É stato presentato alla Festa del cinema di Roma Still here di Suranga Gatupankala, regista nativo dello Sri Lanka e residente a Verona.
Un uomo che segue coloro che condividono lo stesso destino. Un artista raffinato, con all’attivo diversi cortometraggi e opere multimediali, che insegue l’idea di un cinema libero dove non esistono confini tra l’uomo e ciò che lo circonda. Il regista é una delle figure più interessanti del cinema emergente indipendente italiano. Il suo tentativo di rappresentare una mappa geografica personale che sovrappone due quartieri a due spazi immaginati, creando così un territorio evanescente diviso tra realtà, memoria e immaginazione, è davvero notevole.
La trama di Still here
Determinata a costruirsi una nuova identità, un’ex attrice di film di serie B lascia i suoi due figli con il padre e scompare nei cantieri di una città. Nel quartiere fatiscente in cui vive l’uomo, le case vengono svuotate e demolite dall’implacabile avanzata del nuovo. Tutto ciò che rimane della donna sono le immagini di Natalik’s Love, l’unico film in cui ha recitato.
Still Here è la storia di una famiglia esplosa e di un quartiere spazzato via. É una specie di fiaba nera dove i bambini restano le uniche presenze vive mentre gli adulti sembrano fantasmi aggrappati al ricordo di un mondo che sta per finire con l’avanzare inesorabile degli immensi cantieri.
Al suo secondo lungometraggio il regista continua il viaggio che aveva intrapreso nell’opera precedente, For a Son, il suo primo film che esamina i diversi aspetti della migrazione e di come questa possa causare conflitti tra generazioni diventando la radice dell’alienazione e della rabbia tra gli uomini. É un film complesso, che mescola finzione e documentario, con una storia sviluppata in un territorio ibrido che unisce il quartiere Corvetto e Rajagiriya.
Still here è incentrato su un’ex attrice che decide di abbandonare tutto per vivere di ricordi. La sua rappresentazione della donna costretta ormai a vivere di sogni annebbiati, impossibilitata a fuggire davvero, è dolorosa da vedere e da sopportare. Il film, tuttavia, non riguarda solo lei, ma diventa un conflitto tra generazioni, un pezzo profondamente onesto di rappresentazione della realtà. Uno spaccato di vita forte e crudo.
I movimenti sembrano quasi rallentati, un presagio di ciò che sta per accadere. Il film solleva diverse domande su ibridazione culturale, urbanizzazione e realismo.
Un po’ noir un po’ sperimentale
Still here si prefigge due scopi: raccontare il presente quasi in modo ossessivo, e raccontare il linguaggio del cinema. Il film è la storia di una famiglia frantumata in tanti pezzi, mentre sullo sfondo c’è il passato. Un vecchio quartiere con i suoi abitanti e le sue usanze. Ci sono diversi riferimenti al cinema noir, europeo e asiatico; è un film indipendente e, se vogliamo, sperimentale. C’è molto minimalismo, con colori cupi, a volte imperfetti, un po’ come il tempo narrato. É il racconto della trasformazione di un quartiere ma anche della gente che ci vive e delle ripercussioni che ne derivano. Il vecchio verso il nuovo.
C’è una profonda stratificazione dei ricordi. Vite naufragate sulla zattera. Ogni vita si muove attraverso piccoli gesti. Gli adulti e gli anziani sembrano svanire come fossero fantasmi mentre i bambini rimangono le uniche presenze vibranti, pronte ad esplorare un futuro sempre più vicino.
Le persone sono corpi, immagini evocate da un profondo desiderio inespresso di fare cinema.
Niente è un caso in questo film, nemmeno il titolo. Still here. “Still” ancora, una pausa necessaria che rappresenta il lento e inesorabile scorrere del tempo, quasi una goccia che cade. Che scolpisce mentre cade. L’immobilità diventa una misura del tempo: all’interno e attraverso esso. Ed è in questo contesto che si riuniscono vite emarginate: immigrati, fuggitivi, anziani. Si riuniscono in un tempo sospeso, in una terra di nessuno riscaldata da corpi, presenze e racconti. Intervalli che si aprono a quell'”Here”, come una diversa postura verso il tempo, la vita, il divenire e la resistenza.
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