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In Sala

No – I giorni dell’arcobaleno

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Anno: 2012

Durata: 118′

Nazionalità: Cile

Genere: Storico, Drammatico

Regia: Pablo Larrain

Distribuzione: Bolero Film

Uscita: 9 Maggio 2013

Esce finalmente sui nostri schermi No – I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larrain, vincitore nel 2012 del premio C.I.C.A.E. al Festival di Cannes e candidato all’Oscar come miglior film straniero all’ultima edizione degli Academy Awards. Il giovane autore cileno, dopo aver conquistato l’attenzione dei principali festival internazionali con Tony Manero, il suo secondo lungometraggio, e con il successivo Post Mortem, vero e proprio capolavoro presentato al Festival di Venezia nel 2010, arriva al termine della sua trilogia sulla dittatura di Pinochet con un’opera ispirata e convincente che lo conferma come uno dei giovani talenti più importanti e interessanti dell’attuale panorama cinematografico.

Cile 1988: il dittatore Augusto Pinochet, a distanza di quindici anni dal sanguinoso golpe in cui perse la vita il presidente Salvador Allende e che causò la tortura e la morte di migliaia di oppositori del regime militare, per le forti pressioni internazionali si trova costretto a indire un plebiscito in cui gli elettori sono chiamati alle urne per stabilire se rinnovargli o meno il mandato presidenziale per altri otto anni. La TV di Stato manderà in onda due spot di 15 minuti ciascuno, uno per il si a Pinochet ed uno per il no, nei 27 giorni precedenti la data delle elezioni fissata per il 5 ottobre. Il fronte del NO, che racchiude principalmente democristiani e socialisti, decide di affidare la propria campagna elettorale a René Saavedra, un giovane e talentuoso pubblicitario che nonostante gli scarsi mezzi a sua disposizione riesce a far breccia nel popolo cileno attraverso un sistema di comunicazione innovativo e rivoluzionario che affronta i temi politici con ironia, allegria e leggerezza per renderli più appetibili e immediati come se fossero dei normali spot pubblicitari.

All’inizio il protagonista, interpretato da un ottimo Gael García Bernal, è attaccato e criticato dal fronte del no per il suo approccio lieve e gioioso che viene frainteso ed interpretato come una mancanza di rispetto nei confronti delle migliaia di vittime della dittatura militare. L’intento di Saavedra, figlio di un esule cileno, è invece quello di convincere gli scettici, sicuri che il referendum sia solo una farsa organizzata dal regime, gli indecisi e gli indifferenti ad andare a votare catturando la loro attenzione con spot colorati, vivaci, solari e ottimisti. La sua è una campagna elettorale/pubblicitaria proiettata verso il futuro, con un jingle/slogan a dir poco irresistibile (La alegria ya viene), desiderosa di voltare pagina, a differenza di quella per il si, volgare, sporca e minacciosa, volta a far leva sulle paure degli elettori con la sinistra descritta come un covo di terroristi rossi (vi ricorda forse qualcuno di casa nostra?).

In No – I giorni dell’arcobaleno, che si apre e si chiude in modo geniale con i titoli di testa e di coda che vengono letteralmente “sfogliati”, ritroviamo nuovamente Alfredo Castro, attore feticcio di Pablo Larrain presente in tutti e quattro i suoi film, nell’ennesimo ruolo sgradevole affidatogli dal regista seppur leggermente meno fastidioso di quelli interpretati in Tony Manero e Post Mortem e Antonia Zegers, un volto che non si dimentica tanto facilmente già presente nei due lungometraggi precedenti dell’autore e nella miniserie tv Prófugos da lui prodotta.

Per rendere al meglio quel determinato periodo storico Larrain ha utilizzato le macchine da presa a bassa definizione dell’epoca e un formato ridotto per inserire in modo naturale e non artificioso i materiali d’archivio, compresi gli autentici spot andati in onda per la campagna referendaria. La fotografia che ne deriva, curata dal sodale e fidato Sergio Armstrong, è davvero particolare e si presenta opaca e desaturata.

Il cinema di Pablo Larrain con No – I giorni dell’arcobaleno inizia timidamente a stemperare i toni, a farsi più arioso, com’era inevitabile che fosse, nel mettere in scena l’epilogo della dittatura cilena, dopo averci mostrato in Post Mortem l’inizio dell’orrore con la tragica rappresentazione del colpo di stato e in Tony Manero gli anni bui, asfittici e claustrofobici del regime militare. Prova ne sia il finale liberatorio, col protagonista incredulo e restio a lasciarsi andare e a gioire davvero per la fine di un incubo. Anche il cineasta cileno con questa sua ultima fatica si libera del pesante fardello rappresentato dalla dittatura del generale Pinochet. Dopo tre pellicole incentrate sulle dolorose ferite del suo Paese, che ne hanno fortemente caratterizzato stile e poetica, il suo cinema potrà prendere direzioni diverse e nuove traiettorie che attendiamo con grande interesse e curiosità.

Il film esce in sala in concomitanza con l’inizio della Festa del Cinema, che per una settimana offrirà in tutta Italia l’opportunità di assistere alle proiezioni pagando un biglietto ridotto di soli tre euro: a tali condizioni perdersi un’opera come questa sarebbe davvero imperdonabile. Se ne raccomanda a tutti la visione, in particolar modo ai vertici del Partito Democratico per comprendere, una volta per tutte, come portare avanti una campagna elettorale degna di questo nome.

Boris Schumacher

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