Umorismo nero e una strana dolcezza si intrecciano in Sunlight,una dark comedy on-the-road scritta da Shenoah Allene diretta dalla nota ventriloqua e comica Nina Conti, proiettata in occasione della 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Allen e Conti, oltre a scrivere e dirigere il film, ne interpretano anche i bizzarri protagonisti, rendendo ancora più intima la narrazione; accanto a loro, si distinguono le interpretazioni memorabili di Melissa Chambers e Bill Wise.
La trama
Il film svela immediatamente le sue carte, con un incipit assurdo e tragicomico: un tentato suicidio, e una scimmia che osserva la scena alla finestra.
Poi, il salvataggio.
Il quasi-suicida è Roy (Allen), mentre la strana salvatrice mascherata da scimmia (Conti) si fa chiamare Monkey e parla con voce da cartoon.
L’incontro tra queste due bizzarre figure li conduce in un viaggio attraverso il deserto: Roy deve disotterrare suo padre (!!) e appropriarsi di un orologio di immenso valore; Monkey si accontenta di arrivare al lago e avviare una propria attività per turisti.
Durante il surreale viaggio, tuttavia, tra i due nascerà un inaspettato legame, un sentimento grottesco, paradossale, ma non privo di momenti di toccante delicatezza, che doneranno allo spettatore più di un sorriso.
Non solo: Roy scoprirà ben presto che dietro la sagace scimmia vi si nasconde una figura fragile, in fuga da qualcosa da un passato molto più complesso.
Una scimmia che gioca a nascondino
In puro stile britannico, Sunlightspinge fin da subito sull’acceleratore dell’umorismo nero, giocando con il nudo, il sesso e la morte con toni leggeri e scanzonati, come se i nostri protagonisti non fossero altro che due bambini che si divertono a vagabondare per il mondo, curiosi di scoprire fino a dove loro e tutti gli altri possano spingersi.
L’assolato universo di Sunlightsegue regole proprie, dove l’assurdo significa nella norma e permea ogni singolo personaggio, rendendolo a suo modo indimenticabile.
Conti e Allen enfatizzano ogni stranezza non solo attraverso i dialoghi, ma anche con i primi piani: spesso basta solo un’espressione silenziosa, come il volto estatico della scimmia o il cipiglio stralunato della madre di Roy, per scatenare in sala una risata.
Specialmente all’inizio, la vena grottesca pare non abbandonare mai il film, risultando a tratti quasi gratuita; tuttavia, nella seconda metà, ovvero proprio Jane, la persona vera celata dietro a Monkey, inizia lentamente a emergere, i toni si smorzano un poco.
È in questo momento che emergono il senso di solitudine, inadeguatezza e confusione che attanaglia i nostri protagonisti; sentimenti da cui Jane cerca di proteggersi fingendo di essere un gigantesco e scaltro pupazzo.
In cerca di un raggio di sole
C’è molta tristezza dietro alla maschera di Monkey, dietro al sorriso di Roy.
Eppure, il tono grottesco si rivela essere quello giusto per raccontare questo tipo di trama.
Il semplice fatto di mascherarsi e fingere in questo modo di essere qualcun altro che ragiona, pensa e agisce al posto nostro, rimanda inconsciamente al mondo dell’infanzia, del gioco. Un mondo che sappiamo non essere sempre roseo come dovrebbe, ma che nasconde traumi profondi impossibili da affrontare senza gli strumenti adeguati.
Strumenti che spesso i bambini non possiedono.
E Jane è un po’ una bambina, ancora. Come anche Roy, e forse anche il cattivo della storia lo è, fissato con i moduli e le biciclette come fossero i suoi giochini preferiti.
Sunlight è una storia di adulti bambini. E ai bambini basta poco per essere felici.