Dalla sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma e dal 4 dicembre su Netflix, Il treno dei bambini è l’ultimo lavoro firmato da Cristina Comencini. Il ritorno dietro la macchina da presa della rinomata e apprezzata regista prende spunto dall’omonimo romanzo di Viola Ardone, portando lo spettatore a vivere emozioni molto forti, oltre a ricordi indelebili.
Distribuito da Netflix, realizzato con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e di Film Commission Torino Piemonte, il film porta la firma di Furio Andreotti, Giulia Calenda, Camille Dugay e della stessa Comencini, ed è prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra per Palomar.
Il treno dei bambini | La trama
Siamo negli anni della Seconda Guerra Mondiale, tra il 1944 e il 1946. A Napoli vivono, tra stenti e povertà, Amerigo (il bravissimo Christian Cervone) e sua mamma Antonietta Speranza (Serena Rossi). Sebbene la giovane donna si impegni il più possibile per dare un futuro al figlio, le cose sono troppo difficili per una persona sola, soprattutto in quei tempi. Nel frattempo, Amerigo non fa che cacciarsi nei guai, vivace e intraprendente quale è.
É una storia per riconoscersi. – Viola Ardone
Il giorno in cui, finalmente, Antonietta si decide, Amerigo viene messo su un treno che lo porta verso il Nord Italia, insieme a due suoi amichetti, Tommaso e Mariuccia. L’iniziativa, promossa dai comunisti, permette alle famiglie più bisognose di ricevere un aiuto da chi può permetterselo, a patto di separarsi per qualche mese dai propri figli. Così, Amerigo fa la conoscenza di Derna (Barbara Ronchi), donna single e impegnata politicamente, con la quale il rapporto fatica all’inizio a stabilirsi.
Il neorealismo di Cristina Comencini
Girato, tra le tante e varie location, anche a Poviglio, Roccabianca e Guastalla – località nella regione dell’Emilia Romagna – Il treno dei bambini ricorda da vicino il neorealismo, con le dovute e ovvie differenze. Anche qui, uno spaccato di vita reale viene portato in scena, restituendo l’atmosfera, gli odori e gli umori di una precisa epoca storica. «Il cinema è concreto – dice la stessa regista durante la conferenza stampa – E noi abbiamo cercato di dare grande credibilità a tutta la storia, ovviamente scegliendo una parte del romanzo. Volevamo che fosse il più possibile un film autentico».
Grazie a progetti simili, il pubblico ha la possibilità di avvicinarsi a un periodo che, inevitabilmente, gli appartiene. Oltre a conoscere vicende magari ignote: i cosiddetti treni della felicità furono un progetto solidaristico nato da un gruppo di donne del Partito Comunista Italiano, nel secondo dopoguerra. Si stima che tra il 1945 e il 1947, oltre 70.000 bambini italiani vennero ospitati da famiglie del Centro e del Nord Italia.
Ciò che si offriva loro non erano solo cibo, abiti, istruzione, quanto piuttosto una casa vera e propria, una famiglia d’adozione, che talvolta diveniva quella definitiva. Sì, perché alcuno bambini scelsero di non tornare al luogo d’origine, mentre altri mantennero i contatti tramite pacchi e corrispondenza.
La pellicola della Comencini rende molto bene l’idea, forte chiaramente di una solida base letteraria su cui poggiarsi e di un parterre attoriale a dir poco magistrale. Ne emerge un ritratto vero di questi personaggi e delle loro storie. Sebbene il target sia piuttosto ampio, essendo un’opera comunque commerciale e non di nicchia, si apprezza la ricercatezza dello stile, della fotografia e dei dettagli più curati, che siano le espressioni verbali o un capo d’abbigliamento.
Le dichiarazioni di Cristina Comencini e Barbara Ronchi in questo video
Per scrivere musica, bisogna appoggiarsi a delle emozioni. – Nicola Piovani