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Festival di Roma

Le ‘Persone’ oltre i matti: intervista al regista Carlo A. Bachschmidt

La storia di come un progetto visionario ha salvato la vita dei pazienti reclusi in un manicomio di Roma. Il documentario "Persone" raccontato attraverso le parole del suo regista

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persone documentario 2024 carlo a. bachschmidt

Presentato durante la 19ª edizione della Festa del Cinema di Roma, Persone è il nuovo documentario di Carlo A. Bachschmidt sulla storia, lontana ma mai dimenticata, del progetto Giuseppina e di un “residuo manicomiale” che, riscoperto oggi, regala uno spunto di riflessione sull’avvenire di tutti.

Negli spazi dell’ex manicomio S. Maria della Pietà a Roma, si fanno vivi i ricordi di alcuni dei protagonisti del ‘Progetto Giuseppina’, un piano riabilitativo che dal 1995, applicando fermamente la Legge Basaglia, ha favorito il processo di deospedalizzazione dei pazienti reclusi.

Una rivoluzione di umanità e psichiatria raccontata attraverso i ricordi di medici e psicologi che in prima linea si sono votati alla causa e offrono ora, orgogliosi, le loro memorie, in particolare quelle legate ad Anna e Giuseppina, due pazienti problematiche, “matte”, riscoperte persone. A questo si contrappone il punto di vista di un relatore, interpretato nel film da Gianluca Bottoni, figura volutamente artificiosa, eppure ormai familiare, in rappresentanza di una nuova frontiera hi-tech della cura.

Le parole del regista, Carlo A. Bachschmidt

Carlo A. Bachschmidt, Genovese, architetto, inizia il suo percorso professionale nel settore della comunicazione sociale. Dal 2001 si specializza nell’analisi dell’archivio video fotografico sul G8. È autore e regista di alcuni documentari, tra cui Black Block, presentato alla 68° Mostra del Cinema di Venezia, La provvista e La scelta.

Taxidrivers lo ha intervistato riguardo questo nuovo, interessante, progetto che, ancora una volta, punta i riflettori su una rivoluzione capace di mettere in discussione un sistema.

persone documentario 2024 carlo a. bachschmidt

La facciata dell’ex manicomio Santa Maria della Pietà (Roma, 2024)

Come è nata l’idea di realizzare un documentario sul “Progetto Giuseppina”?

L’idea di questo progetto non nasce direttamente da me. Gianluca Bottoni, l’attore che si vede nel film e che insieme a me e Ruben (R. Gagliardini n.d.r.), è autore del soggetto, mi ha contattato per propormi un documentario sul progetto Giuseppina, iniziativa del Comune di Roma, in collaborazione con alcuni operatori sanitari, la dottoressa Di Nella e la cooperativa di Yvonne Couvert, per avviare un percorso attraverso il quale alcuni degli ultimi pazienti del Santa Maria della Pietà, prima della sua chiusura definitiva, potessero essere resi più autonomi possibile. Sempre all’interno di strutture protette, ma in ogni caso più indipendenti di quanto lo fossero mai stati nel manicomio che, come viene più volte descritto nel film, era una struttura quasi carceraria.

Quando Gianluca mi ha proposto questa idea ho risposto con molto entusiasmo, perché tra i miei tanti interessi, c’è anche quello di dare voce a chi, come dire, non ha diritto di esistere; come chi viene rinchiuso in queste strutture manicomiali, persone che esistono tuttora e che vengono ancora controllate anche se in modo meno repressivo, con gli psicofarmaci, ad esempio. 

Quali sfide ha portato?

Abbiamo avviato il progetto con il contributo del comune di Roma e con tempi strettissimi. In tre-quattro mesi dovevamo scriverlo, fare le riprese e misurare il nostro soggetto con la realtà di chi abbiamo conosciuto. É stata una sfida completamente diversa da quelle che ho vissuto negli altri documentari. 

Io sono di Genova, Ruben è un marchigiano ormai milanese e di certo non conoscevamo la storia di questa realtà che parte dal ’78, quando la legge Basaglia è entrata in vigore e si chiude nei primi anni 2000, quando la struttura ha chiuso definitivamente.

Tommaso Losavio

Tommaso Losavio in Persone (Carlo A. Bachschmidt, 2024)

Come vi siete approcciati a una storia che non conoscevate e cosa vi ha colpito di più?

Siamo andati a Roma a conoscere le persone chiave che avevamo dedotto dal racconto di Giuseppina, come il professor Losavio, l’ultimo direttore del manicomio. Colui che, come dice nel film, ha accettato questo incarico proprio con la sfida di chiuderlo, portando all’esterno queste persone in un modo conforme a quello che la legge Basaglia indicava.

Quello che mi è sembrato subito interessante nel conoscere Losavio e successivamente gli altri operatori è che hanno realizzato un progetto pilota, impegnandosi per la prima volta senza conoscerne in anticipo l’esito. Si sono inseriti in un progetto nuovo, senza un manuale a cui attenersi, e non sapevano se queste persone sarebbero state in grado di acquisire l’autonomia necessaria per vivere diversamente da come gli era stato imposto fino a quel momento.

E nel loro racconto appassionato abbiamo colto storie con molti punti in comune e che si protraggono per diversi decenni. Raccontano che alcuni pazienti, quando sono entrati all’interno della struttura del manicomio, erano molto giovani e dunque non ebbero modo di conoscere quel mondo esterno che è il mondo di tutti noi e di come sia stata una scoperta importante farli progressivamente uscire, in primis dal loro reparto.

L’ospedale psichiatrico era immenso con decine di padiglioni inseriti in un parco urbano. All’epoca era una sorta di cittadella nella città, era indipendente e ci vivevano addirittura alcuni operatori sanitari. Dunque una struttura che poteva permettere a quasi tutti i pazienti di essere, tra virgolette, liberi di muoversi al suo interno.

Il passo successivo era quello di fargli conoscere la realtà del mondo esterno. 

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Interno dell’ex manicomio Santa Maria della Pietà (Roma, 2024)

Il titolo del documentario è ‘Persone’. Quanto è importante questo aspetto di umanità nelle storie che avete sentito e raccontato nel film?

In tutto questo racconto, è emersa la storia appassionata dei medici e di come sono cambiati insieme ai pazienti. Gli operatori hanno constatato un forte cambiamento nei pazienti, notando che alcune delle loro reazioni particolari non erano causate solamente dalle patologie, ma erano nate proprio dal vissuto che Losavio definisce ‘repressione istituzionale’, dal quale i pazienti dovevano difendersi in qualche modo, anche con atteggiamenti aggressivi. Comportamenti che hanno poi abbandonato frequentando altri ambienti, come la struttura del lago di Bracciano raccontata nel film.

La trasformazione di queste persone, e qui arrivo alla questione del titolo, faceva crescere anche gli operatori sociali, i quali avevano compreso istintivamente qual era il processo utile per poterli accompagnare all’esterno, scoprendo con loro un’umanità e una capacità dei pazienti di conquistarsi un’identità: l’obiettivo principale di tutto il Progetto Giuseppina.

Già all’interno del manicomio, ma soprattutto dopo, all’esterno, alcune di queste persone sono state in grado di portare avanti attività che erano state insegnate loro nel corso del progetto e che in seguito sono diventate il modo principale di esprimersi. Anna, una delle pazienti su cui ci siamo soffermati, perché tra le più problematiche e di cui gli intervistati si sono occupati maggiormente, insieme a Giuseppina, aveva imparato a esprimersi attraverso il disegno, realizzando delle tele, illustrazioni finite anche all’interno di mostre d’arte e che noi abbiamo deciso di rendere in un’immagine del film.

Alberto Paolini

Alberto Paolini in Persone (Carlo A. Bachschmidt, 2024)

A proposito di questo, chi è Alberto Paolini e perché è una testimonianza vivente del successo del Progetto?

Alberto Paolini è una persona molto anziana, ha più di 90 anni, e ha una storia molto particolare, perché le sue patologie non erano sicuramente gravi, ma ha ugualmente vissuto tutte le fasi delle cosiddette terapie che venivano imposte ai pazienti nel manicomio, compreso l’elettroshock. È l’unico paziente del Santa Maria della Pietà che siamo riusciti a raggiungere in così poco tempo, Grazie a Losavio e a Ilario Volpi, un altro psichiatra protagonista del film. Da lui siamo riusciti a farci raccontare la sua esperienza di vita che non nasce nel manicomio.

Paolini viene affidato da bambino a una famiglia alto-borghese romana la quale, però, visti i suoi problemi di socializzazione e timidezza che non gli permettevano di vivere come loro desideravano, lo portò da psicologi e psichiatri che consigliarono di chiuderlo al Santa Maria della Pietà. Inizialmente lo scopo era proseguire le terapie. Poi però la famiglia l’ha abbandonato. Lui è rimasto all’interno di questa struttura e ci ha vissuto per tutta la vita, anche lavorando, perché era uno dei pazienti in grado di mantenere un certo livello di autosufficienza, scrivendo. É riuscito, infatti, nell’arco del tempo, con pezzi di carta recuperati all’interno della struttura, a scrivere moltissimi pensieri, poi ricomposti e pubblicati in alcuni libri.

Taxidrivers alla Festa del Cinema di Roma 2024

La sua lucidità e la sua capacità di raccontare ci sono sembrate utili, non per tracciare il percorso della sua vita o per valorizzare, come è stato fatto in altri documentari, la sua produzione di poesie, ma per rendere viva la testimonianza di quel trauma e della violenza che lui ha subito nei manicomi. Paolini rappresenta questi pazienti recuperati, ai quali viene restituita una dignità mai conosciuta, e attraverso questa, finalmente, anche in tarda età, riescono a realizzare alcuni dei loro desideri più profondi, esprimendo la loro natura e la loro sensibilità, al di là delle patologie che comunque, pur regredite, restano.

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Ilario Volpi e Yvonne Couvert in Persone (Carlo A. Bachschmidt, 2024)

Come vi siete comportati riguardo il materiale d’archivio?

Sull’archivio c’è un doppio interesse. Innanzitutto in merito ad Anna e Giuseppina, persone decedute, che potevano essere raccontate solo attraverso altre. Il materiale privato che le operatrici ci hanno messo a disposizione è stato prezioso. Abbiamo subito visto e dunque immediatamente filmato situazioni chiave, come ad esempio il momento in cui Mariella (la psicologa che ha seguito Anna) e Yvonne sono sedute su una panchina nel parco del manicomio e ricordano le pazienti attraverso alcune fotografie e disegni. 

Quella è stata una situazione che non abbiamo neanche dovuto provocare. Loro stesse si sono offerte di portare queste immagini per potercele far conoscere e ricordare insieme a loro momenti di vita. Allo stesso tempo l’archivio per me è stata una scommessa. Mi interessava costruire un racconto che potesse anche essere narrato anche con le immagini e non solo attraverso le interviste.

Come dicevo, il tempo a disposizione è stato veramente poco ma, ad esempio, con l’archivio Aamod abbiamo avuto una risposta immediata. Ci hanno messo a disposizione alcuni reperti e abbiamo cercato di sfruttarli al nostro meglio per poter rappresentare, non solo il contesto nel quale si svolgevano i fatti, ma anche restituirne un’immagine attraverso dettagli più descrittivi e altri più metaforici. 

Come le mucche, citate due volte nel film, che ci ricordano come abbiamo trattato diversamente alcuni esseri umani e continuiamo a farlo esattamente come con gli esseri animali. Questo suggerimento, partito da Ruben, mi è sembrato molto efficace per dare aria e spazio al tema più generale del film che non voleva essere solamente ricostruzione, memoria di un fatto di cronaca passato, ma l’attuale questione della diversità e della normalità.

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Gianluca Bottoni in Persone (Carlo A. Bachschmidt, 2024)

Nel documentario è presente una parte di fiction con protagonista l’attore e co-autore Gianluca Bottoni. Quale significato attribuisci a questa scelta?

L’obiettivo, ambizioso era non far cadere il racconto come se fosse una bella esperienza chiusa qualche decennio fa, ma capire come in realtà il problema di fondo, dell’approccio alle diversità, sia una questione che riguarda tutti noi ancora oggi. Dunque il monologo, la fiction, abbiamo cercato di renderlo il più diversa possibile dal documentario.

Lo spettatore non si sente davvero parte del racconto se non attraverso questo inserto. Perché dico questo? Perché sapere che uno è diverso rende tutto più facile, è comodo, finisce tutto bene, i pazienti riescono a recuperare una loro autonomia e il manicomio chiude ma il tema in fondo resta. La tecnologia, l’IA mi ha permesso di rendere il film più vicino alla sensibilità dello spettatore. Questa tecnologia, presumibilmente, risolverà molti problemi, anche nel quotidiano, rendendoci la vita più semplice, ma in cambio ci chiede di concederle un grande controllo su di noi, una sorta di repressione di altro tipo. Non più delle istituzioni ma delle società private di cui l’intelligenza artificiale è un prodotto; una repressione che non permette, ancora una volta, alle diversità di manifestarsi e trovare un equilibrio.

Volevamo attualizzare questa tematica, far uscire lo spettatore dalla sala con una sensazione di disorientamento. L’IA è qualcosa di sì, misterioso, ma sicuramente utile. Accostata al racconto del Progetto Giuseppina, crea contrapposizione tra due storie accomunate dal tentativo di sollevare l’essere umano da situazioni di sofferenza. L’attore, definito nel ruolo di relatore di una conferenza e soprannominato, tra di noi, antagonista, è colui che in forma positiva promuove un futuro di salute pubblica, efficiente e risolutiva di tutti i problemi, ma che per farlo dovrà controllare, massivamente, l’esistenza di ogni essere umano.

roma 2024

Un’istantanea di Roma – Persone (Carlo A. Bachschmidt, 2024)

Pensi di aver raggiunto lo scopo che vi eravate prefissati?

Ho scelto questo titolo non solo perché loro nominano più volte il termine persone riferendosi ai loro pazienti, ma proprio perché rispecchia l’obiettivo, ambizioso, del tema che volevo sviluppare, anche attraverso l’inserto di fiction con l’attore che interviene sull’IA. Volevo ricordare un po’ a tutti noi che al di là di queste particolarità che ci rendono diversi gli uni dagli altri, condividiamo l’appartenenza al genere umano. Prima di tutto siamo persone, poi con tutte le nostre differenze ci possiamo caratterizzare, non dividere.

Era quindi l’auspicio che questo film potesse in qualche modo ricordarci che, ad esempio, se vogliamo raggiungere un desiderio, vivere un desiderio che per noi è importante, siamo capaci di poterlo fare e l’esperienza del Santa Maria della Pietà per me è stato il contesto attraverso il quale esprimere questa volontà che è propria di ogni essere umano.

Con tutte le difficoltà che avevano, le persone di questa storia hanno dimostrato che con un atto di volontà si può cambiare la propria vita.

Perché vedere Persone: l’importanza di riflettere sul passato per un futuro migliore

Persone, guadagnatosi una candidatura anche al Sorriso Diverso Rome Award 2024, è un film dai due volti che, come raccontato dal suo regista, propone una prospettiva diversa sul nostro futuro attraverso un esempio positivo del passato, invitando lo spettatore ad aprire gli occhi sui cambiamenti che le società stanno vivendo a una velocità vertiginosa, accogliendoli ma senza permettergli di sopraffarci.

Nella ricorrenza del centenario dalla nascita di Franco Basaglia, Persone ci parla di ciò che è stato fatto in tempi non sospetti, ricordandoci che la lotta è perpetua e non ha mai smesso di esserlo. Stigmatizzare le diversità attraverso la violenza, istituzionale e sociale, non è giusto. Questo film è il racconto di come si può operare bene anche mettendo in discussione lo status quo. Un monito per il futuro.

 

Persone

  • Anno: 2024
  • Durata: 65'
  • Distribuzione: Soul Film Production
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Carlo A. Bachschmidt