Tra gli special screening della Festa del cinema di Roma (qui per tutte le notizie sul festival) arriva anche il documentario San Damiano di Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes. Il documentario racconta la storia di Damian, un polacco di 35 anni, in fuga dai fantasmi del passato che decide di trasferirsi a Roma per ricostruire la sua esistenza. Arrivato alla Stazione Termini senza un centesimo, invece di unirsi ai senzatetto che dormono in terra, si arrampica su una torre delle antiche Mura Aureliane che sovrastano la stazione, facendone la sua nuova casa.
Per conoscere meglio Damiano e per comprendere a fondo le scelte del documentario abbiamo fatto alcune domande ai due registi, Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes.
Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes e il loro San Damiano
Ho letto della genesi del film, del fatto che è nato quasi per caso. Quando e come avete capito che Damiano poteva essere il protagonista di un film? Perché è vero che è diverso dagli altri che si vedono sia nel film che in generale, ma ognuno (e tutti insieme) dà, in qualche modo, origine a un film. Perché proprio lui?
Gregorio: Abbiamo iniziato da Damiano perché l’abbiamo conosciuto quando lui era appena arrivato. Poi lui cantava, per cui abbiamo iniziato a riprenderlo, abbiamo fatto prima un corto su di lui e poi, attraverso di lui, si sono aperte le porte a tutti gli altri personaggi che ci sono nel film. Possiamo dire che lui è stato un po’ il nostro Virgilio, in un certo senso. Noi eravamo lì per scrivere un film di finzione e abbiamo conosciuto lui, che ha un entusiasmo, un carisma travolgente, quindi ci ha scombinato subito i piani e neanche ci siamo interrogati troppo.
Alejandro: Dopo averlo conosciuto siamo tornati subito con la telecamera, abbiamo cominciato questo progetto e l’inizio è stato un po’ trascinato dal suo carisma, abbiamo visto che assorbiva tutte le nostre energie artistiche. Ci ha coinvolto così tanto che era quasi inevitabile che sorgesse un corto e che poi dopo il corto, come diceva Greg, ci aprisse le porte a tutti gli altri personaggi, che meriterebbero anche loro di essere protagonisti di altri progetti.
Però è stato la sua personalità tracotante a vincere, anche da un punto di vista non solo di musica, ma proprio artistica. Lui è un artista e quindi abbiamo voluto raccontarlo. Poi ci siamo resi conto che il corto non bastava.
Effettivamente è un personaggio talmente particolare che non si poteva riassumere in un corto.
Alejandro: A noi ha affascinato subito questo contrasto. Chiaramente capivamo che aveva dei problemi psicologici, psichiatrici, ma comunque aveva vissuto una vita violenta fatta di tante ingiustizie. Quindi da una parte c’è un aspetto più crudo e violento, dall’altra parte questa speranza intramontabile, questa voglia di fare musica, di farcela, di salvarsi attraverso l’arte con un bisogno di esprimersi e di creare. Quindi queste due cose insieme ci hanno subito catturato.
Come entriamo nella storia
A introdurci alla storia è una frase di Alda Merini in apertura che fa comprendere la direzione della storia, ma che credo sia anche un elemento necessario a farci capire che quello che vediamo è sia realtà che finzione, dipende da come decidiamo di guardarlo.
Gregorio: Sì, il nostro intento è stato quello di fare un documentario che fosse meno documentaristico possibile, ma più simile a un film, quindi senza le interviste classiche. Perché l’obiettivo era di andare nel profondo e di creare un legame emotivo con questi personaggi, cioè tra lo spettatore e i personaggi.
Infatti ci si dimentica anche di vedere un documentario, non so come ma siete riusciti a entrare proprio dentro i personaggi nella maniera in cui non sembrano estranei. Il modo in cui riuscite a descrivere il rapporto tra i vari personaggi è interessante: sembrano umani al 100% e rendono labile il confine tra documentario e finzione.
Alejandro: Noi comunque, oltre alla questione artistica, abbiamo un po’ fatto fede a quello che abbiamo provato. Cioè noi con loro abbiamo avuto un rapporto che non era il rapporto che si ha con un intervistato, cioè noi ci siamo veramente immersi, abbiamo avuto veramente un legame con loro che credo si veda nel film e che non è quello tra intervistatore e intervistato. Cioè noi avevamo già passato del tempo con loro a telecamere spente, abbiamo fatto amicizia e abbiamo trascorso tanto tempo con loro e siccome avevamo il materiale per costruire qualcosa che non fosse freddo, che non uscisse mai dalla loro storia che è vissuta, non raccontata, ci è stato anche facile scegliere questa via.
I personaggi del documentario di Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes
Addirittura alcune azioni o dialoghi dei personaggi sembrano talmente assurde, talmente strane che viene quasi da dire che non è possibile, invece poi ci si ricorda che è un documentario ed è vero. Anche loro, immagino, si sono aperti con voi in questo modo, insomma in maniera tale da mostrarsi al 100%.
Alejandro: Dico solo una cosa velocissima a tal proposito, che è un’esperienza condivisa da me e Gregorio. A differenza di quello che uno si aspetta (il cibo, per esempio), la prima necessità era raccontarsi: qualcuno che spende del tempo perché loro hanno bisogno di parlare e di esprimersi e di raccontarsi. Che questa sia la loro prima necessità lo abbiamo capito subito quando abbiamo iniziato col volontariato. Portavamo un panino ed erano contenti, ma fermarsi a parlare con loro era la cosa che più restituiva loro gioia perché parliamo di contatto umano, di ascolto. Poi c’è stato anche chi si è dimenticato che ci fosse la telecamera, ma comunque era forte il desiderio di raccontarsi.
Poi abbiamo passato tanto tempo là, quindi il tempo è la chiave, perché, oltre al volontariato, abbiamo fatto un anno di riprese: in quel modo riesci a costruire un rapporto con i personaggi, che poi è la chiave della riuscita di un documentario alla fine, il rapporto tra i registi e i soggetti.
E, a proposito di quello che dicevi prima, che il giudizio è lasciato allo spettatore, anche quella è una cosa sia che abbiamo vissuto, nel senso che noi in primis abbiamo costruito un rapporto con loro che era veramente non distante, cioè senza giudizio. Ma anche a livello poi del montaggio, della costruzione, della narrativa. Per me è fondamentale che non ci sia un nostro giudizio.
E a proposito degli altri personaggi?
Alejandro: Ci sono e ci sarebbero tante cose: Sofia era stata estradata dall’America ed è arrivata a Fiumicino perché ha il passaporto. Qui non ha nessun amico o parente e quando è arrivata a Fiumicino le hanno detto di andare a Termini per trovare opere di carità e assistenza. Lei si è ritrovata a Termini come Damiano, arrivato a Roma, alla stazione. Quindi è anche un po’ il racconto della stazione di Roma che ti trasforma, ti inghiotte, perché ci trovi anche l’umanità e scivoli dentro e poi non riesci a uscire.
Un altro elemento che ci ha affascinato subito è che il non luogo della stazione è un luogo che per noi è puramente temporale, cioè tu hai un appuntamento, un treno da prendere, un caffè veloce e quello è un luogo che per noi ha solo un tempo, ma non uno spazio. Per loro, invece, nel loro mondo capovolto il tempo non esiste ed è solo un luogo dove abitano. Quindi questa dimensione completamente capovolta è un altro tema che ci ha affascinato subito.
La musica di San Damiano
Infatti quello che mi è piaciuto è l’inizio con la ripresa dal treno come a dire che noi solitamente vediamo quello che ci circonda in un certo modo, dal treno. Adesso invece ci verrà mostrato come se fossimo noi quel qualcosa in movimento che guarda il treno passare.
Alejandro: Esatto, noi siamo come Damiano, Damiano è come noi sul treno e piano piano scivola invece nel luogo.
Un elemento importante nel film è la musica, sia per come la usate per accompagnare i personaggi nella loro vita e nel loro percorso, sia perché è parte della vita di Damiano. Come avete lavorato in questo senso?
Gregorio: Sì, c’è la musica di Damiano e poi c’è anche la colonna sonora originale che è di un altro Damiano. La cosa che, però, secondo me, è molto interessante è che Damiano attraverso la musica riesce a esprimere delle verità, che normalmente non riesce magari a comunicare, quindi sono dei momenti rivelatori, molto forti che ci raccontano molto di lui. E poi c’è tutta la questione ovviamente che la musica rappresenta per lui il sogno di essere anche accettato dal mondo.
Alejandro: Poi c’è anche la sorpresa portata da noi, avendo una telecamera: loro piano piano, chi di più chi di meno, mostravano questa linea artistica, cioè si esprimevano con questa linea, c’è chi ballava, chi diceva le poesie, chi cantava e quindi c’è anche questa linea artistica sopita perché conducono una vita dura.
Ci ha affascinato anche avere il tempo di collezionare queste espressioni artistiche, anche se Damiano ovviamente è totalizzante, con il suo complesso di superiorità, anche se, come diceva Gregorio, si abbandona attraverso la musica a questa fragilità, a questa emotività che solitamente cerca di reprimere e quindi questo doppio è sempre affascinante.
In effetti i momenti in cui avete inserito la musica sono parte integrante della storia che mostrate e raccontate: non si può scindere Damiano dalla musica perché è un tutt’uno con essa.
Alejandro: Sì, è vero. Come, per esempio, quando viene abbandonato dall’amico e gli dice non lo vuole più, poi canta la canzone di Nek in cui dice invece di non andare via. La sua verità è l’insieme di lui che canta, che dice e che fa.
Il personaggio di Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes
Damiano è un personaggio interessantissimo che, se si volesse considerare San Damiano un film di finzione, sarebbe un po’ un eroe e un po’ un antieroe contemporaneamente.
Alejandro: Secondo me è un antieroe solo nella misura in cui quando la narrazione, cioè la vita, gli presenta l’occasione di comprendere ciò che gli serve per ottenere quello che vuole veramente, lui non ce la fa: in quel senso diventa un antieroe. O meglio, è una sorta di eroe tragico: non accetta l’amore, non accetta di essere come gli altri, di essere come quelli che frequentano la stazione.
Però, allo stesso tempo, sono gli unici forse che in qualche modo lo capiscono appieno. Lui può essere lui veramente solo con loro.
Alejandro: Esatto, lo accettano per com’è. Loro lo accettano, è lui che non si accetta.
C’è una frase a un certo punto che lui dice Non si può dire che io sono un barbone. Lui è uguale a loro, ma diverso. Non trova l’equilibrio e non accetta le cose.
Alejandro: Esattamente. Sta sopra la torre, si depila, è diverso dagli altri. Anche per questo è il protagonista.
Il titolo scelto da Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes
E perché avete scelto proprio San Damiano come titolo?
Gregorio: Ci sono diversi motivi. Prima di tutto lui si faceva chiamare proprio San Damiano e anche gli altri lo chiamavano così. Poi San Damiano perché, per me, la santità sta nella fede incrollabile che lui ha, questa speranza che poi si manifesta nella musica. Poi anche adesso che sta in un ospedale psichiatrico continua questa vena artistica: continua a scrivere romanzi, a creare musica e quindi è una fede incrollabile.
Alejandro: Aggiungo una piccola cosa: la dicotomia che lui vive tra bene e male, che è una narrazione importante (angelo/demone, diavolo/angelo, paradiso/inferno), questa dualità che lui vive e il fatto che si faccia chiamare San Damiano è interessante perché il suo bisogno di salvarsi, la sua fede, come diceva Gregorio, è anche un po’ come lo abbiamo vissuto noi. Noi abbiamo speso tantissimo tempo a parlare per capire come poterlo aiutare. Abbiamo provato varie strade, però noi ci siamo rapportati a lui come San Damiano perché lui dice di sé A volte io sono un diavolo, però noi vedevamo e credevamo alla parte di lui che si voleva salvare e io credo che questo si veda anche nel film.
Poi è anche un martire, se vogliamo aggiungere un elemento, è una sorta di via Crucis la sua.
Progetti futuri
Visto che avete conosciuto queste persone e avete avuto modo di starci vicino e di fare questa esperienza molto particolare, avete già in mente di sviluppare qualcosa legato a questo mondo o comunque a questi personaggi?
Gregorio: Avevamo pensato a una cosa, ma diverso tempo fa: una serialità sugli altri personaggi. Il problema, però, è che molti non li abbiamo più ritrovati.
Alejandro: Io devo dire che artisticamente sono molto preso da questa struttura di cui abbiamo parlato, prendere dei documenti della realtà e farne un film di finzione. Quindi chissà, però devono esserci le storie, le occasioni giuste. Spero di avere davanti l’opportunità di fare ancora questo tipo di racconto. Una sorta di contrario del mockumentary.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli