Un documentario emozionante e introspettivo, commovente e davvero lucido, sulla società contemporanea e l’amore, la cui eredità umana si avverte ben oltre la sola visione
Blanket wearer di Park Jeong-mi è un interessante lavoro di documentazione che la regista ha auto-prodotto e realizzato con una GoPro nell’arco di un anno. L’obiettivo del progetto è di sopravvivere per un anno senza soldi. Il film, che ha esordito al Jeonju International Film Festival, verrà proiettato al Festa del Cinema di Roma il 19 ottobre ed è un appuntamento imperdibile.
Un documentario emozionante e introspettivo, commovente e davvero lucido, sulla società contemporanea e l’amore, nella sua forma più totalizzante. Un film che dovrebbe essere suggerito nelle scuole e la cui eredità umana si avverte ben oltre la sola visione.
‘Blanket wearer’ di Park Jeongmi – una scena del film
Blanket wearer diPark Jeong-mi, la trama
Dopo il tentativo fallito di restare nell’esercito in Corea, e una esperienza lavorativa finita male in Gran Bretagna, Jeong-mi si trova in ristrettezze economiche. La crisi personale ed finanziaria che attraversa la spingono a voltare pagina drasticamente: per questo si imbarca in un progetto di esplorazione e sopravvivenza senza soldi per un anno, registrando tutto di quello che accade con una GoPro ferma sul plesso solare. Jeong-mi filma tutto fuorché se stessa, che vediamo comparire di sfuggita solo un paio di volte.
Dopo una prima esperienza di skip diving, o recupero dai cassonetti, si sposta con una bici in prestito, nella campagna inglese. Dopodiché parte di nuovo per un viaggio che le permetterà di attraversare l’Europa fino al Medio Oriente, in un Iran eccezionale. Tramite auto-stop, o in compagnia di comunità naturiste, hippie, camionisti, e tanto altro, sempre beneficiando dell’altruismo e della condivisione della gente comune.
Being reckless is better than being helpless.
‘Blanket wearer’ di Park Jeongmi – una scena del film
Il bisogno di raccontare
Malgrado la formazione di Park Jeong-mi prima di realizzare Blanket wearer fosse ben lontana da quella di una filmmaker, la regista si rivela una narratrice nata. Chi l’avrebbe mai detto, poi, che il suo primo film sarebbe anche diventato un viaggio spirituale.
Blanket wearer è capace di mostrare obiettività, trasporto, e una certa filosofica introspezione, che aumenta col procedere della storia e la conquista di ulteriore saggezza.
We don’t have electricity, but we don’t have electricity bills. That’s freedom!
L’auto ironia è la nota aggiuntiva di questo racconto, talvolta declinata in sarcasmo, che tuttavia non intacca l’incondizionato rispetto che la regista offre alle esperienze della vita. E, in particolare, l’accoglienza priva di stereotipi con la quale si pone verso le diverse culture, gli stili di vita, i punti di vista, anche quelli più estremi. Tant’è che riesce a comunicare con chi ha fatto voto di silenzio, o con chi parla solo iraniano. Trova affetto tra i camionisti, gli hippie animisti, i commercianti inglesi e gli squatter. Trova affetto tra tutti gli esseri umani.
Separation is illusion. We are all one, we are all connected.
‘Blanket wearer’ di Park Jeongmi – una scena del film ambientata in Iran
L’amore e l’appartenenza
Saltando da una comunità all’altra, da un universo in decrescita felice all’altro, ha certamente la grande fortuna di ricevere accoglienza. Ma l’accoglienza, le insegnano, va esercitata verso il mondo non ricevuta.
We don’t want to live for ourselves, we want to live for others.
E così Jeong-mi scopre di come la sovra stimolazione abbia in un certo senso reso il suo cervello incapace di percepire il contatto con la natura. E come anche in condizioni di estrema libertà, con la bici sparata in discesa o i tramonti su cieli limpidi o in mezzo ad animali affettuosi, non si senta mai libera. C’è una forma di personale prigionia che si porta dentro. E in quel giro del mondo, trova una sua personale chiave di lettura alla vita: è tramite l’amore che raggiunge la vera libertà. È riflettendo sul senso di appartenenza e sulle radici che scopre come alla soddisfazione dei bisogni, e meno ancora al possesso, non corrisponda necessariamente serenità e pace interiore.
Il film offre una visione esperienziale e una alternativa coraggiosa usando una appassionante narrativa da road movie. Jeong-mi diventa l’eroe con cui viaggiamo, complice il punto di vista soggettivo al quale ci costringe. Con Jeong-mi ci si esalta, ci si commuove, si sospira e si vibra di molte e molte più emozioni. E non se ne esce indifferenti, affetti da sindrome di Wanderlust o semplicemente assorti in pensieri profondi ed estasiati dal coraggio che una donna ha mostrato nel cavalcare il mondo.
‘Blanket wearer’ di Park Jeongmi – una scena del film