Dalla filosofia all’arte, la misteriosa figura del Doppelgänger è stata spesso oggetto di riflessione. Già dal cinema muto, infatti, il doppio ha consentito ai cineasti più creativi di sperimentare. The Substance (2024), seconda opera di Coralie Fargeat, conferma il fascino che ancora oggi esso esercita.
Dalla leggenda al cinema
Il termine tedesco Doppelgänger possiede diverse sfumature semantiche, ma comunemente indica il sosia di una persona che, quando compare, preannuncia degli eventi spiacevoli. Questo tema ha attraversato la storia della letteratura e del teatro, basti pensare al romanzo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1866) di Robert Louis Stevenson o alla drammaturgia di William Shakespeare, ma il cinema ha consentito di tradurre visivamente qualcosa che prima si poteva solo immaginare. Fotomontaggio ed effetti speciali hanno permesso di rappresentare il sosia sullo schermo usando l’immagine del medesimo interprete, ma questa non è l’unica modalità. A tal proposito, è possibile realizzare un excursus sulla presenza del Doppelgänger nella settima arte, considerando la varietà di soluzioni che sono state adottate per metterlo in scena.
Il sosia assente
Rebecca – La prima moglie (Rebecca, Alfred Hitchcock, 1940) non è la sola pellicola del maestro del brivido a rimandare alla figura del sosia. La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) lo fa in maniera più esplicita, ma è proprio la maggiore discrezione a fare di Rebecca un esempio interessante. Una giovane e modesta dama di compagnia (Joan Fontaine) si innamora, ricambiata, dell’aristocratico Maxim de Winter (Laurence Olivier). I due si sposano e vanno a vivere nel castello di lui, ma non appena la ragazza metterà piede in casa un fantasma sembrerà gravare su di lei. La prima moglie di Maxim, Rebecca, è morta tempo prima, ma tutti in casa ne conservano ostinatamente il ricordo. Il grande ritratto della donna che troneggia lì testimonia questa devozione, e la nuova signora de Winter è piuttosto somigliante alla prima consorte. A questo punto, la quotidianità della protagonista sarà continuamente ostacolata dal senso di inadeguatezza rispetto a quella figura apparentemente perfetta. La presenza di Rebecca, infatti, è ancora talmente invadente che il suo nome dà il titolo al film, mentre quello della protagonista non viene mai pronunciato.
Tre anni dopo la realizzazione, la dialettica tra la protagonista e il suo doppio sfocerà, in un certo senso, oltre Rebecca. Joan Fontaine interpreterà la protagonista dell’adattamento – diretto e interpretato da Orson Welles – del celebre romanzo Jane Eyre di Charlotte Brontë. Anche in questo caso, si tratta di una giovane donna che, sposando il misterioso e più maturo Mr. Rochester, dovrà confrontarsi con il suo gravoso passato.
Il gioco delle parti
The Substance ambienta l’incontro-scontro tra Elisabeth (Demi Moore) e Sue (Margaret Qualley) nel mondo dello spettacolo, nello specifico la televisione. Eva contro Eva (All About Eve, Joseph L. Mankiewicz, 1950), invece, colloca l’azione a teatro. Nel mondo delle maschere per eccellenza, la giovane attrice Eve Harrington (Anne Baxter) si avvicina alla primadonna di Broadway Margo Channing (Bette Davis) e alla sua cerchia. Da sempre ammiratrice di Margo, Eve ne diventa la segretaria, ma le sue carinerie inizieranno a infastidirla e insospettirla. L’intento della ragazza, infatti, sembra quello di sostituirsi a Margo in ogni ambito della vita. La dialettica che questa grande pellicola mette in scena è quella che si trova, in modo più radicale, alla base di The Substance. La giovinezza è apparentemente innocente, mentre la maturità non è sinonimo di stabilità: in un mondo innervato di ageismo come quello dello spettacolo, nessuno sembra davvero al sicuro.
Al di là del mondo del film, Bette Davis e Anne Baxter ebbero lo stesso e prestigioso riconoscimento. Per Eva contro Eva, infatti, furono entrambe candidate al premio Oscar per la miglior attrice protagonista.
Due volti, un personaggio
Quell’oscuro oggetto del desiderio (Cet obscur objet du désir, 1977), ultima pellicola di Luis Buñuel, offre una delle più criptiche e bizzarre interpretazioni del Doppelgänger. Non si tratta di una traduzione canonica di questa figura, infatti, il personaggio della giovane protagonista di nome Conchita è incarnato da due attrici diverse, Carole Bouquet e Ángela Molina. Laddove il cinema ha sempre cercato di accentuare le somiglianze tra il personaggio e il suo doppio, Buñuel fa interpretare la stessa persona a due interpreti così differenti da renderlo duplice anche a livello caratteriale. Il film racconta della caotica relazione tra Conchita e Mathieu (Fernando Rey), un uomo molto più grande di lei. Nonostante il passaggio da una Conchita all’altra, nessuno dei personaggi sembra accorgersi della cosa: la duplicità è solo per gli occhi dello spettatore, che non troverà risposte ma solo domande.
Il riconoscimento del doppio
Ne La doppia vita di Veronique (La Double Vie de Véronique, 1991) Krysztof Kieślowski affida alla medesima attrice l’interpretazione di due personaggi distinti ma simili. Irène Jacob è sia Weronika che Véronique, rispettivamente una ragazza polacca e una francese, legate dallo stesso talento musicale. Véronique è in viaggio in Polonia quando Weronika la scorge in un pullman, sorprendendosi della somiglianza. La giovane francese, intenta a scattare delle foto, non si accorge della presenza di quella polacca che, qualche giorno dopo, muore durante un’esibizione canora. Successivamente, Véronique scopre di non poter più cantare a causa di problemi di cuore, dunque si dedica all’insegnamento. A scuola conosce Alexandre (Philippe Volter), un marionettista col quale nasce una relazione: sarà lui a farle notare che, in una delle foto scattate a Cracovia, c’è una ragazza incredibilmente simile a lei. Il particolare legame tra le due consente loro di sentire qualcosa di forte nel momento in cui gli occhi dell’una cadono sull’altra, ma non si vedranno mai contemporaneamente. Nella malinconica e avvolgente pellicola di Kieślowski, è come sa la vita dell’una fosse resa possibile dalla sparizione dell’altra, nonostante la tenerezza del nesso che intercorre tra loro.
A duplicare la loro storia – e il film – saranno le marionette di Alexandre.
Sogno o realtà?
L’inquieto mondo di David Lynch è costellato di Doppelgänger. Da Strade Perdute a Twin Peaks, la difficoltà di giustificare razionalmente le opere dell’autore sta anche nell’impossibilità di dare un’identità univoca ai suoi personaggi. Mulholland Drive (Mulholland Dr., 2001) è l’esempio più radicale: le due attrici protagoniste, Naomi Watts e Laura Harring, interpretano ciascuna due personaggi differenti che non appartengono alla medesima realtà. Un’opera come quella di Lynch invita all’interpretazione ma, allo stesso tempo, rende poco soddisfacente qualsiasi speculazione. Se il suo fascino sta nell’impossibilità di venirne a capo, basti prendere atto della coesistenza, seppur paradossale, delle molteplici dimensioni che compongono il film e, con lei, della sfaccettatura delle due protagoniste. Significativamente, a costituire il mondo di Mulholland Drive è Hollywood: ancora una volta, un luogo che dietro una maschera ne nasconde un’altra.
Desiderio e odio
In The Substance l’attraente e fresca Sue non è una sosia della più matura Elisabeth, bensì una “versione migliore”. Se il Doppelgänger mette spesso davanti agli occhi del personaggio ciò che è, in questo caso Sue ricorda a Elisabeth, per contrasto, cosa non è più. La donna, ex icona del cinema ora ritenuta obsoleta, spera di ringiovanire assumendo una strana sostanza. Inaspettatamente, dal suo corpo ne nasce uno nuovo, quello di Sue. Il personaggio di Demi Moore pensa di poter sublimare la sua insoddisfazione nel successo della giovane che lei stessa ha in qualche modo generato, ma questa inizierà a desiderare di più per sé. Nel film di Coralie Fargeat la matrice e il suo doppio non possono coesistere contemporaneamente (devono alternarsi ogni settimana), ed è qui che si annida il loro dramma: hanno lo stesso desiderio, ma la realizzazione di Sue comporta l’annullamento di Elisabeth. Le due devono ricordare, però, di essere una.
Femminile e molteplice
Si potrebbero individuare innumerevoli e ulteriori esempi nella storia del cinema, ma questi pochi titoli sono uniti da un filo conduttore. Il Doppelgänger è spesso femminile. Le donne sono maggiormente soggette al giudizio sociale relativo all’aspetto fisico e il peso, a volte, è così forte da far desiderare di essere diverse da ciò che si è. Se The Substance riesce a riflettere su questo stato di cose, pellicole come quelle citate sono anche simbolo di una conquista. Ognuno dei personaggi considerati ha, a suo modo, contribuito alla complessificazione dei ruoli femminili. Non semplicemente il doppio ma, piuttosto, il molteplice.