Approfondimento

‘Megalopolis’ il cinema visionario del demiurgo Francis Ford Coppola

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Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola, ovvero il kolossal autoprodotto dopo ben quattro decenni di rinvii produttivi e titubanze creative. Atteso con trepidazione, ha però diviso la critica sin dalla sua presentazione al 77º Festival di Cannes: ennesimo capolavoro coppoliano o deludente opera senile.

Una pellicola imponente non solo nel budget e nella durata, ma anche nel cast, che unisce la nuova generazione di Hollywood con quella della New Hollywood (e quella di mezzo). Adam Driver, Nathalie Emanuel, Aubrey Plaza, Shia Labeouf, Jon Voight, Dustin Hoffman, Talia Shire, Larry Fishburne e Giancarlo Esposito.

In questa opera cinematografica sono importanti anche i numeri. Il 23esimo lungometraggio dell’autore italo-americano ha avuto una gestazione di 45 anni. Sono trascorsi 13 anni dall’ultima sua regia, ossia lo sfortunato Twixt (2011). 120 milioni i dollari i soldi investiti di tasca propria e al momento ha incassato poco più di 10 milioni.

Basandoci su questa linea numerica, si può riassumere in questo modo Megalopolis: 100% Coppola, ma soltanto 40% coppoliano.

Megalopolis, la trama

Cesar Catilina (Adam Driver) è un architetto della megalopoli New Rome, e ha un’idea utopistica per ricostruire questa città completamente distrutta da una catastrofe. La vorrebbe ricostruire in maniera innovativa e avveniristica. Il suo sogno, però, è ostacolato dal sindaco corrotto Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito).

Julia (Nathalie Emmanuel), sua figlia, cerca di emanciparsi dalla situazione di privilegio e oppressione in cui è nata. Si ritrova, però, in una complicata situazione: è affezionata al padre, ma profondamente innamorata di Catilina.

Intanto Hamilton Crassus III (Jon Voight), uno spregiudicato magnate, spinge per il progetto del nipote Catilina. Di converso, Clodio (Shia LaBeouf), cugino di Catilina e nipote di Crassus, è ossessionato da Julia e corroso dall’invidia per le fortune sentimentali ed economiche del cugino.

Megalopolis: 1979-2024

Giocando con il titolo di una delle sue opere più personali ma sfortunate, Un sogno lungo un giorno (One from the Heart, 1982), Megalopolis è il sogno – realizzato – lungo 45 anni; e inframmezzato da 9 lustri nel quale Coppola non ha mai mollato, tra fallimenti (la Zoetrope), film su commissione e continue sperimentazioni tecniche (fortunate e sfortunate).

Un demiurgo, prima ancora che filmaker, che ha sempre creato mondi – cinematografici – utopistici, tenendo in pugno i personaggi e decidendo secondo capriccio se farli vivere o morire. E Megalopolis porta a totale compimento questa sua visione di artefice di mondi, proprio dopo l’ideale Un sogno lungo un giorno.

L’idea di Megalopolis venne a Coppola durante la tormentata lavorazione di Apocalypse Now (1979). Ma è lo stesso autore a riferire che l’origine di questa storia è riconducibile alla visione, quando era bambino, di La vita futura (Things to Come, 1936) di William Cameron Menzies, tratto liberamente dal romanzo The Shape of Things to Come di H.G. Wells.

Un classico della Sci-Fi, a suo tempo innovativo, corroborato dalla poderosa idea di cinema di Coppola, che durante le riprese di Apocalypse Now si credeva Dio, come egli afferma nel documentario Viaggio all’inferno (Hearts of Darkness: A Filmaker’s Apocalypse, 1991) di Fax Bahr, George Hickenlooper ed Eleanor Coppola.

E Megalopolis contiene entrambi questi aspetti. Una visione futuristica retrò della metropoli di New York, ma raccontata con una messa in scena spettacolare e fortemente polemica come se Coppola fosse tornato ai tempi del suo massimo potere produttivo. Se lo avesse girato dopo Apocalypse Now, la pellicola avrebbe potuto  essere un secondo tassello politico sull’imperialismo americano.

Un veemente e sardonico apologo, più che una fiaba

Il sottotitolo recita “fiaba”, quindi una novella di matrice popolare venata da spunti fantastici. La narrazione e le contaminazioni fantasy coincidono con la definizione letteraria, però Megalopolis ha più le sembianze di una caustica parabola. Una fustigante reprimenda di Coppola all’America attuale.

Gli Stati Uniti, con New York sineddoche dell’intera confederazione di Stati, che è una nuova Roma imperialista. Una maxi-metropoli nata e sviluppatasi tra violenze e soprusi. E qui sarebbe necessario recuperare, per creare un collegamento, Gangs of New York (2002) di Martin Scorsese, che mostrava la genesi sanguinolenta su cui è sorta la Grande Mela.

New Rome è un’espansa metropoli panem et circenses. Edonistica e cinica, gestita da senatori senza scrupoli e popolata da mediocri arrampicatori sociali. Un impero tirato a lucido soltanto superficialmente, mentre è già in un avanzato stato decadente. E sempre più involgarito.

Vanno per la maggiore scatenate corse di bighe (una feroce stoccata al fasullo Il Gladiatore di Ridley Scott?), lascive sfilate di moda, cantanti da Social e Tg con servizi giornalistici accattivanti. E il popolo giubila per quanto gli viene offerto. Un pubblico festoso come i soldati arrapati in Apocalypse Now, quando il governo invia al fronte le conigliette di Playboy per dargli un contentino.

L’apologo politico è un altrettanto chiaro rimando all’America di questi ultimi vent’anni. Dalla presidenza socialista ma ugualmente bellica di Obama fino a quella bislacca ma fortemente imperialista di Biden, passando per l’esperienza delirante di Trump.

Figure politiche alla base dei protagonisti di questa vicenda coppoliana. Cicero è Obama, che dietro un atteggiamento paternalista ha comportamenti marziali. Crassus è un senile politicante soltanto superficialmente benevolo, mentre Clodio è una trasfigurazione dell’estremismo demagogico di Trump.

Ma questa grottesca visione critica di Coppola sarebbe stata simile anche durante l’era edonistica di Reagan, l’ex mediocre attore divenuto Presidente che cercava di riportare l’America all’espansione imperialista (tra cui la creazione di uno scudo stellare anticomunismo) e proponeva al popolo pane e giochi circensi.

Rappresentare l’America come una nuova Roma, però, non è nuova. Lo scrittore e politologo Gore Vidal ha spesso equiparato l’impero americano all’antico imperialismo romano. Uno dei suoi più importanti saggi s’intitola Impero (1987), pubblicato quando ancora vigeva la politica viveur di Reagan.

Non va dimenticato che Vidal, dopo la tragedia dell’11 settembre 2011, ha maggiormente criticato il declino dell’espansionismo americano. Megalopolis, versione 2024, inserisce nelle scene finali, tra la manciata d’immagini di repertorio, Ground Zero. Come ugualmente faceva nelle scene finali Gangs of New York, che si chiudeva sulle statuarie Torri Gemelle, divenute simbolo patriottico dell’America.

Ma anche Pier Paolo Pasolini, nel suo ambizioso progetto su San Paolo, che doveva essere un film però poi è rimasto soltanto su carta, e pubblicato postumo in formato “romanzo” (Einaudi, 1977), vedeva New York come una novella Roma. La Grande Mela come nuovo centro del mondo capitalistico, che dal Mediterraneo si era allargato all’Atlantico.

Megalopolis: cinema Bigger than Life

Francis Ford Coppola ha cercato di concepire sempre un cinema Bigger than Life. Non solo come regista-demiurgo, ma anche come produttore-mecenate. Il più fulgido esempio è proprio quel Un sogno lungo un giorno. Una Rom-Com ante litteram che omaggiava il musical hollywoodiano classico, rielaborandolo attraverso l’elettronica.

L’American Zoetrope, creata da Coppola e George Lucas nel 1969, era atta a concretizzare questo sogno: realizzare liberamente le proprie idee di cinema. Il Megalon, la portentosa scoperta di Catilina che permette di realizzare opere resistenti nel tempo, simboleggia la Zoetrope.

Zoetrope letteralmente significa “ruota della vita” (Zoe= esistenza; tropos: giro). Il zootropio è uno degli antenati del cinematografo. Catilina, tramite il Megalon, vuole cominciare a realizzare città che siano utopiche, d’ascendenza artistica. La gente può immergersi e vivere tangibilmente quel sogno visionario.

Megalopolis, oltre alle scudisciate politiche, è anche l’estremo omaggio di Coppola al cinema. Al potere immaginifico che ha di creare mondi e coinvolgere gli spettatori. Tributo cinefilo che già rese con Dracula di Bram Stocker (Bram Stocker’s Dracula, 1992), un adattamento sostanzialmente fedele con alcune licenze, come appunto l’inserimento del primigenio cinematografo e i 16 FPS.

In questo kolossal totalmente personale, l’autore inserisce quasi 129 anni di storia del cinema. Tra rimandi cinefili (il succitato La vita futura) fino al musical classico. Passando per il romanticismo, un aspetto molto presente nella filmografia sanguigna di Coppola.

La passionale storia d’amore tra Catilina e Julia va a inserirsi in tutti quei rapporti amorosi profondi e contemporaneamente ostacolati dalle famiglie e/o dalla società. Come, ad esempio, tra Ponyboy Curtis (C. Thomas Howell) e Sherry “Cherry” Valance (Diane Lane) ne I ragazzi della 56ª strada (The Outsiders, 1983). Oppure nell’incontro soffuso tra Willard (Martin Sheen) e Roxanne Sarrault (Aurore Clément) in Apocalypse Now Redux (2001).

Passione che culmina in una delle scene più cinematografiche di Coppola: i due si riconciliano e si baciano su travi sospese, mentre sullo sfondo c’è uno stilizzato Skyline di New York rifatto tramite CGI.

Una sequenza che rimanda al musical, genere che permette la realizzazione dei sogni più reconditi. Come c’è l’omaggio al musical nella scena in cui delle gigantesche silhouettes alla Bursby Berkeley danzano sulle pareti di un edificio d’antan. Un sogno lungo un giorno era un musical, ma va ricordato come Coppola si approcciò al musical classico con Sulle ali dell’arcobaleno (Finian’s Rainbow, 1968).

Va messo in rilievo, che i criticati effetti speciali, certamente non all’altezza della odierna qualità della CGI, non sono così dannosi, se si recepisce la pellicola non come un’opera del 2024, ma come un film legato a un’altra era produttiva.

Catilina: Un uomo e il suo sogno

Il protagonista, incarnato da un convincente Adam Driver, è un architetto. Un professionista che immagina, progetta e costruisce. L’autore cinematografico, come ad esempio Coppola, è un architetto. Avuta l’idea, scrive la sceneggiatura e poi tenta, tra molte difficoltà economiche, di concretizzare quella bozza.

Vediamo Catilina, giovane ma già combattivo architetto/artista, che nel suo atelier abbozza millimetricamente e cesella la sua megalopoli, ovvero il suo kolossal. È uno studio che rimanda a una bottega artigianale, in cui Catilina è attorniato di assistenti che accondiscendono ai suoi fantasiosi svolazzi creativi.

Scene che ricordano la piccola factory vista in Tucker – Un uomo e il suo sogno (Tucker – The Man and His Dream, 1988). Preston Tucker (1903-1956) era un ingegnere automobilistico che decise di costruire una vettura moderna, che avrebbe soppiantato definitivamente l’obsoleto concetto di automobile imposto dalle grandi case di produzione. Anche Tucker, visionario costruttore di sogni, fu ostacolato e depotenziato.

Ecco, Catilina è l’alter ego di Coppola, ma lo fu anche e soprattutto Tucker.  L’ingegnere automobilistico era molto più convincente come rappresentazione di Coppola costruttore boicottato. E se già con quello scintillante biopic l’autore italo-americano aveva reso memoria alla figura dell’innovativo sognatore, in Megalopolis gli rende nuovamente omaggio.

Vesta Sweetheart (Grace VanderWaal), ninfetta che si appresta a entrare nei cuori – Social – del popolo, scende da una Tucker Torpedo. La rivoluzionaria vettura, prodotta in soli 51 modelli, resiste a tutte le nefandezze industriali e politiche dell’America. Quel sogno di Tucker perdura anche nella New Rome del 2024.

Una tragedia shakespeariana

Un grottesco e aggressivo apologo, ma anche una tragedia, che attinge all’opera di William Shakespeare. Megalopolis racchiude in sé le tematiche del Bardo. La sete di potere, gli amori idilliaci, la vendetta, la gelosia, la politica, la corruzione, la giustizia e la moralità.

I personaggi sono assetati di potere, come attesta Wow Platinum (Aubrey Plaza), una cinica arrivista disposta a tutto. E come Clodio, che vuole primeggiare ed è geloso del successo che ha Catilina verso il popolo. E per giungere al potere, è necessaria la vendetta, il ricatto.

Nush Berman (Dustin Hoffman) è uno pseudo Yago, una subdola figura di consigliere che sparge zizzania. Ma un pericoloso personaggio è anche Jason Zanderz (Jason Schwartzman), braccio destro – armato – di Clodio.

Totalmente differente Fundi Romaine (Larry Fishburne), factotum di Catilina e a volte suo saggio consigliere. Personaggio che resta in disparte, testimone della parabola del suo padrone, e osservatore impassibile e morale dello sfacelo che imperversa a New Rome.

Nella trilogia de Il padrino, nel quale la città di New York fa da sfondo a questa epopea mafiosa, essendo la città delle grandi opportunità e dello smercio, c’erano aspetti shakespeariani. Scalate di potere, politica e corruzione, oltre a un tenero amore, quello tra Michael (Al Pacino) e Apollonia (Simonetta Stefanelli), interrotto violentemente, sfociavano in una ridda di uccisioni per vendetta. Come accade in Megalopolis, sebbene con un tono più stravagante.

Anello di congiunzione tra questo kolossal e la saga corleonese, è la presenza di Talia Shire nel ruolo di Constance Crassus Catilina, anziana madre di Catilina che crede nella moralità della famiglia. Pare l’ultima padrina di quel mondo truculento però rispettoso delle regole.

Megalopolis: un disastro?

Molte critiche sono state impietose nei confronti dell’ultimo sogno cinematografico di Coppola. Le aspettative erano alte, soprattutto dopo molti film girati su commissione, oppure con budget non abbondanti come quelli che ha potuto utilizzare fino a inizio anni Ottanta.

Certamente Megalopolis ha moltissime pecche. Resta la visionarietà di Coppola in molte sequenze, però sono evidenti le megalomanie registiche non frenate. Che portano il grottesco verso toni completamente balzani.

Sarà un fiasco, perché sebbene utilizzi anche ritmi e linguaggi odierni, non ha l’appeal dei prodotti cinematografici che vanno ora. Però è interessante come un artista come Coppola, che ha dato moltissimo a Hollywood, non sono qualitativamente, ma anche economicamente, sia stato costretto a produrre da solo la sua idea.

Situazione simile a quella di Kevin Costner, altra figura di spicco di Hollywood, prima issato nell’empireo divistico e poi al primo errore (Waterworld, 1995) cacciato via. Il dittico western Horizon: An American Saga (2024) è stato prodotto dallo stesso Costner.

Dei 3 tre registi italo-americani della New Hollywood (Coppola, Brian De Palma, Scorsese), Coppola è quello che ha osato sempre di più. È sceso a patti con Hollywood, come attestano I ragazzi della 56ª strada, Peggy Sue si è sposata (Peggy Sue Got Married, 1986), Jack (1996) o L’uomo della pioggia – The Rainmaker (The Rainmaker, 1997), per poter mantenere in vita la Zoetrope, ma subito dopo ha puntato quel poco di reputazione riconquistata in progetti personali, che gli consentissero la sperimentazione tecnica. Come dimostrano Rusty il selvaggio (Rumble Fish, 1983), oppure Segreti di famiglia (Tetro, 2009). Con Megalopolis ha deciso di puntare tutto, sebbene sapesse che il rischio di perdere era grande.

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