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Approfondimento

Demoni sotto la pelle: l’evoluzione del body horror da Cronenberg a The Substance

15 film che hanno consolidato, ridefinito e stravolto uno dei generi più controversi del cinema

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C’è qualcosa di estremamente affascinante e misterioso tra le pieghe del corpo umano, così intimo eppure così sconosciuto, bellissimo ma capace talvolta di risultare inquietante, rivoltante, alieno. Da L’invasione degli Ultracorpi a La Mosca, la kafkiana paura del nostro stesso corpo è da sempre alla mercé di registi folli, geniali e spregiudicati. Nel Body Horror terrificanti mutazioni, viscere, sangue e follia possono essere il pretesto per trattare temi significativi o il fine ultimo di una grottesca e spasmodica ricerca dell’orrido.

Un grande esempio è The Substance, il raccapricciante body horror con Demi Moore e Margaret Qualley, due versioni dello stesso corpo in una spirale di umana debolezza e disumane conseguenze, vincitore al 77esimo festival di Cannes del Prix du scénario per la miglior sceneggiatura, dopo aver scandalizzato e sedotto il pubblico della kermesse ricevendo quasi un quarto d’ora di applausi.

Perfino per i puristi del genere horror, alcuni dei titoli in questa guida possono far accapponare la pelle. Immagini crude, deformità, mostri tremendamente umani e uomini inevitabilmente mostruosi. 20 film che hanno fatto la storia, controversa, di uno dei generi più squisitamente riprovevoli del cinema. Tra la sperimentazione tecnica e narrativa del secolo scorso fino all’orrore viscerale e malato raggiunto dalle opere più recenti che hanno riportato alla ribalta un sottogenere che ha la fama dell’eterno tabù.

Attenzione: alcune delle immagini che seguono potrebbero rovinarvi la cena.

Eraserhead (David Lynch, 1977)

Il formidabile debutto di David Lynch è ormai un cult del genere nonché uno dei film sperimentali più assurdi e discussi di sempre. Un bianco e nero cupo e ombroso lascia intravedere l’orrore di un mostro inconcepibile, quando una donna di nome Mary X, vecchia frequentazione del tipografo Henry Spencer, dà alla luce loro figlio. Il pargolo si rivela essere un’aberrante scherzo della natura, portando la fragile mente di Spencer a sgretolarsi pian piano.

In una città tetra e industriale Lynch racconta una storia inusuale sia nella struttura che nello svolgimento, presentandosi nel panorama cinematografico con un Body Horror coraggioso e indimenticabile, in cui la degenerazione psicologica e il malessere dei personaggi emergono in un ritratto complesso e fuori dagli schemi. Servendosi senza remore di immagini crude e personaggi liminali, Lynch crea una ricetta irresistibile divenuta il suo marchio di fabbrica e che riproporrà, con ancora maggior successo, tre anni dopo in The Elephant Man.

Eraserhead (David Lynch, 1977)

Eraserhead (David Lynch, 1977)

Altered States (Ken Russell, 1980)

Scienziati pazzi ed esoterismo sono classici luoghi comuni del body horror, elementi sempreverdi che, se dosati nel modo giusto, possono creare un’opera potentissima. Ed è questo il caso di Altered States. Ken Russell confeziona un’opera esteticamente magnifica e tremendamente brutale, pregna di un surrealismo colorato al pastello che non può non rimandare a La Montagna Sacra che si unisce a una visione del maligno acida e pop alla Kenneth Anger.

Anche qui il fattore psicologico, ideologico è centrale tanto quanto la mutazione, raccapricciante, del protagonista Edward Jessup. Convinto e allucinato dalle sue teorie sugli stati d’alterazione, lo scienziato compie, su alcune cavie e su se stesso, esperimenti folli di deprivazione sensoriale, abusi di droghe a veri e propri rituali satanici, mostrati a schermo con composizioni di grande impatto, figlie di Dalì. Tutto quanto volto al folle scopo di ridefinire i limiti del corpo umano: un concetto che porta alla pazzia, insinuandosi nella sua mente e corrodendolo dall’interno.

Altered States (Ken Russell, 1980)

Altered States (Ken Russell, 1980)

Possession (Andrzej Żuławski, 1981)

A volte la trasformazione più grande può avvenire all’interno, restare celata e affliggere il malcapitato protagonista in modo subdolo e silenzioso, rivelandosi solo alla fine, in un’impetuosa dimostrazione di terrore e disturbante delirio. In uno dei più grandi horror mai realizzati, il maestro del cinema polacco Andrzej Żuławski fa proprio questo, investendo Anna, interpretata da un’indimenticabile Isabelle Adijani, premiata come miglior attrice al 34esimo Festival di Cannes, di un male indecifrabile sia per lei che per chi le sta intorno.

In primis suo marito Mark, vittima inconsapevole, ma non del tutto incolpevole, degli strani comportamenti di Anna e che incorpora il tentativo di trovare una razionalità in una storia surreale e disturbante con un finale degno del miglior Park Chan-wook. Possession prende il testimone di Cassavetes ritraendo una donna vittima della rigida società patriarcale che la circonda e lo eleva a uno stato di totale disumanità, un film che resta impresso ancora oggi e che fa fare al genere del Body Horror un balzo in avanti non indifferente.

Possession (Andrzej Żuławski, 1981)

Possession (Andrzej Żuławski, 1981)

La Mosca (David Cronenberg, 1986)

Fare una lista citando solo i film di David Cronenberg sarebbe stato troppo semplice ma, probabilmente, anche così avremmo ripercorso tutte le tappe fondamentali nell’evoluzione del Body Horror. Tanto basta per dare un’idea dell’unicità e padronanza del genere propria di questo regista, vero e proprio simbolo dell’horror mondiale. In una delle sue opere più celebri, La Mosca, prende in mano l’omonimo racconto del 1957 scritto da George Langlaan e che ispirò un classico come L’esperimento del dottor K. (K. Neumann, 1958) e lo stravolge portandolo all’estremo.

A differenza di quanto fatto in Videodrome (1983), dove il corpo umano è il mezzo, disgustoso e angosciante, per raccontare di altro e la fusione tra l’organico e l’elettronico funge da metafora, in La Mosca tutto ruota attorno alla lenta e agognante trasformazione del protagonista in un mostro incomprensibile. Ancor prima, Cronenberg aveva sperimentato il connubio tra scienza, follia e Body Horror inShivers (1975) e la mutazione, intesa come inesorabile involuzione in Rabid (1977), riscontrando un discreto successo preludio di quanto sarebbe venuto dopo.

La Mosca The Fly

La Mosca (David Cronenberg, 1986)

Jeff Goldblum, con l’interpretazione della vita, impersona uno scienziato dannato che, per una banale sfortuna durante un esperimento di teletrasporto, lega il suo corpo e quello di una mosca divenendo un tutt’uno con essa. Avvertendo i cambiamenti prima interiormente e poi sulla pelle di una mutazione inumana e incontrollabile, mostrata a schermo con una potenza mai vista prima, anche grazie a un trucco dettagliatissimo, e che valse al film il premio Oscar, capace di far rabbrividire anche a 40 anni di distanza.

Slime City (Greg Lamberson, 1988)

Il Body Horror è anche splatter, acido e colorato, sopratutto se associato a location claustrofobiche, nella giungla urbana fatta di vie sporche e disgustose, teatro prediletto dei B Movie anni ’80 e ’90. Slime City è un grande esempio di questa tendenza, fatta di liquami neon e cocktail velenosi. Nella versione ancor più a basso budget di StreetTrash (J. M. Muro, 1987), un giovane artista ingurgita una gelatina offerta dal suo nuovo vicino di casa, trasformandosi in un mostro in decomposizione col vizio di vomitare slime. L’unico rimedio al suo stato? Uccidere.

Divertimento gore e tanto citazionismo, tipico dei film d’exploitation, come l’omaggio a Eraserhead nell’immagine qui sotto, donano alla pellicola un fascino malsano ma quantomai irresistibile che, oggi, si rivede sporadicamente in horror d’autore come Mandy (P. Cosmatos, 2018) o Color Out Of Space (R. Stanley, 2019). L’elemento del cibo, poi, è un altro degli espedienti più usati nel genere per entrare nelle viscere dello spettatore. Altro intrigante esempio è Stuff (Larry Cohen, 1985), dove una deliziosa crema dolce così buona da creare dipendenza, è al centro delle teorie cospirative di due imprenditori del gelato che, loro malgrado, andranno incontro a terrificanti rivelazioni sulla sua natura.

Slime city 1988

Slime City (Greg Lamberson, 1988)

Tetsuo (Shin’ya Tsukamoto, 1989)

Opera cult dell’horror giapponese. In un’epoca di forte evoluzione della tecnologia, Tetsuo mostra un uomo convertirsi in macchina. Servendosi di un bianco e nero ad alto contrasto mostra un’immagine cupa e sporca, grassa e oleosa, capace anche di disorientare non rispettando del tutto i dettami del genere, anche in questo caso il sopracitato Eraserhead è un’evidente ispirazione. In un film snervante e teso, il piatto, schematico e monotono vissuto del protagonista, precipita in un abisso di ombre e modificazioni alla Blade Runner, ma con un tocco di maligno feticismo e raccapricciante putridume.

Spingendosi sempre più al limite con effetti speciali arthouse, che rispecchiano meravigliosamente lo spirito indipendente del cinema di Tsukamoto, Tetsuo si avventura nella mente del Salaryman giapponese, fatta di repressione, che sia lavorativa o sessuale, e la usa per nutrire l’irrefrenabile follia surrealista dei personaggi ritratti. Un sottotesto filosofico che riporta alla mente un altro capolavoro, animato, del cyberpunk nipponico, Ghost in The Shell. Parlando di opere maestre nel proprio genere, Tetsuo è considerato da molti il Body Horror per eccellenza.

tetsuo

Tetsuo (Shin’ya Tsukamoto, 1989)

Society (Brian Yuzna, 1989)

Bill Whitney è figlio di una coppia benestante e mondana, la quale passa spesso le proprie serate a feste misteriose organizzate dai loro amici facoltosi. Gli atteggiamenti sinistri ed elusivi dei genitori inducono Bill a indagare su quanto accade ai loro party, portandolo a scoprire una realtà raccapricciante e terribile. Sia i genitori che il loro gruppo di amici sono infatti parte di una specie aliena che per sopravvivere muta il proprio corpo fondendolo a quello degli altri.

Il misterioso e disturbante incipit della pellicola dilaga rapidamente in una volgare festa dell’orrore, non appena il protagonista sfata il mistero. Sudore, sangue e corpi deformi rendono Society una sfida anche per gli stomaci più forti e l’inconfondibile tratto stilistico da B Movie non deve confondere. Perché Society sa colpire e lo fa continuamente, fino al climax di un finale che sa di ciliegia sulla torta di budella. Uno dei film più terrificanti in questa lista è anche sorprendentemente satirico nonché incredibilmente attuale ancora oggi. E chissà che P. Diddy non ne abbia tratto ispirazione.

Society (Brian Yuzna, 1989)

Society (Brian Yuzna, 1989)

Body Melt (Philip brophy, 1993)

Restiamo sui film di serie B e torniamo su alcuni degli elementi che hanno reso il Body Horror un perfetto terreno di sperimentazione e sfogo per gli outsider più creativi “dell’altro cinema”. Body Melt è esattamene quello che il titolo suggerisce. Nella periferia di Melbourne una distopica casa farmaceutica testa sulla comunità gli effetti di un nuovo psicofarmaco sintetico che promette di aprire la mente umana aumentandone le capacità cognitive. I problemi iniziano con il palesarsi degli effetti collaterali: allucinazioni portano le cavie a compiere atti indicibili e i loro corpi, mangiati dalla sostanza, iniziano a sciogliersi letteralmente.

Prostetica ed effetti visivi rivoltanti, slime e colori sgargianti animano i bassifondi della città diffondendosi come un virus, prima lentamente, inserendo gradualmente nella pellicola elementi horror, poi in un’ incontrollata esplosione che culmina nel finale difficilmente dimenticabile. Il regista di Salt,Saliva,SpermandSweat (1988) fa all-in in un film che alza inevitabilmente l’asticella del genere proiettandosi verso il nuovo millennio del Body Horror pur preservando un’estetica squisitamente anni ’80.

Body Melt (Philip brophy, 1993)

Body Melt (Philip brophy, 1993)

Il body horror contemporaneo

L’affermarsi del digitale e di un cinema sempre meno imbarazzato nel mostrare le proprie perversioni ha inevitabilmente cambiato l’approccio e i temi cardine di molti generi. Nel Body Horror del nuovo millennio si è entrati in una sfera di sperimentazione e mix tra elementi nuovi che ha portato all’evoluzione del genere e ha dato vita ancora una volta a film unici.

In My Skin del 2002, diretto e interpretato da Marina de Van, presenta una ragazza acqua e sapone, che un giorno si accorge di non provare dolore ferendosi. Cosa che la farà cadere in un tunnel di follia e autolesionismo raccapricciante. Under The Skin (Jonathan Glazer, 2012) è un’opera incomprensibile, a metà tra l’avanguardia e il ritratto sociale: un alieno si impossessa del corpo di una ragazza e viaggia per tutta la Scozia adescando e uccidendo uomini ignari. E questi sono solo alcuni esempi di una nuova era del Body Horror.

Slither (James gunn, 2006)

In tempi non sospetti, ben prima dell’esplosione dei Guardiani della Galassia, la carriera di James Gunn spaziava tra copioni inzuppati di sangue per Zack Snyder e Scooby-Doo. La sua impronta fortemente horror culmina con il suo esordio alla regia. Slither lo consacra infatti fin da subito come un maestro del genere; in una piccola cittadina del Sud Carolina un’invasione di orripilanti parassiti alieni semina il panico, trasformando le persone in grotteschi mostri mutanti.

Michael Rooker, fedelissimo di Gunn, impersona perfettamente sia il lato disgustoso e inquietante della pellicola, sia quella comicità sempre al limite, divenuta un marchio di fabbrica del regista. Il Body Horror è poi una palestra eccezionale da questo punto di vista. Per sua natura, infatti, una volta raggiunto il proprio estremo, solitamente al terzo atto, innesca una sorprendente quanto prevista reazione e sa far ridere e rivoltare allo stesso tempo. (imperdibile la dimostrazione data dal finale di The Substance).

slither (James gunn, 2006)

slither (James gunn, 2006)

Inquietudine, mistero e, naturalmente, esperimenti sugli esseri umani, avvolgono il bellissimo Tusk di Kevin Smith. Wallace, giornalista curioso che gestisce un podcast incentrato su interviste a personaggi bizzarri, spesso ridicolizzandoli, raggiunge la remota abitazione di un vecchio marinaio canadese. Quello che scopre, però, va oltre ogni sua immaginazione e la sua sfacciataggine lo porterà in una situazione a dir poco terrificante.

Tusk è un film davvero strano, nell’accezione più oscura possibile del termine, i supplizi a cui Wallace verrà sottoposto sono scioccanti, insopportabili e gravosi perfino per lo spettatore, chiamato a una prova di sopportazione lunga 102 minuti. Un horror vecchio stampo in cui l’elemento disturbante del corpo umano non fa altro che accrescerne l’impatto, rendendolo tra gli ‘ibridi’ meglio riusciti del decennio scorso, al pari di TheAutopsyofJaneDoe (André Øvredal, 2016), ma osando ancor di più.

Tusk (Kevin Smith, 2014)

Tusk (Kevin Smith, 2014)

Raw (Julia Ducournau, 2016)

Il primo lungometraggio della regista francese è, senza troppi giri di parole, il miglior Body Horror degli ultimi 30 anni. Un’impronta stilistica autoriale ed elegante si lega all’inquietante vissuto di Justine, interpretata dalla talentuosissima Garance Marillier, ragazza insicura e personificazione dell’archetipo coming-of-age, che cambia radicalmente scoprendo una sinistra passione per la carne umana.

Con Justine muta anche il film, e i colori caldi e accoglienti di una storia di scoperta della sessualità si trasformano in toni freddi e alieni mano a mano che la protagonista perderà la sua immacolata umanità. La bellezza, in primis estetica, del film lo rende magnetico: è difficile staccare gli occhi dallo schermo per quanto alcuni momenti li mettano a dura prova. Un esordio sensazionale, superato, per lo meno in termini di riscontro critico, cinque anni più tardi con un altro film di questa lista.

Raw

Raw (Julia Ducournau, 2016)

Se buon sangue non mente, Brandon Cronenberg è senz’altro una grande verità nell’horror contemporaneo. Con Possessor sceglie accuratamente quali elementi del genere tirare in ballo e gli dà un’impronta personalissima ed estremamente moderna. Non servono sempre effetti e prostetica esagerati per creare il giusto mix di disgusto e inquietudine e il cinema di Brandon Cronenberg si distingue per pulizia e formalità, un’eleganza innata che non intacca minimamente la resa, anzi.

La relazione tra corpo e mente è messa in discussione quando Tasya, parte di un’organizzazione che permette d’impossessarsi di corpi altrui per commettere omicidi, rimane incastrata nella mente di un uomo. Dubbi sulla governabilità del nostro stesso corpo e sulle implicazioni organiche della tecnologia nell’evoluzione completano il quadro di un film unico e innovativo. Possessor e il successivo Infinity Pool (2023) sono la dimostrazione che Brandon è degno del cognome che porta, pronto a ripercorrere i passi del padre ma con uno stile tutto suo.

Possessor

Possessor (Brandon Cronenberg, 2020)

Titane (Julia Ducournau, 2021)

Il secondo film della sopracitata regista francese è anche il più grande polverone alzato in ambito di Body Horror negli ultimi anni, complice una pesante palma d’oro a Cannes e la natura estremamente divisiva di un film schierato tra sessualità, identità di genere e surreale romance con un’auto. Nonostante la presenza di parecchie immagini grottesche e disturbanti, il carburante del film è da identificarsi nella ricerca psicologica che la Ducournau fa riguardo la mutazione interna che può avvenire quando il proprio corpo cambia all’esterno.

Un thriller all’inizio, un dramma famigliare poi, Titane, che piaccia o no, è un film indimenticabile, e il trendsetter di un nuovo modo di fare Horror, più mentale e raffinato, eppure ancora più disgustoso. Passato in sordina, sempre nel 2021, è uscito We’re All Going to the World’s Fair, perla da non dimenticare della regista statunitense Jane Schoenbrun che tratta temi simili adattandoli all’oscuro mondo del web.

Titane (Julia Ducournau, 2021)

Titane (Julia Ducournau, 2021)

Crimes of the Future (David Cronenberg, 2022)

Viggo Mortensen, Kristen Stewart e Léa Seydoux sono i protagonisti di performance artistiche non convenzionali, in quanto asportano e modificano organi, ossa e altre parti dei corpi umani trasformandoli in grottesche opere disturbanti. Un film liminale, che lascia più domande che risposte e solo se queste vengono cercate. Crimes of the Future è un viaggio nell’orrido, l’opera di un grande autore da ammirare e applaudire mettendo da parte le sovrastrutture, visto e considerato che, comunque, recitazione, sceneggiatura ed effetti speciali, sotto la direzione di Cronenberg, sono semplicemente una sinfonia magnifica.

Crimes of the Future è stato un ritorno attesissimo che dimostra quanto il regista abbia ancora da dire, non tradendo le aspettative ma ignorandole, agendo di testa sua. Cronenberg prende ispirazione dal nuovo cinema senza rinnegare nemmeno una delle sue caratteristiche primordiali. L’ultimo film del maestro del Body Horror non poteva che essere anche la conclusione di questo viaggio.

Crimes of the Future (David Cronenberg, 2022)

Crimes of the Future (David Cronenberg, 2022)

Con The Substance il genere raggiunge un nuovo stato di evoluzione, patinato, sexy e pop, ma terrificante come non mai. “Guts & Butts” ma non si parla di Yoga, forse. L’ultimo grande Body Horror è nelle Sale italiane dal 30 ottobre 2024.

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