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Cinema Asiatico

‘K-number’ di Jo Seyoung, la Corea sfregiata dall’adozione

Sui passi dei testimoni di questo traffico umano, lo scandalo delle adozioni internazionali in Corea come non se ne è mai parlato

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K-number di Jo Seyoung è un documentario di straordinaria potenza, vincitore del Premio del Pubblico al Busan International Film Festival e del Miglior Film al Seoul Independent Film Festival.

Il film indaga la questione delle adozioni internazionali, è esplosa nel dopoguerra in Corea, che ha segnato i Paesi coinvolti, ma soprattutto i bambini coinvolti, drammaticamente. Un film assolutamente necessario, che racconta di una pagina infelice della storia moderna, a lungo soffocata da omertà e vergogna.

K-Number

K-number di Jo Seyoung_Foto fornite dall’ufficio stampa del Busan International Film Festival

K-number di Jo Seyoung, la trama

Mioka Miller, K-Number 723915, è una dei 20.000 bambini che sono stati dati in adozione dalla Corea del Sud verso gli Stati Uniti tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. Lei, come tanti altri, era parte dei selezionati dalla Holt Children’s Services, che oltre ad essersi inventata il sistema delle adozioni internazionali, ha per anni gestito le pratiche di affidamento dei bambini oltreoceano. Catalogati come bestie d’allevamento con un numero di serie.

Peccato che Mioka, e con lei chissà quanti altri, non fosse orfana né tanto meno abbandonata. È più probabile Mioka fosse persa o sulla via di casa. E a seguire, prelevata ingiustamente e spedita lontano da casa.

Jo Seyoung segue l’indagine di Mioka, che realizza in collaborazione con l’associazione Banet, per tracciare la sua famiglia affidandosi a documenti mezzi censurati e falsificati, e ad un’ombra di ricordi ormai confusi. Insieme alla sua storia, quella di tanti altri; alcuni che hanno anche ripreso i contatti con la famiglia, che a quel punto però, nel terrore dell’onta pubblica, rinunciano a qualunque relazione.

Lo scandalo

La questione delle adozioni verso gli Stati Uniti è affacciata su di un baratro di disumanità. Seguendo la vicenda di Mioka si arriva a scoprire un vero e proprio “shopping infantile”, una iniziativa mossa in principio da motivazioni umanitarie, degenerata nel criminale. È del tutto illusorio, se non arrogante ed efferato, pensare che un Paese possa definirsi il salvatore di un altro, prelevando a suo piacimento bambini dalle famiglie in difficoltà.

Con questo, 20.000 adottati di origine coreana abitano negli Stati Uniti, alcuni senza la cittadinanza americana perché mai naturalizzati.

International adoption became a lucrative trade.

La narrazione ricorrente alle spalle di questi bambini è che fossero stati trovati per strada in solitudine. Ma se poteva essere ragionevole per qualcuno di quelli in un Paese in evidente difficoltà economica, la frequenza con cui questa spiegazione fumosa ricorre nei 20.000 casi sparsi in giro negli Stati Uniti, è sospettosa.

È evidente ci sia stata una violazione, che ha rallentato solo quando la Corea è finita sotto i riflettori mondiali delle Olimpiadi. Al momento, oltre ad essere trattata da giornalisti, attivisti e filmmaker, non ha ancora trovato una accoglienza e una analisi precisa, uniforme e collaborativa da parte dei governi stessi.

Ma la dimensione del fenomeno è del tutto fuori dalla nostra percezione: il numero di adottati totale a partire dal 1953, è di 169.709 persone; e questo è solo il record ufficiale. Chissà quanti altri sono sfuggiti alle carte.

K-Number_Mioka-Miller

K-number di Jo Seyoung_Mioka Miller_Foto fornite dall’ufficio stampa del Busan International Film Festival

Un film shoccante

K-number solleva sentimenti veramente contrastanti. Da una parte è avvincente come un giallo d’azione, e dall’altra è straziante dal momento che si racconta di storie vere. È come passeggiare in tunnel di sconforto e pesantezza a mano con Mioka. Si percepisce la identità contesa, la stessa impotenza. Malgrado lei, come gli altri, si imponga di non perdere le speranze di fronte ad un gioco burocratico che si chiude su se stesso e la fagocita. Il rimbalzo e l’attesa sono le carte più giocate; mentre il tempo passa e la possibilità di ritrovare il filo del passato si fa sempre meno probabile.

Tramite la voce degli esperti coinvolti, Jo Seyoung prova a trovare un senso nel delirio. Cerca di capire come sia potuto succedere su così larga scala in Corea, e perché anche oggi che il vaso di Pandora è stato aperto, sembra che il governo non si voglia fare carico delle responsabilità. Che continui invece l’insabbiamento strutturato negli anni.

Il problema, si ammette, è sociale: l’intero sistema delle nascite e di tutela dell’infanzia, vacilla quando i figli nascono da madri single o fuori del vincolo coniugale. Ancora oggi sono il bersaglio preferito di questa emarginazione. E lo stesso flebile riguardo che la gente mostra nei confronti di questi connazionali sparsi nel mondo, che non sono emigrati volontari ma esiliati, è un esempio di come ci sia ancora da lavorare.

In uno dei Paesi trainanti l’economia asiatica, il tema delle adozioni internazionali e lo scandalo Holt sono una spina nel fianco e una macchia indelebile. O come meglio la regista stessa l’ha definita, una situazione miserabile e assurda. Che si augura possa migliorare con la presa di coscienza a seguito della visione del potente K-number di Jo Seyoung.

K-Number

  • Anno: 2024
  • Durata: 112 minuti
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Corea del Sud
  • Regia: Jo Seyoung

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