Quest’anno al Festival dei Diritti Umani di Lugano verrà proiettato Tehachapi, documentario dell’artista francese JR. Il film, già presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2023, sarà preceduto dalla Cerimonia di premiazione Concorso internazionale di lungometraggi.
Tehachapi, realizzato nell’omonimo carcere californiano di massima sicurezza, insieme ai detenuti e alle loro famiglie, oltre che al personale carcerario, rappresenta un’opera d’arte che illumina una realtà spesso ignorata: quella dei detenuti all’interno del sistema carcerario. Con il suo stile inconfondibile, l’artista visivo JR ci porta oltre le sbarre del carcere di Tehachapi, in California, offrendo uno sguardo diverso su coloro che vivono dietro muri solitamente invisibili al mondo esterno. L’artista riesce ad umanizzare i volti che spesso vengono ridotti a numeri e statistiche. Attraverso varie interviste e progetti portati avanti, il documentario trasforma la detenzione in un’esperienza tangibile per lo spettatore, mostrando la speranza, la disperazione, e la complessità di quella vita. Le storie personali dei detenuti si intrecciano in un mosaico di vite sospese, esplorando temi come il pentimento, la solitudine e il desiderio di reintegrazione nella società.
“Ho visitato per la prima volta la prigione di massima sicurezza californiana di Tehachapi nell’ottobre 2019 per creare un murale. Gli uomini incarcerati che ho incontrato lì hanno lasciato un profondo impatto su di me e mi sono chiesto come costruire un ponte tra loro e il mondo esterno – racconta l’artista – questo film è un modo per condividere la loro resilienza e il viaggio verso la redenzione. È un manifesto del potere dell’arte come forza unificante di speranza”.
Tehachapi: un collage di storie
JR è noto per la sua capacità di combinare arte e attivismo, e Tehachapi non fa eccezione. L’idea consiste nel realizzare un ritratto di ciascun detenuto coinvolto nel progetto. Dopo un’accurata post-produzione, i ritratti verranno assemblati in un grosso collage da applicare sul cemento del cortile. Dopo di che, grazie all’utilizzo di un drone per riprendere dall’alto l’intero collage, si prova a far sembrare quell’immenso carcere nel deserto leggermente più piccolo rispetto alla gigantografia dei 48 uomini che si vedono nella buca del cortile. Tra queste fasi, si snodano le storie e le emozioni che questi uomini scelgono di condividere di fronte ai microfoni.
Le immagini dei detenuti offrono una prospettiva unica che si allontana dal mero documentarismo per diventare una vera e propria opera d’arte visiva. Le storie personali e le immagini potenti suscitano domande profonde: cosa significa realmente la detenzione? Qual è il valore della seconda opportunità? Lo spettatore si ritrova coinvolto in un viaggio emozionale che va oltre le mura del carcere.
“Con Tehachapi ho voluto dare la possibilità di fare vedere all’esterno quanto erano cambiati gli uomini rinchiusi lì da 15 o anche 20 anni. Nessuno parla con loro. Non hanno nemmeno il permesso di guardare le guardie carcerarie negli occhi. Chi può sapere quanto hanno lavorato su loro stessi, che sono persone diverse, anche migliori, se non c’è nessuno in grado di ascoltarle? Devi vederlo. E una volta che l’hai visto non puoi più dimenticarlo”.
Il documentario pone interrogativi più ampi sul sistema penale americano e sulla sua capacità di riabilitare i detenuti. Il messaggio dell’artista si inserisce perfettamente all’interno del contesto del Festival dei Diritti Umani, poiché stimola una riflessione critica su giustizia, punizione e reinserimento sociale. Tehachapi non si limita a raccontare la vita dei carcerati, ma fa luce su un sistema che spesso fallisce nel suo scopo rieducativo. Un documentario che parla al cuore, ma anche alla coscienza.