Alessandro Tinterri, docente di Storia del Teatro e di Storia e Critica del Cinema dell’Università di Perugia, ha dato alle stampe, per Morlacchi Editore, un testo che è molto più di una semplice raccolta di «articoli usciti tra il settembre 2000 e il febbraio 2011, sulla rivista “Film D.O.C.”». Si tratta di un vero e proprio tesoretto, in particolare per chi si ostina a ritenere fondamentale la riflessione interdisciplinare nelle arti dello spettacolo. L’autore confessa che gli scritti altri non sono che “degli sconfinamenti di uno studioso di teatro nel vasto territorio del cinema”. Eppure, oltre alle note e riconosciute qualità dell’autore capace di muoversi con disinvoltura tra cinema, teatro e letteratura, il testo ci offre un tipo di riflessione a cui forse non siamo più abituati. Attraverso una prosa essenziale eppure elegante Tinterri propone un’analisi che ci restituisce riflessioni dal sapore mitteleuropeo, racconti di saghe familiari alla Heimat di Reitz, con registi e scrittori che si muovono tra Vienna e Milano, Torino e Parigi; protagonisti che emergono e che tornano: da Bontempelli a Ruiz da Pirandello alla famiglia dei Bruni Tedeschi. Il procedere filologico degli articoli si alterna all’aneddoto e al ricordo, in modo da rendere la lettura molto più godibile; allo stesso tempo la scrittura mette a fuoco l’argomento e la realtà che lo connota smascherando senza fronzoli la forza, le debolezze e le sfumature di ogni opera proposta. Tutto ciò facendo non nascondendo verso quelle pellicole un grandissimo affetto. Potremmo quasi dire che Tinterri, nel corso degli anni, abbia realizzato con alcune opere quello che Masolino D’amico ha fatto con alcuni personaggi nel suo “Persone speciali”, una serie di ritratti guardando i soggetti negli occhi, sospeso tra l’ammirazione e la volontà di capire.
Molti sono gli esempi che testimoniano del desiderio di comprendere che innerva tutto il testo, uno in particolare lo troviamo nell’articolo su La pianista; il film dei film di Michael Heneke, con Isabelle Huppert e Annie Girardot, diventa l’occasione per una riflessione sul romanzo di Elfriede Jelinek da cui è tratto. Da qui il discorso si allarga per abbracciare il ruolo della scrittrice austriaca nel panorama letterario austro-tedesco, dalle critiche ricevute dal mondo della borghesia all’inevitabile paragone con Thomas Bernhard. Tinterri sottolinea la capacità della Jelinek di stigmatizzare l’omologazione sociale e la dittatura borghese del gusto da parte di una società il cui diletto musicale è pari al conformismo ipocrita in materia di religione. Come si vede insomma una valutazione profonda, che dal film si diparte in molteplici direzioni, cosa questa che diventa la caratteristica del testo intero, dai saggi sul teatro musicale del regista Resnais, alle molte versioni del Mattia Pascal di Pirandello, alla traduzione del testo di Pontiggia nella pellicola di Amelio che trasforma Nati due volte in Le chiavi di casa; e poi ancora Beckett e Keaton, Jarman e Zurlini, per un caleidoscopio di immagini e riflessioni tratte da film noti e meno noti. Inoltre la misura compatta (gli scritti, come detto, nascono da una rubrica giornalistica), dona loro la forma di un’istantanea, di un fotogramma. Questo perché attraverso un film, un libro, un’intervista, un articolo, Tinterri propone uno scambio tra chi legge, chi guarda, chi ascolta e chi crea. Un libro, dunque, da tenere a portata di mano, per godere della rara eleganza della scrittura e della fulminea capacità di cogliere particolari importanti dell’opera e del suo contesto; ma forse lo scopo sotteso di questi fotogrammi non è quello di offrire un giudizio, quanto semmai quello di stimolarci a conoscere.
Di Andrea Fioravanti e Francesca Tiberi