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In Sala

‘Trifole – Le radici dimenticate’ La recensione

Nell'intimità di una relazione tra il nonno e la nipote, il tema profondo delle radici. Di chi non vuole dimenticarle, di chi deve ancora costruirsele. Sullo sfondo dell'affascinante territorio delle Langhe

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Trifole - Le radici dimenticacte

Con Trifole – Le radici dimenticate, Gabriele Fabbro è al suo secondo lungometraggio, tre anni dopo The Grand Bolero. Fabbro racconta che ci sono voluti due anni di viaggi in Piemonte, nelle Langhe, per conoscere a fondo la cultura e la passione del trifolau, il cercatore di tartufi, che Umberto Orsini (Igor) poi renderà magistralmente. Un trifolau molto anziano, con le dimenticanze e le intermittenze cognitive dell’età, e una nipote che gli capita tra capo e collo.

Con Umberto Orsini, Margherita Buy, Ydalie Turk. Produzione: TrifoleMovie, con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte. Distribuzione: Officine Ubu.

Trifole – Le radici dimenticate La sinossi ufficiale

Trifole - Le radici dimenticate

Umberto Orsini e Ydalie Turk. Foto ufficiale

Dalia, una giovane ragazza cresciuta a Londra senza motivazioni né aspettative per il futuro, viene mandata dalla madre in un paesino nelle Langhe, a prendersi cura del nonno Igor, con la speranza che la vita rurale aiuti la ragazza a trovare la sua strada. All’arrivo Dalia scopre che il nonno, la cui salute peggiora di giorno in giorno a causa della demenza senile, ha ricevuto una notifica di sfratto dovuta all’espansione delle aziende vinicole locali, che sperano di impossessarsi della terra, un tempo destinata ai cercatori di tartufi……

Interrompiamo qui la trama di Trifole. Meglio soffermarsi di più sul rapporto di diffidenza iniziale, soprattutto da parte del nonno, e sull’intesa che prima o poi nascerà tra i due protagonisti. Divisi dalla distanza degli anni, non azzerata dal legame famigliare ancora tutto da costruire. Non ci sono ricordi comuni ad avvicinarli. Igor confonde la nipote con la figlia (Margherita Buy), e sembra aver del tutto cancellato la sua esistenza. Dalia, da parte sua, parrebbe decisa a prendersene cura più per compiacere la madre che per affetto sincero.

Aspettiamo il momento in cui le difese verranno meno, pazientemente, senza fretta, incantati dal paesaggio delle Langhe e dalle inquadrature che lo valorizzano.

Trifole – Le radici dimenticate Le Langhe e l’autunno

Trifole - Le radici dimenticate

Le Langhe e l’autunno. Foto ufficiale del film

L’incipit del film vede l’arrivo di Dalia e segue il suo percorso fino a casa del nonno, in un’incantevole armonia di colori e immagini autunnali. Nelle foglie sul terreno, nell’attraversamento delle vigne, nella sua stessa figura frettolosa, come se volesse presto farci partecipi della storia. Un’urgenza che, insieme a qualche inquadratura inclinata o tagliata, comunica ansia e contrasta con il paesaggio intorno: quella gradazione di gialli a perdita d’occhio che appaga. Che appagherebbe, senza la frenesia del passo di Dalia.

Ci prepariamo così ad avere fin da subito una doppia percezione, che si consolida nel tempo quando l’interno fatiscente della casa (il rubinetto che perde, i fili elettrici scoperti, qualche muro scrostato) si alterna alle immagini solari di fuori e ai colori abbaglianti. Almeno per la prima parte del film.

Trifole – Le radici dimenticate L’accenno a Cesare Pavese

Trifole - Le radici dimenticate

Umberto Orsini e Ydalie Turk. Foto ufficiale

Nelle stanze del casolare Igor rievoca il suo passato, come nella scena in cui rivive il ritrovamento, insieme alla cagnolina Birba,  del suo tartufo più grande. Ma le pareti sono anche il contenitore dello spaesamento che i momenti di lucidità rinnegano. Struggente la citazione di Cesare Pavese sull’importanza delle radici: “Un paese ci vuole. Pavese lo diceva nel senso dell’allontanamento e del ritorno. Igor invece si riferisce all’abbandono della morte.

Continua Pavese: “non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

Che anche quando non ci sarai più, parlerà di te”. Conclude Igor. Sembra un monologo teatrale, questo di Umberto Orsini, di grande intensità e bravura. Nel film, è un accenno diretto alle radici del titolo, che Dalia dovrà a sua volta riscoprire.

Lo stacco tra la prima e la seconda parte del film

L’intesa, dicevamo, sarebbe prima o poi arrivata. Non importa individuare il momento preciso della svolta. Avviene. Con qualche interferenza per la mente confusa di Igor, ma avviene. E proprio quando l’intimità è sul punto di commuoverci, ecco che la vicenda comincia a prendere tutt’altra direzione. Il racconto da pacato diventa affannoso. Le scene, tutte esterne, vedono Dalia coinvolta in un precipitare di eventi che sanno di avventura, di noir, di fiaba. Della fiaba, molte caratteristiche: la perdita nel bosco, l’incontro con il lupo, il tesoro trovato e perduto, l’antagonista, il ritorno. Il premio finale, che sarà tutto interiore: un percorso di consapevolezza finalmente avviato.

E anche noi ci perdiamo in un secondo film che non sembra più la continuazione del primo.

Simboli della seconda parte

Certo che, per necessità narrative, era giusto che qualcosa interrompesse la fragile armonia tra Igor e Dalia, tra chi vuole difendere le radici a tutti i costi e chi le proprie radici deve ancora scoprirle. Ed era anche giusto che quel paesaggio così intenso dovesse caricarsi di un ruolo più attivo rispetto a quello dell’inizio.

Trifole - Le radici dimenticate

Una scena della seconda parte del film. Foto ufficiale

L’attenzione si sposta tutta su Dalia: il girovagare per il bosco, la ricerca dell’oggetto magico, le peripezie per difenderlo. Dalia riprende la corsa iniziale (quell’urgenza di cui dicevamo), e tutta la scena, travolta da situazioni insolite. I tanti, forse troppi elementi del racconto (e i simboli, se pure di facile interpretazione) possono avere un effetto straniante, o potrebbero, chissà, andare incontro ai gusti dei più giovani nei colpi di scena inaspettati.

Passato e futuro

Uno scrittore che di Langhe se ne intende (Alessandro Perissinotto) nel suo romanzo Semina il vento, chiede: “A quale futuro vogliamo rinunciare in nome del passato?”. Intendendo che il passato non può imbrigliare tutte le energie da investire nel futuro. Ma non gli si può neppure voltare le spalle, perché un confronto con le proprie radici ha sicuramente un effetto terapeutico. Lo sa Dalia, e ne è convinta anche la sua interprete, Ydalie Turk, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Gabriele Fabbro. Lo sa il regista stesso che ha voluto una storia di continuità nonno-nipote per un omaggio al proprio, di nonno, scomparso di recente dopo anni di separazione mentre lui era in America.

Quindi, lo spunto di una storia personale, per parlare a un pubblico più vasto possibile: “Volevo raccontare una storia umile, ma universale, utilizzando tecniche di regia tradizionali e un occhio nostalgico per sottolineare quanto sia profondamente necessario rispettare e conservare la natura e le proprie radici.”

La musica

Le scelte e le esecuzioni musicali del film sono a dir poco bellissime. Diamo la parola allo stesso Gabriele Fabbro:

Riguardo alla musica, la mia parte preferita, ho scelto temi classici di Respighi, Borodin e Rachmaninoff. Ho inoltre avuto la preziosa opportunità di far arrangiare, eseguire e registrare la colonna sonora dall’Orchestra Sinfonica Bartolomeo Bruni (anche loro piemontesi). Usare temi classici, registrandoli dal vivo con un’orchestra locale, mi è sembrata la soluzione perfetta per incarnare lo spirito e i valori del film”.

Trifole - Le radici dimenticate

  • Anno: 2024
  • Durata: 100 minuti
  • Distribuzione: Officine Ubu
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Gabriele Fabbro
  • Data di uscita: 17-October-2024

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