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Approfondimento

Gabriele Fabbro un cinema di tradizione e musica

Il regista torna nelle sale, dal 17 ottobre, con Trifole – Le radici dimenticate, distribuito da Officine UBU

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Gabriele Fabbro

Dopo il suo primo lungometraggio di finzione, The Grand Bolero, candidato al David di Donatello 2023, Gabriele Fabbro torna nelle sale, dal 17 ottobre, con Trifole – Le radici dimenticate, distribuito da Officine UBU.

Il film, interpretato da Ydalie Turk, Umberto Orsini e Margherita Buy, è stato realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte, per l’inventiva utilizzata dal regista allo scopo di promuovere il territorio delle Langhe, noto in tutto il mondo per il tartufo bianco. Questo prelibato tubero, o meglio tutte quelle nozioni non scritte tramandate nel tempo dai cavatori di tartufi, che in piemontese vengono chiamati trifolau, sono al centro della storia.

TRIFOLE - LE RADICI DIMENTICATE

Un coacervo di voci

Tuttavia, Trifole – Le radici dimenticate non è un documentario, ma un film di narrazione, con una vicenda, costruita da Gabriele Fabbro e Ydalie Turk, attraverso i racconti ascoltati nelle Langhe. Un coacervo di voci, frammenti di narrazione che trovano unità in una descrizione dettagliata e affascinante di un luogo magico, incantevole. Qui le tradizioni  provano a sopravvivere sotto la pressione di un vorace progresso, capace di cancellare ogni cosa. Una resistenza tenacia, coraggiosa, all’insegna della difesa delle radici viene mostrata con un linguaggio squisitamente cinematografico.

Mai didascalico, ma comunque capace di divulgare nozioni che diventano testimonianze del sapere. Gabriele Fabbro prosegue un discorso avviato in precedenza con il suo primo film, The Grand Bolero, girato nel 2020 nei mesi del lockdown in Lombardia, tra Lodi, Bergamo e Monza. Al centro del racconto c’è un’altra attività, tanto antica come la cavatura dei tartufi. Un altro sapere, le cui origini si perdono nel passato, rivestendosi di sacralità: il restauro di antichi organi.

Un mestiere antico i cui trucchi sono trasmessi attraverso l’osservazione e l’apprendimento di un talento custodito con gelosia. Come in Trifole –  Le radici dimenticate, Gabriele Fabbro in The Grand Bolero, scritto insieme a Ydalie Turk, ambienta una storia, un thriller a sfondo sentimentale tra due donne. Raccontando lo scontro e poi l’incontro tra le due, viene reso il lavoro del restauro dell’antico strumento musicale.

Le canne, la console, i pedali e la tastiera del prezioso organo vengono catturati dalla macchina da presa nel pieno delle loro funzioni:  l’emissione di una musica ancestrale, capostipite della polifonia.  Attraverso il restauro dell’organo, Roxanne e Lucia entrano in simbiosi, un incontro di sentimenti, paure e passioni.

La trasmissione del sapere nel cinema di Gabriele Fabbro

Anche in Trifole – Le radici dimenticate i due protagonisti s’incontrano attraverso la trasmissione del sapere.

Inizialmente, Igor, interpretato da un bravissimo Umberto Orsini, non accetta, anzi, non riconosce sua nipote Dalia (Ydalie Turk). Ma poi, a poco a poco, i due si avvicinano, attraverso la condivisione di ricordi e del sapere. I segreti, i trucchi della cavatura vengono trasmessi da maestro a discepola e l’immaterialità della conoscenza acquista forma, peso e valore nella materialità.

Il discorso iniziato con The Grand Bolero si amplia, si arricchisce in Trifole – Le radici dimenticate, sfociando in una riflessione sociale, antropologica.  Tutto mirato alla salvaguardia di un patrimonio culturale immenso, composto in alcuni casi da manufatti visibili, tattili, ma anche da tante testimonianze di un sapere culturale orale, volatile e per questo fragile. La trasmissione del sapere avviene attraverso la parola non scritta. Lucia è analfabeta e memorizza ciò che le viene detto da Roxanne. Il sapere del maestro trova nuova linfa nel talento del suo discepolo, acquistando ulteriore forza per resistere alla ingordigia di un progresso spietato che cancella ogni radice.

Il patrimonio culturale immateriale

Gabriele Fabbro si schiera sul fronte della difesa delle antiche tradizioni, portatrici di un patrimonio culturale immateriale di inestimabile valore. Una scelta di stringente attualità se si considerano le ultime politiche dell’UNESCO, come quella di salvaguardare il canto lirico come bene dell’umanità. Il sapere trasmesso nei due lungometraggi di Gabriele Fabbro è fragile, continuamente minacciato dal trascorre del tempo, ma aperto a innovazioni e mutamenti. Caratteristiche che permettono la sopravvivenza di mestieri sempre più rari.

The Grand Bolero e Trifole – Le radici dimenticate riescono a rimarcare l’importanza del patrimonio culturale immateriale sfruttando al meglio il mezzo cinematografico. Il regista, sostenuto da una scrittura rigorosa e dettagliata, non dimentica mai di intrattenere il pubblico, creando un non luogo (sempre riconoscibile per la sua straordinaria bellezza) dove si può sognare. Ritmo e conflitto, generati da una minaccia esterna inesorabile, come viene denunciato in un precedente lavoro documentaristico, Quo Vadis 2020.

La musica

Gabriele Fabbro riesce nel suo intento di promuovere territorio e tradizione giocando con i generi cinematografici, trovando un equilibrio quasi perfetto. Il suo punto di forza, però, è senza dubbio l’uso della musica. Con la traccia uditiva il regista trova la terza dimensione. I suoi film acquistano profondità, e la narrazione si fa più ricca.

Progressivamente i dialoghi si fanno da parte, i personaggi si isolano, in una specie di viaggio interiore e la musica diventa predominante. La traccia sonora, a volte distesa, altre nevrotica, è la protagonista nelle scene più drammatiche. In un bacio, in un amplesso, in un furto e in un assassinio la parola svanisce e le note straripano sullo schermo.

Gabriele Fabbro sperimenta. La sua è una ricerca continua, perfezionata nel tempo. Nonostante la sua giovane età (classe 1996) il regista di Trifole – Le radici dimenticate ha realizzato circa trenta audio – video, tra cortometraggi e music video, come If You Run per Josh Homme dei Queens of Stone Age.

I cortometraggi

La musica, però, è predominante anche nei cortometraggi narrativi, come 8, presentato alla Mostra di Venezia e interpretato da Esteban De La Isla e Jordan Knapp. In questo lavoro Gabriele Fabbro fa un uso della musica che ricorda Sergio Leone. Decide di accompagnare la scrittura della sceneggiatura con quella sonora. La vicenda narrata e la componente musicale sono scritte nello stesso momento, suscitando, in modo del tutto spontaneo, la reazione degli attori.

Sono tanti i cortometraggi di Gabriele Fabbro senza dialoghi, dove la musica riesce a farsi portatrice di emozioni. È il caso di Two Steps Away, dove l’amore tra un ragazzo e una ragazza nasce sulle sponde di un canale. I due non si scambiano una sola parola, comunicano attraverso dei disegni e la musica riesce perfettamente a evocare il loro amore.

Gabriele Fabbro director of the shortfilm 8.

Cultura e intrattenimento

La musica, poi, accompagna la protagonista di Claire, dove una ragazza perduta trova la propria felicità dopo il dono di una rosa di carta. Amore e musica tornano protagonisti in Loves me, loves me not, un piccolo esperimento romantico e poetico. Ancora una volta i dialoghi vengono eliminati, a vantaggio della musica, in Santa Monica, dove un senzatetto ricorda una sua giornata felice. Gabriele Fabbro esplora il mezzo cinematografico, dimostrando di possedere uno stile già formato, aperto alla sperimentazione. Il giovane regista, laureato alla New York Film Academy, rimodella i generi, concedendosi anche qualche scherzosa prova, come The Peach e Four of Kind.

The Grand Bolero e Trifole – Le radici dimenticate sono due ottimi lungometraggi che fanno ben sperare per il proseguimento della carriera del giovane regista, capace di costruire un mondo favolistico su un materiale narrativo reale. Con questi due film Gabriele Fabbro ha gettato le basi per il suo cinema, fatto di cultura e intrattenimento, un binomio che consente alle sue opere di essere accolte nei principali festival internazionali, senza precludersi la via delle nuove diffusioni cinematografiche.

‘Trifole – Le radici dimenticate’ La recensione – Taxidrivers.it

‘Trifole – Le radici dimenticate’ conversazione con Gabriele Fabbro – Taxidrivers.it