Un cenno di vita in mezzo a tanto sterminio: due bambini corrono e giocano sulle colline nel villaggio di Talish, nel Nagorno-Karabakh o “The Black Garden”. Così come l’opera di Alexis Pazoumian, The Black Garden, proiettato al Cinema Lux art house di Massagno, in occasione del Film Festival Diritti Umani di Lugano 2024.
Una storia toccante e immersiva
The Black Garden è un film documentario che ci introduce fin da subito in un’atmosfera cupa, di guerra e di devasto, con l’obiettivo di riportare alla memoria uno dei tanti avvenimenti spesso volutamente o involontariamente dimenticati. Al contempo, però, il documentario si propone come esempio di lotta per la vita, per l’indipendenza, per la tregua: «all I want is peace» afferma uno dei protagonisti.
Fin dal primo istante siamo portati ad immergerci nella realtà ripresa dal regista, come se stessimo indossando un visore. Un senso di vuoto e di violenza si fanno largo dentro di noi, vaghiamo tra macerie, capannoni distrutti e abbandonati, territori montuosi e spopolati. Eppure, ciò che ci viene mostrato non è altro che un territorio in cerca di un nuovo inizio, un nuovo capitolo.
La Storia nella storia
Quella che Alexis Pazoumian ci vuole proporre in The Black Garden, dunque, non è altro che una pagina di storia. Non è un caso se il documentario viene suddiviso attraverso cartelli che marcano cronologicamente gli eventi. Nel 1991, ci dice il regista, con il crollo dell’Unione Sovietica, la popolazione a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh, rifiutando l’integrazione forzata nell’Azerbaijan, un paese gemello della Turchia, proclamò la propria indipendenza. Ne seguì una guerra sanguinosa. Solo nel 2019, circa venti famiglie tornarono nella loro terra d’origine dopo la distruzione totale del villaggio avvenuta nel 2016. Qui entriamo in gioco noi, tifosi per la buona riuscita della rinascita del territorio, dove, chi è tornato, sta cercando di riprendere in mano la propria vita, come se l’input fosse il «dove eravamo rimasti?».
Attraverso la storia di tre differenti generazioni viviamo in un nuovo racconto che ingloba il passato, il presente e l’ipotetico futuro di una popolazione. I bambini, caratterizzati dal tratto tipico del “fanciullino”, l’ingenuità, girano in bicicletta ridendo e scherzando. Un giovane, Erik, mentre svolge servizio militare si dedica alla sua passione per la ginnastica e dichiara di voler tornare all’università. Un veterano, Karen, cosciente e testimone dell’accaduto, ricorda il passato del villaggio Talish.
Il patriottismo come strumento contro la guerra
A fare da comune denominatore in The Black Garden è proprio la guerra, forza distruttrice che si propone però, come forza creatrice del film. Contro di essa dilaga un forte sentimento di patriottismo, sottolineato da canzoni popolari i cui testi condannano i combattimenti e chi si schiera dalla loro parte.
Tutto questo concorre a generare un prodotto audiovisivo il cui augurio sembra proprio essere che il «Black Garden» possa tornare ad essere un giardino verde e fiorito.