L’Atmosfera alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone
Tutti in attesa dinanzi al Teatro Verdi di Pordenone, in dolce fremito per assistere alla proiezione di 3 Bad Man (1926) di John Ford. Alcuni critici, poco lontano da me, iniziano a raggrupparsi: io li osservo da lontano, ancora vergine di questi Festival in veste di critico. Come ci si deve comportare? Devo andarci a parlare? Rischio di essere socialmente inaccettabile se rimango qui a scrivere e mi porto avanti con il mio articolo su John Ford alla serata di apertura delle Giornate del Cinema Muto? A quanto pare, ho fatto la cosa giusta poiché una signora tedesca mi si avvicina e inizia a parlarmi della sua regione vicino a Monaco (un paesino abbastanza sperduto, immagino, di cui non ricordo il nome), lamentandosi: “[…] che i governi locali tedeschi non fanno niente per aiutare la cultura. Non ho alcun appoggio politico nella mia regione. Mi chiamano solamente se gli servono dei filmati d’archivio” (lei è archivista, conservatrice di preziose pellicole del XX secolo e storica del cinema). “E neanche mi pagano per questo!” dice ridendo forte. Mi ricorda la risata della Fallaci: “Perché solo chi ha pianto molto sa ridere bene.” (Lettera a un bambino mai nato).
Mi saluta dicendomi: “Le Giornate? Il Festival più importante per il muto. In assoluto, sì.” Le sorrido, ed entriamo nel Teatro Verdi, complici eterni di un cinema che sembra muto ma dice più di un monologo di Molly Bloom.
La Serata di Apertura al Teatro Verdi: Tra Cortometraggi e John Ford
Siamo dentro adesso, e iniziano a scorrere le locandine ufficiali delle edizioni passate, con quei meravigliosi volti bloccati dal tempo, fermi, eterni, morti ma più vivi che mai. Con Kiss of Fire rimaneggiata con le parole “Cinema Muto”, parte una carrellata di grandi volti del passato: riconosco Sergio Leone, Enrico Ghezzi e Paolo Mereghetti. Mi sento come il bambino di Nuovo Cinema Paradiso. Le luci si spengono, salgono sul palco Piero Colussi, Jay Weissberg e il traduttore. Per primo prende la parola Piero Colussi, dando un bel “Welcome Home” dorothiano a tutti i presenti. Tutti noi però, lì, abbiamo sentito: “There’s no place like home”.
Si parte poi con il programma della serata, descritto brevemente da un frizzante Jay Weissberg: come antipasto, due cortometraggi, Ritratto di Riccardo Biglia (che il direttore delle Giornate ricorda ironicamente, alludendo alla sincerità di un “[…] ma si amano davvero marito e moglie nel film”) e Peg O’ the Mounted di Alfred J. Goulding, entrambi in 35mm. Entrambi seguiti da una meravigliosa composizione al pianoforte dal vivo, eseguita da Daan van den Hurk.
Dopo questi due cortometraggi leggeri, arriva il piatto forte: 3 Bad Man di John Ford, e subito tra le pareti della sala, una sequela di film memorabili viene passata in rassegna da tutti i presenti: Ombre rosse (1939), Sentieri selvaggi (1956) e L’uomo che uccise Liberty Valance (1962). 3 Bad Man, ovviamente, porta con sé l’impermeabilità ferrea di una tipica sceneggiatura hollywoodiana, rispettando i tempi narrativi e glorificando gli slanci sentimentali, in questo lungometraggio più forti che mai.
3 Bad Man: Western Classico tra Azione e Sentimento
Tre furfanti, Mike Costigan, Bull Stanley e Spade Allen, sono al servizio di uno sceriffo criminale, e si ritrovano a dover proteggere una dama, Lee Carlton (dopo aver assistito alla morte del padre di lei), in una cittadina prossima alle famose terre dell’oro, le terre del domani, le terre di Dio, promesse da un diritto sovranico basato sulla legge del più forte e di chi arriva per primo. In un intreccio di preti benedicenti gli aratri, di bambini dimenticati dai genitori nella ressa di una corsa selvaggia alla Terra Promessa, e di gag sentimentali (e non), si viene a creare un perfetto fiume di intrattenimento musicale (guidato dal direttore d’orchestra americano Timothy Brock ed eseguito dall’Orchestra da Camera di Pordenone), un rovesciamento dei tipici stereotipi (i buoni diventano cattivi e i cattivi diventano buoni) e sparatorie a non finire. La polvere da sparo qui non manca, i baci rubati neppure, e le corse sui cavalli nemmeno. Ma una cosa sì che deficita: “[…] l’appoggio politico alla cultura cinematografica in Germania.”