L’immaginario supereroistico che il cinema hollywoodiano ha costruito è pieno di personaggi dal fisico sovrumano, realtà futuristiche ed effetti speciali mirabolanti. Il cortometraggio L’invulnérable (2023) di Lucas Bacle, in concorso alla ventunesima edizione del Sedicicorto International Film Festival, sovverte questi standard.
C’era una volta
L’invulnérable non è un corto fantasy, ma la sua estetica immette una sorta di magia in quella che è una storia, tutto sommato, comune. Marcus (Bakary Diombera) è un giovane aspirante regista che intende realizzare un cortometraggio per cercare di entrare in una scuola di cinema parigina. Il ragazzo, però, ha una responsabilità. Suo padre Oumar (Moussa Mansaly) è affetto da sclerosi multipla e, oltre ad aver bisogno di assistenza, tende a comportarsi in modo piuttosto incosciente. Marcus è amareggiato perché sente di dover mettere in secondo piano le sue aspirazioni per sostenere suo padre, arrivando a essere molto duro con lui. Aiutato da Inès (Lucie Charles-Alfred) e Rémy (Michael Zindel), il giovane cercherà di portare a termine il suo cortometraggio e, all’insaputa del genitore, fare domanda alla scuola. Ci riuscirà nonostante gli imprevisti della quotidianità con suo padre?
Un corto nel corto
Il cortometraggio che Marcus intende realizzare ne L’invulnérable ha per protagonista un supereroe il cui inusuale talento è quello di trasformarsi in una zucchina. Il suo compito sarà quello di salvare il suo fedele aiutante piccione, che il protagonista ha attentamente ricostruito in modo artigianale. Bacle mette in scena il processo creativo e, in questo caso, amatoriale di un cortometraggio. Marcus realizza lo storyboard, lavora alla colonna sonora, costruisce il set e organizza una troupe con i suoi amici. Com’è facile immaginare, i due livelli del racconto scivoleranno spesso l’uno nell’altro, soprattutto quando Marcus rende chiara la componente biografica del suo progetto. Il supereroe e il piccione sarebbero, rispettivamente, Oumar e suo figlio, che ritiene che il padre non si comporti come tale.
Ruoli intercambiabili
A fronte di rapporti interpersonali così complessi, la scrittura dei personaggi da parte degli sceneggiatori Lucas Bacle, Yoann Hebert e Vincent Toujas è tridimensionale. Gli adolescenti e il loro stato d’animo sono restituiti credibilmente, sottolineandone la maturità che fa da contraltare al tratto infantile dei personaggi adulti. Per i giovani protagonisti, il mondo è ancora piccolo e ogni intoppo diventa totalizzante. Per gli adulti, quegli stessi ostacoli hanno un peso minore. Il merito della scrittura di questi personaggi sta nel fatto di riconoscere la dignità di ogni loro sentimento. I problemi di Marcus non vengono sminuiti, ma messi in discussione dai suoi pari nel momento in cui sbaglia; la figura paterna non è intoccabile, bensì vulnerabile e capace di ammettere di aver bisogno d’aiuto. Gli efficaci dialoghi-scontri tra Marcus e Oumar ricreano la difficoltà comunicativa intrinseca in ogni rapporto genitore-figlio e, più in generale, tra adulti e ragazzi. Sono brillanti i momenti in cui l’aspirante regista deve destreggiarsi tra la sbadataggine paterna e il set perché – con intento canzonatorio – si comporta come un adulto stressato dal suo lavoro.
Un mondo a colori (primari)
Se la scrittura dei personaggi sovverte gli stereotipi, l’uso del colore è tutt’altro che superficiale. Il quartiere in cui Marcus e suo padre vivono è piuttosto comune e vede il protagonista spostarsi principalmente fra tre ambienti: la casa, la scuola e il magazzino dove è stato collocato il set. Nonostante la normalità dei luoghi, l’uso del colore non sembra casuale. Sin dall’inizio, il blu è uno degli elementi dominanti nella composizione delle inquadrature e, nello specifico, pare legato a sperimentazione e creatività. Sono blu le soluzioni chimiche utilizzate in laboratorio dagli studenti, è blu il muro del capannone in cui Marcus gira il corto e, soprattutto, è blu il telo che, sul set, rappresenta il cielo in cui vola il supereroe protagonista. Il suo costume introduce poi il rosso, quello della maschera che spicca sul volto del commesso chiamato a interpretare la parte. Infine, il giallo completa il quadro. Questo colore è legato soprattutto alla casa, dalla carta da parati alla luce che, negli interni, crea un’atmosfera calorosa. Per Marcus, però, quel calore è soffocante.
Dietro la maschera
L’uso del colore nella composizione delle inquadrature crea un effetto cartoonesco in un contesto realistico, ma il dualismo naturale-artificiale informa anche altri livelli del film. Il bel set costruito da Marcus è palesemente finto, con nuvole di stoffa tenute da fili a vista e rocce di cartapesta. Nonostante questo, gli ambienti “reali” della quotidianità non sono meno espressivi: la piccola casa dei protagonisti sembra quella dei sette nani ma collocata in un contesto urbano che la sovrasta. Un altro piano che L’invulnérable sovverte quello della rappresentazione del supereroe. Calzamaglia blu e mantello rosso non sono indistruttibili, il suo superpotere è inutile e, soprattutto, dietro la maschera si cela un uomo affetto da sclerosi multipla.
I supereroi esistono?
La più forte decostruzione che L’invulnérable realizza è quella del concetto del “supereroe quotidiano”. Spesso, soprattutto nei discorsi mediatici, si abusa di espressioni simili, esaltando comportamenti lodevoli di persone comuni e rendendo un’eccezione ciò che dovrebbe essere la norma. Oumar, suo figlio e i suoi amici non compiono azioni eclatanti, ma questo non vuol dire che non siano significative. Marcus fronteggia la difficoltà del perseguire i propri obiettivi in un preciso contesto sociale e familiare. Come molti giovani, è desideroso di andare altrove per iniziare a costruirsi una vita su misura. Inès, al contrario, non sa chi e cosa desideri essere, infatti taccia Marcus di non comprendere la fortuna di avere un sogno. Oumar, invece, è un adulto che si trova ad affrontare una condizione regressiva e difficile da accettare anche per suo figlio.
Basta essere umani
L’invulnérable non è un cortometraggio buonista: nessuno arriverà da un altro pianeta per permettere a Marcus di concludere in tempo il suo lavoro o per curare istantaneamente Oumar. I protagonisti non sono individualità finite ma colte in processi di crescita e trasformazione, a prescindere dall’età. Ognuno di loro sbaglia, ognuno di loro non può capire totalmente le necessità altrui. Ciò che conta, però, è la disponibilità all’incontro e alla comunicazione. Sarà questo l’ambito in cui i personaggi impareranno di più, comprendendo che, in fin dei conti, i supereroi non sono necessari.