Nina, trentenne con la dote del canto e una grande passione per la Cina, resta durante le vacanze estive in una Roma deserta. La donna, che custodisce il cane, il criceto e l’acquario di un amico, incontra per caso Ettore, un bambino misterioso che ha le chiavi di tutti gli appartamenti del palazzo, ma sembra non sapere da dove viene. Tra i due nasce una singolare amicizia.
In uscita nelle sale il 18 aprile, il primo lungometraggio della giovane regista Elisa Fuksas è già preso a battesimo dal Bif st 2013 Festival, aggiudicandosi la menzione speciale di opera dalla grande originalità artistica, grazie a un background architettonico di tutto rispetto.
Una trama forse inconsistente quella che il pubblico a stento segue, troppo intento a contemplare e a percepire il clima di attesa, di assenza di realtà, di sospensione e di redenzione di una Roma completamente svuotata dal caldo estivo con i suoi palazzi dell’Eur dagli spazi infiniti e limpidi, che appaiono come dune agli occhi della protagonista; un deserto che una bravissima Diane Fleri può vedere fuori ma anche sentire dentro. Quasi un’ossessione quella nei confronti dell’impianto urbanistico da parte della regia e poca attenzione al significato che il pubblico fatica a comprendere in un’eccessiva ricerca della perfezione del particolare estetico.
Nina, una ragazza sui trentanni, decide di trascorrere l’ estate nell’appartamento del suo migliore amico, Paolo (Andrea Bosca), all’Eur, per prendersi cura del cane depresso del ragazzo (un onnipresente pastore tedesco di nome Omero) e di altri animali del negozio di famiglia di Paolo: un simpatico porcellino d’india, Armando e un acquario di pesci preoccupante e rumoroso.
È in questa casa e in particolare in questo quartiere di Roma che Nina si trova ad affrontare una di quelle grandi crisi che precedono la crescita personale e una maggiore consapevolezza di se stessi. Ambientazioni surreali alla De Chirico e scenari onirici quasi felliniani, che la Fuksas si affretta a smentire confessando solo qualche riferimento al cinema sessanta-settanta, come la testa di cervo in cucina in omaggio alla cinematografia di David Lynch. Un ritratto borghese dalle atmosfere idilliache e dai colori pastello sbiaditi dal sudore dell’estate di una giovane donna dai molteplici interessi che spaziano dalla passione per la Cina, suo piccolo grande obiettivo di vita, al canto: per guadagnarsi da vivere dà lezioni in un istituto privato a tempo perso.
Sono incontri casuali quelli che fanno da cornice all’estate-rivelazione di Nina: un saggio professore napoletano di sinologia (Ernesto Mahieux), che dispensa lezioni e pillole di zen dal sapore partenopeo in una stanza che sembra lontana dal mondo e dallo spazio; Ettore, un bambino misterioso che ha le chiavi di tutti gli appartamenti del palazzo e che sembra avere le risposte che Nina cercava da tempo; infine Fabrizio (Luca Marinelli), un amore sbocciato all’ombra del Palazzo dei Congressi (ma con un caldo torrido), che appare, scompare e ritorna: un’infatuazione più che una scelta.
“Nina passeggia nelle vite degli altri senza prendersi la responsabilità di essere qualche cosa oltre che una semplice turista”, così dice la regista, anche se agli occhi del pubblico il personaggio di Nina si risolve perlopiù in una figura narcisistica e fine a se stessa, che crea rapporti con gli altri personaggi nella stessa modalità e facilità con la quale li disfa. Dialoghi piatti come l’azione, il tutto completamente annullato da una spasmodica ricerca di perfezione geometrica. “Freschezza, ma soprattutto unicità”: questi gli ingredienti che la Fuksas utilizza per conferire al suo film dall’estetica architettonica un sentimento di sospensione e di incompiutezza percepibile nell’aspetto visivo di una Roma lontana dal tempo in cui si attende che le cose accadano, ma anche nelle scelte della protagonista “in attesa” di un amore, di un lavoro, di una vita nuova o più semplicemente di trovare se stessa.