Palestine Islands di Nour Ben Salem e Julien Menanteau (di cui verrà proiettato il suo primo lungometraggio Lads ad Alice nelle città 2024), viene proposto in concorso al 21° Sedicicorto Forlì International Film Festival e proiettato, non a caso, il 7 ottobre, anniversario del feroce attacco di Hamas alla comunità israeliana ai confini della Striscia di Gaza.
Un fatto tragico che ha dato l’avvio a quello che, senza troppi giri di parole, va definito come un vero e proprio genocidio della comunità gazawi da parte dell’esercito della Stella di David.
Una storia ambientata in un campo profughi in Cisgiordania
Palestine Islands, tuttavia, non è ambientato nel lembo di terra che si affaccia sul Mediterraneo, bensì in Cisgiordania, terra martoriata e oppressa, prigione a cielo aperto in cui gli abitanti sono costretti a vivere circondati da un muro che si estende per centinaia di chilometri, impedendone gli spostamenti e costringendoli a vivere segregati nella loro terra.
Qui, nel campo profughi di Balata, una delle “isole” a cui fa riferimento il titolo del film, vive la dodicenne Maha (Sama Idreesi) insieme alla madre, al fratello più grande e all’anziano nonno cieco (Kamel El Basha).
Il giorno in cui il vecchio accusa un malore, Maha decide di voler esaudire a tutti i costi il desiderio che le aveva confidato: rivedere per un’ultima volta il mare a Jaffa, sua città natale, luogo impossibile da raggiungere a causa dei checkpoint che impediscono ai palestinesi di varcare il muro.
Inizia così un gioco di finzioni che Maha escogita per far credere al nonno non vedente che un valico è stato aperto e che è possibile oltrepassare lo sbarramento e recarsi fino al mare.
Con tono leggero i due registi ci parlano del dramma che stanno vivendo i palestinesi
Lo spunto del film è nato dalle interviste che Julien Menanteau ha realizzato nel campo di Balata ad alcuni ragazzini che gli hanno raccontato la loro vita quotidiana e spiegato cosa rappresenta per loro, che sono ormai di quarta o quinta generazione, la Nakba, cioè l’esodo forzato dei palestinesi del 1948.
Palestine Islands si sviluppa con un chiaro riferimento a Good Bye, Lenin!, ma ne ribalta lo sguardo. Infatti se nel film di Wolfgang Becker c’era un figlio che faceva di tutto per far credere alla madre malata che il muro di Berlino non era crollato, nel corto di Ben Salem e Menanteau troviamo, al contrario, una nipote che vuol far credere al nonno che il muro è caduto, per vederlo sorridere in un posto dove gli adulti hanno perso il sorriso, come dice la stessa Maha al fratello.
Così, raccontando l’ingenuo piano escogitato dalla ragazza, i due registi utilizzano un tono leggero da commedia per portare agli occhi dello spettatore la tragica realtà di un paese in cui la popolazione è costretta a vivere in uno stato di degrado, senza alcuna prospettiva di affrancamento dalla condizione di oppressa.
Sono i ricordi del nonno, che ha vissuto in prima persona la Nakba, venendo espropriato della casa e della terra, a permettere a Maha di credere ancora che un futuro migliore ci possa essere, e fa di tutto affinché i desideri del vecchio possano venir realizzati.
Non importa se si tratta di finzione, se le trasmissioni radio vengono registrate su uno scassato registratore a cassette, se l’acqua in cui il nonno si bagna i piedi è dolce e non salata. Ciò che conta è che lo sguardo cieco che il vecchio lancia verso l’orizzonte lontano consenta alla mente di oltrepassare il muro, in un anelito di libertà che permette di restare vivi e continuare a sperare.