Interviews

Dinamiche sociali, ritmo e “geometria”: intervista con Ruben Östlund

Tra tematiche, elementi ricorrenti e qualche anticipazione, il regista svedese parla del suo cinema

Published

on

Ospite al Lucca Film Festival 2024, il regista, due volte Palma d’Oro a Cannes, Ruben Östlund ha ricevuto il premio alla carriera e ha tenuto una masterclass.

A Ruben Östlund, presidente onorario dell’IFA, International Filmmaking Academy di Bologna, arrivato a Lucca Film Festival con Marija Krunic, Presidente dell’IFA, abbiamo fatto alcune domande sulla sua filmografia.

Le tematiche nella cinematografia di Ruben Östlund

Fin dai primi film ti sei interessato alle questioni sociali e umane tra le persone di qualsiasi età, sesso, estrazione sociale arrivando a svilupparle dal dramma alla commedia. Un filo conduttore è il fatto che nei tuoi film non ci sono buoni o cattivi, o meglio riesci sempre a ribaltare la situazione e far apparire i buoni come cattivi e viceversa. Disegni personaggi che vanno oltre i propri limiti e che mostrano la propria vulnerabilità. Poni i personaggi in relazione a eventi che li fanno dubitare di loro stessi e delle loro azioni. Per questo riesci a essere contemporaneo (mostrando la società di oggi), critico (spesso i tuoi film sono metafore) e innovativo (hai un modo inusuale di girare). Sei d’accordo?

Sì (ride, ndr). E sono felice che percepisci così i miei film. Penso che quando si parla di personaggi nei film ci sia una maniera diversa di vederli se si considerano da un punto di vista europeo o da un punto di vista americano. Faccio spesso riferimento a questo quando realizzo un film perché credo che noi europei abbiamo un’influenza forte dell’industria americana. In particolare da questa abbiamo preso l’idea che l’essere umano è un individuo libero ed è responsabile delle proprie azioni. Se guardiamo il tutto da un punto di vista europeo, invece, penso che noi mettiamo le cose sempre in un contesto ed è questo stesso contesto che provoca il comportamento che abbiamo.

Per approfondire meglio la questione devo tornare a Marx, uno dei fondatori della sociologia, che è un argomento bellissimo perché non punta il dito sull’individuo dicendogli vergognati, ma è un esempio che possiamo usare come riferimento se vogliamo cambiare qualcosa nel nostro comportamento.

Il cinema come sperimentazione

Secondo te è corretto dire che usi il mezzo cinematografico per sperimentare? Le tue riprese (all’inizio fisse e poi sempre più dinamiche) possono essere viste come una sperimentazione stilistica e tematica? In Involuntary, oltre a mostrare le dinamiche sociali da punti di vista anomali, poni lo spettatore fuori dalla storia, poi in Play continui a usare le inquadrature fisse, ma stavolta lo spettatore è dentro la storia e i personaggi.

Questo è legato al mio background di documentarista, quando facevo film sullo sci con la scuola di cinema. In generale mi piace che la camera guardi in un modo particolare perché è come se inquadrasse qualcosa per studiarlo dall’esterno, in modo voyeuristico.

Questa è stata l’idea quando ho fatto i primi film: ho messo la camera su un treppiedi e ho organizzato il mondo davanti in modo che le parti che pensavo fossero interessanti potevano essere messe in evidenza, poi mi sono interessato a combinare l’aspetto esterno con i sentimenti forti che si percepiscono in quanto esseri umani.

Recentemente ho sentito qualcuno dare un nome a questo fenomeno: post-post-modernismo. Quindi il post-post-modernismo non è solo stare a distanza e ridere di come siamo stupidi, ma è anche essere molto vicini e farci identificare con i sentimenti che ci caratterizzano in quanto essere umani.

Sempre rimanendo sul tema della sperimentazione ce n’è anche una dal punto di vista visivo? Oppure è un caso che i tuoi ultimi film siano The Square e Triangle of sadness, cioè due film che giocano sulle forme geometriche fin dal titolo?

Mi piace molto parlare dei miei film con mia moglie e, infatti, parlandone anche con lei, abbiamo capito che ora tutti penseranno che questi titoli sono parte di una trilogia. Allora le ho detto ok, dirò che il mio prossimo film sarà chiamato Octagon of Confusion e non finirà mai perché è un progetto lungo (ride, ndr). No, in realtà è solo una coincidenza.

La scelta del gruppo

Un elemento importante nella tua filmografia è il fatto che non scegli mai un protagonista o una protagonista, ma sempre un gruppo. Ci sono capitoli che raggruppano persone in Involuntary, amici in Play, una famiglia in Forza Maggiore, persone in vacanza in Triangle of sadness. Si può parlare di film corali?

Prima di arrivare a Involuntary il mio primo film di finzione era The Guitar Mongoloid e aveva personaggi un po’ strani e originali, degli outsider, ed erano soli. Quindi non erano molto collegati al gruppo. Poi mi sono interessato all’influenza che il gruppo ha sul comportamento di ognuno. Ho avuto le mie esperienze e ho avuto un gruppo di amici con cui sciavo (ragazzi giovani) per molti anni. Così facendo potevo osservare il mio comportamento in quel gruppo e poi il mio comportamento quando ero con mia moglie e i miei bambini. Mi interessava capire come il gruppo mi faceva cambiare comportamento in base al contesto.

Quindi penso che il gruppo abbia una forte influenza su ciascuno di noi. Ci vergogniamo molto, siamo animali che si vergognano, che hanno paura di perdere la faccia davanti al gruppo. Per questo penso che è sempre interessante mettere i personaggi nel contesto del gruppo.

Elementi ricorrenti nel cinema di Ruben Östlund

Sono tanti gli elementi ricorrenti nella filmografia di Ruben Östlund. Per esempio ho trovato la voce fuoricampo all’inizio del film (in Involuntary sentiamo la voce ma non vediamo il corpo della persona che sta parlando, in Play l’inquadratura è talmente vasta che inizialmente non riusciamo a capire chi sta parlando, ecc.), la divisione in capitoli, l’importanza dello spazio e il ritmo che cresce sempre di più dall’inizio alla fine e dai primi agli ultimi titoli.

Quando ho fatto il mio primo film stavo filmando me stesso (eravamo io e gli attori) e abbiamo messo una sorta di radiolina che faceva sentire il suono molto vicino anche se stavo filmando da lontano e mi piaceva quel tipo di suono a quella distanza perché sentivo che mi collegava ancora di più con ciò che stavo guardando. Per questo, quindi, è venuto fuori un po’ questo stile di usare il suono in quel modo (anche perché era una piccola produzione). Poi quando è arrivato il momento di Involuntary mi piaceva riprendere qualcosa e pensare a cosa poteva esserci fuori dall’immagine perché è un procedimento che mi attiva, mi fa pensare a cosa sta succedendo fuori dall’immagine.

Poi c’è il ritmo che è molto interessante. A tal proposito sto facendo un esperimento per la prima volta. Per il mio prossimo film (Entertainment system is down) sono stato ispirato da un esperimento psicologico sociale chiamato l’interattività della mente disimpegnata. In questo esperimento chiedono alle persone di entrare in una stanza e di non fare nulla per un periodo di tempo che va dai 7 ai 15 minuti circa. Le persone non hanno modo di controllare il tempo e l’unica cosa che possono fare è sedersi su una sedia e pensare. Quello che viene fuori è che alle persone questo non piace, addirittura alcune lo paragonano alla tortura. Gli scienziati, allora, deciso di aggiungere una funzione: la possibilità di premere un pulsante e ricevere una sorta di shock (anche doloroso, ma non cattivo). Quello che è emerso è che un terzo degli uomini premeva il pulsante invece di stare fermo e pensare, così come un quarto delle donne. Addirittura c’è stato un uomo che lo ho fatto per 190 volte nel periodo di 15 minuti. Alla luce di questo esperimento è venuto fuori che se l’essere umano può scegliere di fare niente o fare qualcosa sicuramente sceglierà di fare qualcosa. Se, però, può scegliere tra fare niente e fare qualcosa di negativo preferisce fare qualcosa di negativo. Io cercherò di spiegare questo nel mio film.

Ci sarà una scena dove due figlie in una stessa famiglia litigano perché c’è solo un iPad con la batteria. La soluzione del padre sarà consegnarlo a una dicendole che lo potrà tenere per 15 minuti, poi passerà all’altra sempre per 15 minuti. Proverò a rendere questo all’interno del film come un tempo normale. Quindi quando lui dirà che iniziano i 15 minuti ci troveremo davanti a una scena che non verrà tagliata e voglio che gli spettatori nel cinema capiscano questa tempistica. Praticamente ci saranno gli spettatori che si chiederanno perché staremo a guardare questa piccola bambina che non fa niente, o meglio che prova ad aspettare. Per aumentare la situazione ho pensato di far dire al padre che ogni volta che sentirà pronunciare una parola (di protesta) alla figlia senza iPad il conteggio dei 15 minuti ricomincerà dall’inizio. Praticamente il mio obiettivo è creare il più grande allenamento nella storia del festival di Cannes e sono molto curioso di come il pubblico reagirà a questo.

Penso che il ritmo sia una delle cose più provocanti. Ho parlato in un’altra occasione di un ragazzo che ha iniziato a guardare un mio film ma si è stancato perché il ritmo era molto più lento di quello che poteva accettare. Penso a come sarà un film che ha un ritmo normale o un ritmo più rapido e poi lo cambia entrando in uno completamente diverso. E penso che questo sarà più provocante di qualsiasi contenuto.

Per l’intervista e foto di Ruben Östlund si ringrazia Carlo Dutto e Reggi & Spizzichino, ufficio stampa del Lucca Film Festival.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

Exit mobile version