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‘Mi chiamano Cipolla’. Recensione

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Mi chiamano Cipolla, documentario diretto da Giansalvo Pinocchio e Riccardo Baiocco, segue la storia di un ragazzo rom, Jasmin Romavic, detto Cipolla per via dei suoi capelli raccolti dietro, ma non solo. La cipolla è anche sinonimo dei vari strati (psicologici, familiari….) di un individuo, che spesso fatica a mostrare. Le sue paure, le sue gioie e ogni difficoltà che incontra nel percorso di vita vengono seguite, infatti, dall’occhio mai invadente della telecamera.

Il film è prodotto dalla Soul film Production, con musiche a cura del compositore e musicista Pericle Odierna ed è disponibile in streaming su Open DDB – Distribuzioni dal basso. Mi chiamano Cipolla ha vinto un premio, il Doc/It Innovation Award al Torino Film Festival 2022 mentre al Laceno D’Oro 2022 è stato presentato fuori concorso

Una lungo lavoro, durato quasi sei anni e nato dal desiderio di capire una comunità così diversa dalla nostra, ha trasformato la storia di Jasmin da un corto a un film di 65 minuti, permettendoci di scoprire una storia commovente.

La storia di Jasmin

Inizia tutto con una telecamera in mano ad alcuni bambini che corrono attraverso il campo rom situato all’interno dell’ex fiera di Roma. Uno scenario visto svariate volte ma che assume sempre diversi significati a seconda delle immagini che ci vengono proposte. Grazie alla GoPro utilizzata per le riprese conosciamo poi il protagonista del film, Jasmin, che con la sua educazione e gentilezza ci accoglie all’interno della sua roulotte. Vediamo da subito com’è in evidente difficoltà in un contesto che dovrebbe essere a lui familiare. Risulta come la pecora nera della sua numerosissima famiglia.

Il sogno è quello di ricevere una casa dove potersi stabilire con i suoi parenti, ed effettivamente accade. Purtroppo, quella che sembrava una storia fatta di successi e gioie, si trasforma presto in disperazione. Jasmin decide di andarsene per un rapporto con il padre non chiaro ed è  è costretto a girare, senza mai trovare un posto fisso. Dirà di avere una situazione a cui riesce ad appoggiarsi anche grazie all’aiuto di suo cugino Tony, col quale ha però un rapporto dubbio e tortuoso, difficile da comprendere.

Nei discorsi di Jasmin si percepisce tutto ciò che sente. La delusione, la preoccupazione, la felicità di offrire un caffè su un divano, la paura dell’amore e l’affetto per i suoi parenti. Ma anche le tante difficoltà nel comunicare con enti pubblici come la comunità di Sant’Egidio o con i propri parenti, figure che suscitano in lui emozioni diverse.

La sequenza finale de Mi chiamano Cipolla

La sequenza finale di Mi chiamano Cipolla rappresenta l’obiettivo di questo documentario. Nel seguire la vita privata e intima di una persona, a prescindere da quale vita faccia, si creano una connessione e un’amicizia che può resistere nel tempo. Nel confronto su una panchina, decorata da note musicali, verranno messe in dubbio da Jasmin alcune storie narrate nel corso del film. Dopo il nervosismo iniziale, emerge la verità e l’abbraccio tra i registi e il protagonista sigilla una chiusura dolce – amara fatta di speranza.

Il film, grazie all’impronta documentaristica, riesce a creare, anche nello spettatore, un legame forte con le vicende narrate da Jasmin. Tanto che, nel famoso confronto finale, ci sentiamo anche noi “traditi” come i registi. Tuttavia, le bugie, le omissioni o le storie inventate sono figlie di una condizione sociale, familiare, economica di cui il protagonista stesso si vergogna.

Parlando con il regista Giansalvo Pinocchio ho capito come, durante la lavorazione di questo progetto, oltre alle difficoltà burocratiche, anche la complessità nel riuscire a comunicare con Jasmin è stato  spesso un vero e proprio ostacolo.

Non sapendo né leggere né scrivere, gli appuntamenti erano difficili da organizzare e anche le storie avevano delle lacune spazio temporali difficili da mettere in scena. L’idea di prendere la situazione in mano e cercare la verità ha permesso al documentario di avere due funzioni. La prima esplorativa di un mondo e di una cultura differente da quella occidentale, la seconda quasi psicologica. Non solo per seguire il personaggio, ma per tendere la mano, anche rischiando di non essere capiti dal protagonista stesso.

Due mondi che si incontrano, in cui pregiudizi e paure vengono accantonate per rendere al pubblico la storia di un uomo, in tutta la sua semplice complessità.

 

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