Sedicicorto
‘Abraham (Ebrahim)’: Un ritratto audace del fanatismo religioso
Recensione di ‘Abraham’, cortometraggio in gara al Sedicicorto di Forlì
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5 mesi agoon
Abraham (titolo originale Ebrahim), è un cortometraggio scritto e diretto da Elnaz Ghaderpour e Reza Gamini, che rappresenta una potente riflessione sui temi dell’identità di genere, della violenza e dell’intolleranza, affrontati attraverso una lente intimamente umana e culturalmente radicata. Realizzato nel 2024, questo film di soli 14 minuti è riuscito a ottenere visibilità a livello internazionale, con una narrazione che trascende i confini geografici e culturali, offrendo uno sguardo profondo e commovente sulle conseguenze tragiche del pregiudizio e dell’odio. Presentato in prestigiosi festival come il Krakow Film Festival e HollyShorts Film Festival, Abraham si distingue per la sua capacità di portare alla luce le dinamiche complesse che esistono tra amore, fede e accettazione in una società conservatrice.
Abraham — IL TRAILER
Una vita spenta dall’intolleranza: Il dramma di un figlio e di un padre
Al centro della storia vi è Abraham, un adolescente transessuale la cui vita si spegne tragicamente, bruciato in una grotta situata fuori da un piccolo villaggio iraniano. Il film non si sofferma solo sull’evento drammatico dell’omicidio, ma esplora le intricate sfumature emotive che questo porta con sé, soprattutto attraverso il rapporto tra Abraham e suo padre, un uomo profondamente devoto che prega quotidianamente in una piccola moschea. La sua religiosità diventa il filtro attraverso il quale interpreta la realtà, un filtro che non sempre gli permette di vedere la verità su chi fosse realmente suo figlio.
La narrazione prende la forma di un thriller poliziesco, con due investigatori che cercano di ricostruire gli ultimi momenti di vita dell’adolescente. Nonostante le domande rimangano spesso sospese e non del tutto esplicitate, è il silenzio stesso a parlare, a suggerire la frattura profonda tra ciò che la comunità vuole vedere e ciò che invece è accaduto. I segni della scomparsa di Abraham sono ridotti a un vestito, dei braccialetti e delle ciabatte rosa bruciate, un simbolo della sua invisibilità agli occhi di chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Abraham: L’oppressione nata dal fanatismo radicale in Iran
L’anima del film risiede nella sua esplorazione delle conseguenze del fanatismo religioso e della chiusura culturale di fronte alla diversità. L’identità di Abraham, sebbene al centro della narrazione, è trattata con una delicatezza che evita l’ovvio, lasciando emergere la sua umanità attraverso il vuoto lasciato dalla sua assenza. La storia non si limita a raccontare la violenza fisica, ma mette in luce la violenza psicologica e sociale che colpisce le persone transgender in contesti dove le norme rigide e oppressive dominano le relazioni umane.
Il conflitto tra Abraham e suo padre non è solo una questione di incomprensione familiare, ma il riflesso di una lotta più ampia: quella tra tradizione e individualità, tra religione e libertà. La figura del padre, intrappolato tra la sua fede e l’amore per un figlio che non riesce a comprendere, rappresenta il cuore spezzato del film. Il suo tormento interiore è il veicolo attraverso il quale lo spettatore viene condotto a riflettere sulle devastanti conseguenze dell’intolleranza, non solo a livello sociale, ma anche personale.
Un universo visivo che parla di solitudine e fragilità
La regia di Elnaz Ghaderpour e Reza Gamini è caratterizzata da un’attenzione quasi pittorica ai dettagli visivi. Ogni inquadratura serve a riflettere il dramma interiore dei personaggi. La fotografia di Arman Fayyaz enfatizza la desolazione dei paesaggi e l’isolamento emotivo dei protagonisti, creando un ambiente in cui la bellezza naturale del villaggio rurale contrasta dolorosamente con la brutalità della violenza che vi si consuma. La luce, spesso tenue e sfuggente, sembra voler sottolineare la fragilità della vita di Abraham e la sua invisibilità agli occhi di una società che non è in grado di accettarlo.
La colonna sonora di Payam Azadi accompagna la narrazione con una delicatezza che amplifica la tensione emotiva senza mai sovrastare la storia. Le note, quasi sospese nel tempo, si fondono con le immagini, evocando un senso di inevitabilità e tragedia che accompagna lo spettatore fino all’ultimo momento. Ogni elemento del film – dalla scenografia alla musica – collabora per creare un’esperienza visiva ed emotiva profondamente coinvolgente .
Ferite aperte e dialoghi: successi e riconoscimenti di Abraham
Abraham ha trovato ampio riconoscimento nei circuiti internazionali, con proiezioni in festival di rilievo come il Mecal di Barcellona e l’HollyShorts Film Festival, che dal 2005 rappresenta uno dei più prestigiosi palcoscenici per i registi indipendenti. In concorso al Sedicicorto di Forlì (qui il programma completo), Abraham rappresenta un’opportunità ideale per opere che cercano di oltrepassare i limiti della narrazione cinematografica, affrontando tematiche sociali complesse e urgenti.
L’importanza del film risiede non solo nella sua qualità tecnica e artistica, ma anche nella sua capacità di aprire un dialogo su questioni spesso ignorate o evitate, come la condizione delle persone transgender in contesti oppressivi. Il successo di Abraham nei festival testimonia un crescente interesse per storie che mettono in discussione le norme culturali dominanti e che danno voce a chi è stato messo ai margini.
Il peso di una narrazione che scuote l’anima
La ricezione di Abraham è stata ampiamente positiva, non solo per la sua narrazione intensa e toccante, ma anche per il modo in cui il film riesce a esplorare il tema della transessualità con una profondità rara, evitando facili stereotipi o banalizzazioni. Il film ha contribuito a sollevare un dibattito importante sulla rappresentazione delle persone transgender nel cinema, sottolineando la necessità di narrazioni autentiche e oneste che riflettano la complessità delle loro esperienze.
La delicatezza con cui Asma descrive il fratello Abraham nei suoi ultimi momenti, usando semplicemente la parola “danzava”, trasmette allo spettatore la purezza e la bellezza che suo padre Mahmoud e la comunità non sono riusciti a riconoscere. Nel finale del cortometraggio, emerge in modo incisivo il ruolo strumentale della religione, utilizzata come pretesto per giustificare atti di odio: la gamba del pulpito della moschea, che Mahmoud avrebbe dovuto riparare insieme al figlio, rimane ancora rotta.
Un richiamo universale all’accettazione
Abraham non è solo un cortometraggio di grande valore artistico, ma un’opera che riesce a toccare le corde più intime dello spettatore, invitandolo a una riflessione profonda sulle conseguenze della violenza e dell’intolleranza. La regia sensibile di Ghaderpour e Gamini, unita a una narrazione delicata e intensa, rende questo film un contributo significativo al dibattito contemporaneo sulle questioni di genere e sui diritti umani. È una storia di dolore, ma anche di resistenza, un richiamo all’importanza dell’accettazione e della comprensione in un mondo che troppo spesso respinge ciò che non conosce.