Al Lucca Film Festival 2024 per la categoria Cortometraggi internazionali , arriva To Whip a Horse, scritto e diretto da Svante Håkansson. Un racconto potente sulla capacità umana di fare delle proprie debolezze un’arma di sopraffazione, della nostra paura, violenza bieca. E anche il cavallo si fa vittima sacrificale, reo di una colpa che non ha commesso.
Dentro il ranch di Hans
To Whip a Horse vede protagonista un padre di famiglia, colui che apre per primo l’ippodromo. Quando fuori è ancora buio, egli è solito sistemare tutto per le corse dei cavalli, aiutato dai suoi due figli. Questa volta imbraccia un fucile e parte un colpo. Il cortometraggio, attraverso sei episodi, dirama luce sull’oscurità di un atto violento. Scopriamo che Hans da bambino aveva paura dei cavalli, una vera e propria fobia trattata dai migliori psicologi. Quando finalmente viene curato, è proprio al ranch che dedica le sue giornate. La voce narrante, quella della sorella minore, ci rivela una realtà plumbea e senza luce, in cui i cavalli sono espressione della natura indomita e imprevedibile. Quello stesso cavallo che di giorno viene usato per la corsa, di notte viene ucciso.
Il rapporto con il cavallo: tra paura e violenza
Questo tragico racconto è carico di tensione e costruisce attorno a noi le pareti di un maneggio, oppressi dalla freddezza di personaggi induriti e privi di umanità. La storia è ambientata quasi interamente nel ranch di famiglia, le luci non riscaldano l’ambiente, e il cavallo nero appare come un prigioniero avvolto nell’ombra. I due fratelli nascondono un segreto, quello che spezza la rigida routine di Hans, portandolo ad un’ angosciante decisione. La struttura è circolare, si comincia con la figura chiara del padre, su uno sfondo notturno che termina con lui. La natura è violenza: così comincia e termina la tragedia umana. Una metafora attualissima sulla natura violenta dell’uomo. Assistiamo alla sua debolezza che si fa forza distruttrice, caricata tecnicamente da una fotografia fredda e intransigente, come il carattere del padre di famiglia. Non c’è calore nei colori né aria nelle scenografie. La paura verso chi è potenzialmente più forte di noi risorge là dove l’abbiamo estinta.
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