Fra i cortometraggi in concorso nell’edizione 2024 del Lucca Film Festival troviamo una spiazzante black comedy a tinte sci-fi. Stiamo parlando di Ik ben geen robot (conosciuto anche con il titolo inglese I’m Not a Robot), scritto e diretto da Victoria Warmerdam. Il corto della cineasta olandese si è già fatto il giro di numerosi festival, sia europei che internazionali, vincendo vari premi e riscontrando l’entusiasmo degli spettatori. Nel cast troviamo Ellen Parren, Henry Van Loon e Thekla Reuten.
I’m Not a Robot, la trama in breve
L’impiegata Lara (Ellen Parren), dopo aver ripetutamente sbagliato le risposte del CAPTCHA (il test Non sono un robot, per intenderci), comincia a dubitare della sua esistenza. Parlando con i colleghi, con il suo fidanzato Daniël (Henry Van Loon) e osservando il comportamento degli altri nei suoi riguardi, questi dubbi si infittiscono. Lara è un’umana come ha sempre creduto? Oppure è davvero un robot?
Davvero sono… un robot?
I’m Not a Robot parte da una premessa semplice ma geniale, declinando il CAPTCHA a una dinamica più esistenziale. Ecco quindi che il test, piuttosto che essere un semplice blocco per i bot informatici, diventa un sistema di riconoscimento per esseri artificiali umanoidi. Da qui sorge il terrificante quesito che infesta la mente di Lara per tutti i 22 minuti di durata del film. Ma veramente potrei essere nient’altro che un robot? È un interrogativo che spiazza. Spiazza a tal punto da provocare un’inaspettata ilarità.
Un dramedy esistenziale
Il corto di Warmerdam presenta un umorismo che funziona grazie a due livelli, opposti ma complementari. Da una parte la totale assurdità della situazione rappresentata. Dall’altra parte la verosimiglianza delle reazioni di Lara, nelle quali ci si può riconoscere. La negazione, la paura, il dubbio che prendono di soprassalto una volta che parte questo meccanismo di completa messa in discussione dell’identità. Sembra quasi di assistere a una versione in salsa humor di Blade Runner (paragone che viene quasi naturale sviluppare). Si condivide in primis l’idea dell’androide con una memoria artificiale innestata (la scena del modulo da compilare per capire se sei un robot, in questo senso, è una piccola perla comica). Ma si condivide anche e soprattutto quella declinazione più riflessiva del genere fantascientifico.
Progressivamente, si passa infatti, come toni, dalla commedia al dramma umano. Il senso di ansia e di paranoia esistenziale comincia a farla da padrona nel corto, anche grazie ad alcune mirate scelte registiche, di montaggio e sonore. È particolarmente efficace l’utilizzo di una cover di Creep della band alternative rock Radiohaed. Il forte disagio sociale che ha spinto Thom Yorke a scrivere la canzone si può quindi declinare nella simbolica figura del “robot” sociale. La paura di non essere realmente accettati e di non sentirsi davvero appartenenti alla società è una tematica preponderante del film.
La donna e il robot
Un ulteriore grado di lettura lo si ottiene se si interpreta la figura del robot attraverso l’ottica dei ruoli di genere. In questo caso, il robot diventa quindi un’allegoria della donna, denotando alcuni aspetti del suo ruolo all’interno della società. Nel robot che sogna di essere umano possiamo dunque leggere la donna che sogna di emanciparsi totalmente, nel lavoro, nelle relazioni, nella vita. Femminismo e inclusività sono, in effetti, due termini utilizzati nel corto, che Victoria Warmerdam non lascia certo a loro stessi.
Ma su questi campi la società attuale rimane ancora indietro, e sotto delle importanti conquiste si nasconde ancora una mentalità patriarcale. Alcuni discorsi di Daniël, che implicano una subordinazione di Lara, sembrano oltrepassare la dicotomia umano-robot e atterrare invece sul campo uomo-donna. Pare inoltre entrare in gioco la dinamica del cosiddetto “male gaze”, quello sguardo maschile che vede le donne come semplici oggetti sessuali (ergo, in maniera non troppo diversa da come si vedrebbe un robot).
I’m Not a Robot non è semplicemente una commedia brillante che parte da un pretesto interessante. È anche un film che, riprendendo certe grandi opere sci-fi, tratta tematiche universali e paure primordiali legate a concetti quali identità e appartenenza sociale. Ma è anche un prodotto profondamente contemporaneo che racconta aspetti sempre più importanti del mondo odierno.