Il grande sbadiglio della storia (The Great Yawn of History, 2024), primo lungometraggio di Aliyar Rasti, è un viaggio affascinante e misterioso attraverso il paesaggio dell’Iran. Un’opera che indaga il confine tra sogno e realtà, religione e illusione, denaro e amicizia, in un contesto dove la natura domina con la sua innata dolcezza e asprezza.
Già vincitore del Premio Speciale della Giuria nella sezione Encounters (che promuove nuove prospettive narrative da parte di registi indipendenti) all’ultimo Festival del Cinema di Berlino, Il grande sbadiglio della storia ha vinto anche il Premio come Miglior Film alla 23a edizione dell’Euganea Film Festival.
Per saperne di più su questo film enigmatico, immaginifico, denso di metafore visive e narrative, abbiamo intervistato in esclusiva il suo talentuoso regista, Aliyar Rasti.

Aliyar Rasti
Com’è nata l’idea di Il grande sbadiglio della storia?
Qualche tempo fa avevo una sceneggiatura e ne volevo fare un film. Avevamo investitori, produttori, tutto. Era una specie di opera mainstream. Poi in Iran è avvenuto un movimento di massa e tutto si è fermato, con molta speranza per il futuro del mio Paese. Ho pensato che potesse avvenire una sorta di cambio di paradigma e che anch’io dovevo cambiare tutto. Non volevo più fare quel film. Mia sorella è una musicista e mi aveva inviato due pezzi del suo nuovo album. Li ho ascoltati e mi è nata l’ispirazione per scrivere qualcosa. Ho iniziato a metter giù un dialogo, di una pagina, su due ragazzi che camminano nella foresta, parlando del miracolo. Pensavo di farne un cortometraggio. Dopo un mese avevo tutta la storia in mente, era diventato un lungometraggio, ma senza una vera sceneggiatura. Ho iniziato la preproduzione ancora senza sceneggiatura, parlando con gli attori, il direttore della fotografia, cercando soldi, anche pochi. Alla fine siamo riusciti a realizzare Il grande sbadiglio della storia. L’intero processo è durato circa sei mesi, dall’idea alle riprese. Un breve periodo davvero.
Sono curioso di sapere da dove viene il titolo Il grande sbadiglio della storia.
È il nome dell’ultima grotta che si vede nel film, la grotta di Giacobbe. La gente del posto la chiama Il grande sbadiglio della storia. È una cosa vera. È una grotta enorme. Ci sono volute quattro ore di cammino per arrivarci. L’ingresso è a 90 metri di altezza. È il secondo ingresso di grotta più grande al mondo.

Il grande sbadiglio della storia
Quanto è stato difficile mescolare l’aspetto fiabesco del sogno con il realismo dell’Iran che, pure, descrivi?
Se parliamo di realismo in Iran oggi, non sono sicuro di cosa si tratti. Avevo deciso di essere un po’ disconnesso dagli aspetti politici dell’Iran, anche se pieno di sensi di colpa per il fatto di sentire fortemente i problemi sociali del mio Paese, ma senza riuscire a parlarne cinematograficamente, perché sopraffatto da queste cose. Sono davvero importanti per me. Seguo sempre quel che accade. Penso di voler trovare strade diverse. È per questo che usiamo molto la metafora in Iran. Non vogliamo confrontarci con la realtà. Oppure, a causa della censura, non possiamo affrontarla. Quindi tentiamo di essere metaforici per raccontare quel che vogliamo dire su alcuni aspetti politici del nostro Paese. È una tradizione in Iran. La puoi trovare in Abbas Kiarostami, Ebrahim Golestan, Sohrab Shahid Saless, tra i grandi registi iraniani da cui abbiamo imparato il cinema.
Quali sono i principali riferimenti culturali, cinematografici e letterari dietro Il grande sbadiglio della storia?
Non ce n’è uno specifico, ma molti nella mia mente. Dall’Italia posso dire di essere influenzato da Alice Rohrwacher, che considero una grande regista. Adoro il suo lavoro. Lazzaro felice è il mio film preferito dello scorso decennio. Insegno sceneggiatura in dei laboratori privati (non ho nessuna Istituzione dietro) e questo è uno dei film più importanti che analizzo con i miei studenti, per la sua struttura. Quanto ai riferimenti letterari, in primis Fëdor Dostoevskij. E John Coetzee, è stato davvero importante per me, in particolare Il maestro di Pietroburgo. Ma anche la musica. La musica è qualcosa che c’è sempre, è l’arte più influente. La musica classica, soprattutto Johann Sebastian Bach e le sue Variazioni Goldberg. Tornando al cinema, tra i molti registi, citerei Werner Herzog. Non tanto i suoi film, quanto il suo modo di fare le cose. La sua follia è davvero fonte d’ispirazione per me. E poi Carlos Reygadas e Kleber Mendonça Filho.
Questo è il tuo pantheon.
Sì, li adoro tutti. Ad esempio, se devo parlare di rappresentazione dei sogni, penso che Kleber Mendonça Filho ne sia il maestro.
Il grande sbadiglio della storia è una caccia al tesoro, un road movie, ma anche un’allegoria. Che visione della religione volevi dare nel film?
Il film non parla di religione, ma di pensiero superstizioso, che può essere religioso, può sembrarlo. È una questione di fede e questa non ha nulla a che fare con la religione. La fede può essere su qualunque cosa. Ha il suo lato buono, ma può essere un’arma davvero potente e pericolosa, perché puoi credere in qualcosa che non è vero e decidere per altre persone. Molte cose negative sono accadute nel corso della storia a causa di queste credenze, legate alla religione.

Il grande sbadiglio della storia
Quali sono state le maggiori difficoltà nel girare Il grande sbadiglio della storia?
Finanziarie. Per me è stato un affare di famiglia. L’attore principale, quello giovane, è il fidanzato di mia sorella. Lei stessa è la compositrice delle musiche del film. L’attore più anziano è un altro mio amico. Il motociclista è un famoso attore iraniano, ma anche un mio caro amico. Oggi, in Iran, fare cinema indipendente è qualcosa di veramente difficile. D’altra parte, non vogliamo utilizzare finanziamenti governativi perché ti creano tanti problemi. Allora, dobbiamo trovare personalmente investitori. D’altro canto, non riusciamo ad avere finanziamenti al di fuori dell’Iran perché ci vuole troppo tempo. E dobbiamo fare i film velocemente, perché la situazione nel Paese cambia repentinamente. È molto difficile. Ora sto progettando di realizzare il mio secondo lungometraggio. Ho un distributore francese. Ma ho un problema perché devo aspettare quattro anni. Non riesco a trovare investitori in Iran e realizzare il film in sei mesi.
Com’è stato girare con questi attori/amici?
Meraviglioso. Soprattutto il giovane attore per me è stato fantastico, nonostante per lui fosse la prima esperienza. È stato incredibile. Ha davvero talento. Penso che abbia un grande futuro nel cinema. Quello che vediamo è soltanto il 10% delle sue capacità. È carismatico. È pazzo. È liquido. Puoi formarlo in ogni modo che desideri. Gli ci sono voluti quattro mesi per liberarsi dal personaggio dopo il film. Si era totalmente immedesimato in quella persona che interpretava.
La natura ha un ruolo importante in Il grande sbadiglio della storia. Cosa cercavi nella sua rappresentazione?
Le grotte che si vedono sono davvero importanti per la loro storia nella religione. Per quanto riguarda la rappresentazione della natura nel film, è stato qualcosa che è successo inconsciamente. Non volevo dire cose specifiche con la natura. Era lì. Era lo sfondo del circolo vizioso che il personaggio principale crea, la ripetizione di qualcosa che è falso. Replica errori della sua vita, alla ricerca di un sogno, di una fantasia, non della realtà, che potrebbe essere rappresentata dalla natura. Nel film ci sono la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno. In soli 19 giorni di riprese. Perché il nord e il sud dell’Iran sono totalmente diversi. Quindi abbiamo avuto quattro stagioni in 19 giorni. Non ci ho pensato molto, in realtà, alla natura. Era lì.

Abbas Kiarostami
Sei stato un allievo di Abbas Kiarostami. Che cosa hai imparato di più da lui? Le sue influenze si avvertono nel film, ma in modo molto originale.
Abbas Kiarostami è un maestro. Ho realizzato il mio primo film durante le sue masterclass. Nessuno lo ha visto, perché mi disse che non andava bene. Era un documentario. Quando gli ho chiesto il motivo, mi disse che non gli piaceva il personaggio principale. Lui sosteneva che il personaggio principale non può non piacere a chi guarda. Ci è voluto del tempo prima che mi rendessi conto che stava parlando di empatia, non di simpatia. Questa è la cosa più preziosa che ho imparato da Abbas Kiarostami. Separare simpatia ed empatia. È stato davvero importante per me.
Il grande sbadiglio della storia è anche una metafora del tuo percorso cinematografico, di quanto sia un impegno fisico, ma anche un’illusione come sognare monete d’oro in una grotta?
Non ci avevo pensato. Forse è davvero un cliché, ma il cinema per me è rappresentazione. Una rappresentazione dei sentimenti. In questo film, volevo rappresentare l’atmosfera che si prova riguardo la magia. Cos’è la magia? Ci credi o no? Ad esempio, quel mazzo di fiori che i protagonisti trovano nel deserto. Quella scena è venuta da un mio ricordo. Dodici anni fa, ho subito un trauma enorme, legato alla politica. Quindi ho dovuto lasciare Teheran e sono andato ad Anarak, la città che si vede nel film, nel deserto centrale dell’Iran. Lì ho iniziato a lavorare come accompagnatore in un caravanserraglio per turisti, per mostrare loro il deserto. Alla fine, conoscevo il deserto meglio di casa mia. A quel tempo, era davvero di moda fare servizi fotografici matrimoniali lì. Gli sposi si mettevano in posa con i loro fiori. Poi li lasciavano là e tornavano a Teheran. Mi era capitato tante volte di avere dei turisti che, all’improvviso, vedevano un mazzo di fiori per terra. Sempre mi chiedevano come ci fossero arrivati. Dodici anni dopo, questa domanda se la pongono anche i protagonisti di Il grande sbadiglio della storia. Forse per loro è stato un miracolo. Forse per loro era un messaggio. Io conoscevo la fonte. E potevo guardare materialisticamente quello che a loro sembrava un miracolo.

Il grande sbadiglio della storia
Dove pensi stia andando la società iraniana oggi?
Si sta muovendo. Penso stia avvenendo un cambiamento di paradigma, sotto molti aspetti. Non sono sicuro di essere ottimista riguardo al futuro dell’Iran, ma so che tutto cambierà presto. È come un vulcano. Una trasformazione ci sarà, non sono sicuro se in positivo o negativo. Perché nessuno può più tollerare questa situazione. Economicamente, socialmente. E quante discriminazioni per le donne! Adesso il cinema in Iran è un po’ chiuso. Perché tanti registi, attori, attrici, sono banditi. Non può funzionare così. Il Presidente è cambiato perché il precedente è morto. È una personalità più progressista. Sarà meglio. Ma non è quello che vogliamo. Dicono che stanno migliorando tutto, ma è lontano da quello che vogliamo noi.
Le donne in Iran.
È un argomento molto importante. Penso che anche su questo cambierà tutto. Mia moglie è un’attrice in Iran. Ha avuto tanti problemi. Le è stato vietato di lasciare il Paese. Non poteva lavorare. Ora credo andrà meglio, ma ho potuto vedere la pressione su tutte le donne in Iran. Eppure puntano in piedi. Protestano. Hanno detto che vogliono i loro diritti. Stiamo imparando da loro. Veramente. Sono davvero potenti e coraggiose di fronte a questo sistema.
Qual è il tuo prossimo progetto?
Si chiama The Mountain (La Montagna). Ho già scritto la sceneggiatura. È un film basato su mio padre. Parla di lui, di me, di mia sorella, di mia madre, della nostra famiglia. Ma ho trasformato il senso della nostra storia in un’altra storia. Cerco sempre di decostruire i miei ricordi e trovare qualcosa di nuovo al loro interno. Ma posso dire che mio padre è il centro della struttura narrativa che ho in mente. È qualcosa che mi ha dato. Cerco di conoscerlo sempre di più, ma mi sorprende continuamente perché cambia. È psicotico, schizofrenico, non posso etichettarlo. Non so quale sia lui. Ma so che sta viaggiando tra questi problemi mentali. Penso sarà un film totalmente diverso da Il grande sbadiglio della storia. Mi fa paura pensarci. Ecco perché voglio farlo.

Il grande sbadiglio della storia