Anno: 2012
Nazionalità: Poland
Durata: 105’
Genere: drammatico
Regia: Kasia Roslaniec
Produzione: MD4 Sp. z o.o.
La ballata del disperato free style esistenziale
Kasia Roslaniec, classe 1980, confeziona una pellicola-contenitore che strizza l’occhio ad un free style esistenziale di cui traccia vizi e virtù, bellezza e disperazione. Baby Blues – Miglior Film nella sezione Generation alla Berlinale 2013 – è una buona prova di regia per la 33enne polacca, che ci racconta una solitudine da ‘lancio nella vita’, da ‘taglio da cordone ombelicale’, anche se estremizzata in un abbandono. Natalia (una talentuosa Magdalena Berus) è una giovanissima ragazza madre: il broncio e la durezza del suo impatto con la realtà, la macchina da presa ce lo offre immediatamente nello scontro con il piccolo (come lei) papà del suo Antek, l’innocente e semplice giovane maschio Kuba (Nikodem Rozbicki) attaccato al suo skate, al gioco e all’adolescenza. Natalia è ancora più infantile di Kuba. Si porta dentro il rifiuto di una madre (la propria) e questo rifiuto la ragazza lo butta fuori in un rapporto confuso, altalenante, forte ma debolissimo verso ciascun prossimo con cui si rapporta, specie le persone a cui tiene. Antek, bimbopacco-bimbodeisogni- bimboamatissimo- bimbodelriscatto- bimboricatto, è l’unico essere che Natalia sente veramente proprio. A cui lega se stessa nell’affetto che le è sempre mancato e che non sarà colmabile in alcun modo, da nessuno: il rigetto della nascita è un vuoto primordiale. Noi lo dimentichiamo. Chi viene rifiutato dal proprio ‘progenitore’ lo ha sempre dentro, addosso. Tra il manierismo di look umani e abitativi di colori, forme e caos quali simboli- clichè di disordine e creatività, i liberati nel sesso, nella droga, nella inibizione, appaiono felici e disperati, elevati e caduti, e inadatti a misurarsi con la responsabilità, le scelte da compiere, aggrappandosi ad un rimando eterno. Natalia subirà tutta la sua innocenza e immaturità, pagando un caro prezzo. Ma la lezione non basterà a colmare quel vuoto, ossessivamente da riempiere, a tutti i costi. Forse per questo facciamo bambini…
La Roslaniec mostra una buona padronanza del mezzo visivo, che sfrutta in angolazioni e tagli bassi, uso della camera a mano, istantanee rivelatrici, e un oltre campo accennato al punto giusto, nelle interruzioni nette dei piani narrativi (e visivi). Anche l’uso della musica è ottimamente dosato. Il silenzio mantiene intatto il suo spessore di sottofondo denso, che rafforza immagini e parole, alternandosi a inserti musicali efficaci nell’evidenziare stati d’animo o dimensioni di tempo-spazio. Qualche forzatura si avverte nelle caratterizzazioni di ambienti e personaggi di contorno. Vedremo se l’oltre fashion visivo e l’oltre free style di Kasia Roslaniec si confermerà in una ulteriore maturazione. I semi sembrano ben piantati.
Maria Cera