In concomitanza col secondo anniversario della morte di Mahsa Amini (16 settembre 2022), ragazza-simbolo della battaglia indefessa (e purtroppo spesso fatale) delle donne iraniane, arriva nelle sale un film che ci fa risvegliare dal torpore, ricordandoci di tenere alta l’asticella dei diritti civili. Il film presentato nella sezione Panorama al Festival di Berlino 2022, esce tra anni dopo l’ultimo ciak col patrocinio di Amnesty International Italia e parla della complessa e claustrofobica posizione di molte donne iraniane, la cui indole è così ben descritta in questo accorato appello di Tiziana Buccico.
Ali Asgari, giovane regista iraniano classe 82 (siamo fieri che si sia formato in Italia studiando a Roma Tre), con La bambina segreta continua il proprio percorso di esplorazione delle dinamiche sociali e personali attraverso uno sguardo che potremmo definire quasi “documentaristico”. Tornano i temi della natalità, delle scelte controcorrente, dell’aborto, degli ospedali come luoghi ostili, delle relazioni sentimentali inquinate dal contesto sociale.
La bambina segreta. Plot circolare
La trama de La bambina segreta segue Fereshteh (interpretata da un’ intensa Sadaf Asgari), una ragazza madre che vive e lavora in una tipografia a Teheran e che cerca di nascondere l’esistenza di sua figlia. La piccola infatti non era voluta dal padre, che ha cercato di evitare la paternità spingendo Fereshtteh ad abortire: anche lui, a sua volta, oppresso da un padre-padrone. Fereshteh decide però di proseguire da sola. La neonata ha appena due mesi e la mamma deve nasconderla per qualche ora per evitare che i suoi genitori vengano a conoscenza della sua scelta.
Il film si svolge nel corso di un’ intera giornata fino a tarda notte: Fereshteh e la sua amica Atefeh (interpretata da una sbarazzina e severa Ghazal Shojaei) cercano una soluzione prima dell’arrivo dei genitori di Fereshteh, giunti in città per una visita imprevista. (= Until Tomorrow è l’efficace titolo originale nella sua traduzione inglese).
Il telefonino, onnipresente nelle scene chiave del film, non è veicolo di informazioni ma àncora di salvezza
Asgari mette in scena una narrazione asciutta, sospesa, che riesce a catturare con precisione chirurgica la condizione di emarginazione e fragilità umana che attraversa l’Iran contemporaneo, concentrandosi sulle donne costrette a destreggiarsi tra segreti e buguie per garantirsi la sicurezza sociale. La narrazione è una reiterazione della negazione d’aiuto, una messa alla prova della pazienza della protagonista e una snervante attesa per lo spettatore.
La verità nell’immagine.
Il cinema di Asgari non cede mai a facili artifici narrativi. Al contrario, la sua estetica visiva si poggia su un’aderenza alla realtà, con una macchina da presa che segue i personaggi in modo discreto ma determinato, come se fosse una testimone silenziosa. A questo stile di regia sembra essersi ispirato il regista malese Badrul Hisham Ismail con il suo recente Maryam, uscito due anni dopo. Sarebbe interessante analizzare le due opere in parallelo. Ne ritroviamo infatti i ritmi, il lavoro sui primi piani, e soprattutto la presenza di un dialogo centrale rivelatore -dal forte impatto drammaturgico- tra una donna protagonista e un uomo espressione concreta del patriarcato in una posizione di potere. Nel nostro viene narrato il tentativo di vivere nella libertà di NON sposarsi, nel secondo (più recente), il tentativo di sposarsi nonostante il diniego familiare. In entrambi i casi la libertà di scelta delle donne è ostaggio di un sistema patriarcale.
Linguaggio audiovisivo
La colonna sonora è impercettibile e prevale un’estetica cruda, che lascia parlare le situazioni e i luoghi immersi nel paesaggio sonoro dei rumori di fondo.
Due sono i piani sequenza più rappresentativi di questo autore: il dialogo in ospedale tra la protagonista e il Direttore, costruito con raffinata abilità drammaturgica e il lungo piano sequenza del rientro a casa in taxi.
Fereshteh durante il rientro a casa cambia idea. La riflessione in itinere sull’autoderminazione delle donne iraniane.
Entrambe le scene portano in modi diversi ad una svolta irreversibile del film; il primo attraverso un potente dialogo che alza progressivamente la posta in gioco dimostrando l’abilità dialettica di chi vuole “sottomettere” la propria preda sessuale. Il secondo mostra, in più di quattro minuti, la presa di coscienza della protagonista. Un ininterrotto primo piano dentro il taxi sembra evocare il nostro sguardo su tutte le donne iraniane e la loro straordinaria forza, resilienza, determinazione. Osserviamo Fereshteh e da quel silenzio sembra trasparire la sua anima, il senso di responsabilità di madre che passa dalla paura attraverso la negazione fino alla necessità della verità e dell’autodeterminazione. E mentre la parola responsabilità, nel corso del film, ha fatto per tutti da alibi alla paura, come ci racconta nel suo bel pezzo Teresa Marchesi, ora finalmente cambia segno nello sguardo consapevole della protagonista.
Temi di invisibilità e marginalità.
Asgari, dà voce ad una figura femminile marginalizzata dalla società iraniana poiché protagonista di una scelta totalmente anticonformista: avere un figlio fuori dal matrimonio e portare avanti la maternità in totale autonomia. La bambina segreta, simbolo di una scelta tenuta nascosta, incarna una condizione che non è solo fisica, ma anche esistenziale, per la figlia come per la madre: l’invisibilità. Questa condizione sociale si riflette in una costruzione narrativa fatta di silenzi e momenti di tensione emotiva trattenuta, espressa con garbo e verità dalla protagonista. La storia emerge lentamente, senza la necessità di espedienti drammatici, ma attraverso il semplice scorrere del tempo sospeso in quello che potremmo definire un road movie a piedi. Due amiche alla ricerca di una via d’uscita. Simbolica la discesa nelle cavità dell’ospedale dove la macchina da presa segue le due donne durante il loro tragitto di fuga, interrotte costantemente da una porta sbarrata che le costringe a cambiare rotta.
La crescita del personaggio: piano narrativo e piani emotivi.
Il vero cuore di La bambina segreta risiede nella capacità di raccontare i legami umani, nella tensione tra i doveri familiari, i divieti sociali e il desiderio di libertà. Il cinema ha il potere di rivelare le sfumature emotive più sottili attraverso un’estetica che privilegia i piccoli gesti, i silenzi e le espressioni. In questo film, la scelta di concentrarsi sulla relazione muta tra madre e figlia amplifica il senso di claustrofobia sociale, ma allo stesso tempo evidenzia la forza di una resistenza silenziosa, rafforzata dalla relazione amicale con Atefeh. Le emozioni non sono mai esplicitate, ma suggerite, in un crescendo di tensione che coinvolge lo spettatore e lo obbliga a riempire i vuoti della narrazione con la propria sensibilità.
Possiamo osservare come l’intreccio narrativo precipiti verso l’abisso di difficoltà sempre maggiori, mentre la crescente disperazione della protagonista attivi invece un movimento progressivo verso la presa di coscienza di sé e la propria capacità di autodeterminarsi. Proviamo a schematizzare questa struttura:
Il realismo sociale come denuncia.
Pur trattandosi di un film di finzione (sceneggiatura di Ali Asgari e Farnoosh Samadi) , La bambina segreta insiste su temi sociali complessi: la condizione delle donne, la pressione delle norme culturali e il controllo sociale sulle vite private. La condizione delle donne in Iran, sia che si trovino dalla parte delle vittime del sistema, sia che si trovino in una posizione di potere, si trovano in posizioni che impediscono loro di stringersi solidali. Vuoi per un ruolo apicale nel lavoro, come la Caporeparto, vuoi per una posizione matrimoniale consolidata e protettiva, vedi la moglie dell’amico insoddisfatto, le donne del film di Asgari sono capaci anche di ferire, negare l’aiuto, voltarsi dall’altra parte.
Asgari bilancia il racconto intimo e la critica sociale, facendo del suo film una narrazione a spirale che tende a far scivolare gli eventi e il coinvolgimento emotivo dello spettatore verso un livello di tensione sempre più alto.
Dello stesso autore
Oltre a La bambina segreta (Panah), che ha ricevuto attenzione internazionale, Asgari ha diretto:
More Than Two Hours (2013): Un cortometraggio premiato a Cannes, che segue un ragazzo e una ragazza in cerca disperata di un ospedale che li aiuti, poiché la ragazza è in pericolo di vita. Anche qui Asgari affronta i temi della morale e della condanna sociale, con un forte senso di urgenza.
The Baby (2014): Un altro cortometraggio che mette in scena una giovane coppia alle prese con la difficile decisione su cosa fare del loro neonato non voluto. Il tema della famiglia e della responsabilità sociale è al centro di questo film, con un’attenzione al realismo.
The Silence (2016): Co-diretto con Farnoosh Samadi (sceneggiatore de La bambina segreta), questo cortometraggio racconta di una bambina curda e di sua madre che vivono in Italia. La bambina è chiamata a tradurre per sua madre le indicazioni di un medico durante una visita, ma decide di non farlo per proteggere un segreto.
Disappearance (2017): Questo film esplora il dramma di una giovane coppia che si trova a dover affrontare le rigide norme sociali iraniane in una notte carica di tensione. È una riflessione sulla libertà individuale e il controllo sociale.
La bambina segreta, intervista ad Ali Asgari: Le donne sono in lotta in Iran