Sentiero Film Factory giunge alla sua quarta edizione, svoltasi dal 9 al 15 settembre a Firenze. 7 giorni di proiezioni internazionali e incontri con ospiti da tutto il mondo.
Workshop, masterclass, residenze artistiche, videoinstallazioni, proiezione di archivi, spazio giovani e bambini, incontri letterari, registi e professionisti del settore, talk e tanto altro…
Ne discutiamo con Matteo Laguni, Project Manager del festival e che, insieme a Pierfrancesco Bigazzi e Andrea Rapallini, ne condivide la direzione artistica.
Da sinistra: Andrea Rapallini, Matteo Laguni, Pierfrancesco Bigazzi
Come nasce Sentiero Film Factory?
Ci piace dire che siamo l’unica realtà cinematografica dell’oltranno fiorentino e lo siamo con un vero e proprio comparto industry all’interno dello svolgimento.
L’oltranno è il quartiere più antico di Firenze, dove gli abitanti veri hanno resistito maggiormente. La cosa che fa un po’ sgomento è che da questa parte della città, che rappresenta non dico la metà, ma un quarto di Firenze, non ce n’è neanche un cinema.
Qual è il rapporto del festival con la città, con le persone e che impatto ha avuto da quando è nato?
Diciamo che il festival vive su due livelli: il primo è il piano umano che riguarda gli spettatori.
Questo quartiere è molto particolare. La piazza dove hanno luogo le nostre proiezioni è una piazza molto popolare dove si gioca a calcio per strada, e dove vivono anche delle persone spesso emarginate dalla società in tutti i sensi. Sono proprio le persone il motivo per cui crediamo sia importantissimo continuare a fare qui il festival. L’impatto c’è stato e come, nel senso che ormai è come se ci aspettassero ogni settembre.
Per noi è diventato un appuntamento fisso, è bello che al quarto anno finalmente riconosco i volti delle persone che ancora abitano queste zone, soprattutto quelle anziane. Perché ormai, purtroppo, sono proprio loro gli ultimi abitanti. Sono quelli che tengono duro all’interno delle loro case, però quando se ne andranno probabilmente rimarrà ben poco.
Nonostante tutto questo è un luogo dove c’è tanto associazionismo. Ci sono realtà legate molto allo sviluppo dei giovani e noi collaboriamo con tutte, tra cui quella del giardino EX-Nidiaci, che per noi è molto importante.
È un giardino famoso, non tanto perché è un giardino mediceo, ma perché è un luogo strappato alla mercificazioni degli spazi, come un po’ invece accade al centro di Firenze. È in mano agli abitanti. Qui abbiamo proiettato il film di Niccolò Falsetti in apertura quest’anno. Ha avuto una forte risposta del pubblico ed è stato bello. Ci ha colpito tanto perché il film di Niccolò parte proprio da quel giardino e poi arriva fino in Libano. Quindi è stato un viaggio particolare, è come se il quartiere volesse vedere quella testimonianza.
E’ un po’ così il nostro festival tutti gli anni: in qualche modo un atto di restituzione al quartiere.
Questo per chi è spettatore.
Poi chiaramente c’è quella parte che interessa anche noi in prima persona essendo addetti ai lavori, che è quella di chi fa cinema. Dei giovani soprattutto che vogliono iniziare a farlo e che hanno bisogno di una base, di una guida. Quando abbiamo creato il festival abbiamo riflettuto molto sul nome e abbiamo scelto “Sentiero” invece che “Firenze” perché è un po’ quello che rappresentiamo. A parte il fatto che sono l’unico fiorentino all’interno della direzione artistica, era più giusto in realtà porsi come una guida. Non che per forza poi sia quella giusta eh, però è una possibilità ed è importante per questo. Ci piace essere un ponte per chi si approccia a questo mondo tra le scuole di cinema e quello che poi è fare cinema e su questa cosa stiamo insistendo tanto.
Sia il nome che la locandina di quest’anno a me hanno colpito molto perché ritengo siano decisamente autentici. A differenza di altri percorsi quello cinematografico non è spianato, anzi. Va costruito passo dopo passo e forse questo è anche il bello. Per questa ragione però figure guida come la vostra sono importantissime. Sentiero è molto più di una rassegna e si dirama in tante altre attività, ce le racconti?
Sono sperimentazioni. Ci piace anche questo quando parliamo con i ragazzi delle varie attività che facciamo. La cosa principale è che non siamo perfetti, proprio come nessuno lo è. Sperimentiamo anche nel proporre programmi di formazioni nuove o programmi di supporto alle produzioni. Non è detto che sia l’attività giusta ma è proprio questo il motivo per cui sperimentiamo tanto. Sicuramente è ormai diventato abbastanza di punta il Sentiero Film Lab perché riusciamo da quattro anni a legare, oltre allo sviluppo di tanti progetti (12 progetti l’anno) anche la fase di produzione che è molto importante. Ogni anno quindi riusciamo a produrre, oltre che essere un festival. Il nome Factory è anche questo!
Per noi è un risultato eccezionale e siamo molto felici di riuscire a creare ogni volta queste famiglie: quando si fa un lab, un pitch, ma anche ogni volta che si fa il festival. Negli anni poi continuiamo a sentirci, alcuni ritornano, altri si aggiungono. È bello anche questo, si rinnova.
Foto dal film Gritty Eyes
Credo che qualunque ambito artistico di fondo sia basato appunto sulle relazioni umane, altrimenti faremmo un altro mestiere. Tutto si basa sulle emozioni, su quello che si vive nel concreto e nel presente. Perché un tipo di realtà del genere non può vivere altrove se non in un luogo fisico e preciso, facendo incontrare concretamente le persone.
Esatto. Per noi il rapporto umano è al primo posto: condivisione, altrimenti non lo faremmo, cioè smettiamo. Nel momento in cui questo viene a mancare, iniziamo a fare programmi online, facciamo raccolte di film, proiettiamo dei film e andiamo via dalla sala, allora possiamo anche, come si dice a Firenze, fare festa cioè smettere.
Per noi la priorità è la fase di networking. Non per forza quella istituzionale, ma anche quella più rilassata, come può essere un aperitivo. Cerchiamo di unire e confrontare realtà anche molto differenti tra loro, come ad esempio la community di sceneggiatori “Writing Monkeys”. Oltre a quelle più specifiche creano anche attività di gioco divertenti, dove persone anche lontane dal mondo della scrittura e della sceneggiatura ne entrano in contatto e scoprono per la prima volta magari di avere qualcosa da raccontare. Da qui nasce la necessità di creare dei veri e propri laboratori di scrittura proprio come è stato fatto a settembre.
Una delle novità che avete introdotto quest’anno sono le proiezioni per i bambini, quindi una voglia di parlare direttamente al pubblico del futuro. Quanto è importante questo per voi?
Proprio quest’anno noi abbiamo prodotto un film che è stato preso a Giffoni nella sezione della Parental Experience. È stato bellissimo vedere quei genitori che erano bambini quando il Giffoni nacque essere ancora presenti come giuria insieme ai propri figli e nipoti. Proprio a Giffoni c’è venuto l’istinto e la voglia di farlo anche a Firenze dato che qui non c’è una realtà del genere. È importante da tanti punti di vista: sia quello formativo che quello di sviluppo sociale anche perché poi appunto la rassegna si svolge in questo giardino che ha quelle particolarità che tu dicevo. Sicuramente una delle attività che svilupperemo maggiormente già dal 2025
Come abbiamo detto il festival dura sette giorni: quali sono le attività durante il resto dell’anno?
Durante l’anno noi sviluppiamo una parte strettamente legata anche al festival. Grazie alla collaborazione con Cinema La Compagnia e quindi Fondazione Sistema Toscana portiamo il cortometraggio in sala, a volte anche le opere prime di difficile divulgazione. C’era questa necessità da parte de La Compagnia perché riuscivano a fare solamente rassegne monotematiche mostrando soltanto una serie di corti fine a se stessa.
Con il cinema poi invece abbiamo creato questo progetto tramite cui ogni mese proiettiamo un cortometraggio insieme all’autore per mostrare e spiegare al pubblico, che non è abituato a vedere questo tipo di film, che anche dietro questi progetti c’è una struttura, ci sono artisti, ci sono professionisti e c’è tanto lavoro. Poi cerchiamo di mantenerli per più giorni in sala in modo che il pubblico capisca che anche il cortometraggio ha una vita artistica sua e che non debba essere sempre considerato soltanto come una scuola, un modo per imparare a fare il cinema dei Grandi.
Bisogna dargli una dignità come un’opera d’arte assestante. Questo è il terzo anno che la portiamo avanti e sta dando i suoi frutti. Fortunatamente il cinema “La Compagnia” non ha bisogno di pubblicità quindi tutto quello che viene pubblicizzato sono attività collaterali tra cui anche la nostra. Questa è quella più legata strettamente al festival perché ci dà una continuità di ricerca, di selezione. L’opportunità di conoscere nuovi talenti, portarli dal vivo davanti alle persone.
Poi ci sono le attività che permettono di stimolare in maniera concreta il tessuto artistico in Italia, che è quello che ci piace fare di più ultimamente, che sono: lo Script Lab e il Film Lab.
Lo Script Lab è rivolto a che si approccia per la prima volta al cinema con un’idea. Noi con un team di esperti cerchiamo di trasformare le idee di queste persone in un soggetto prima e poi una sceneggiatura producibile, con vari passaggi di sviluppo.
Il Film Lab invece è quello che porta a creare direttamente un prodotto che può girare il mondo in altri eventuali pitch oppure essere per l’appunto prodotto. Nell’ultimo anno oltre a quello che ha vinto il premio, che è attualmente in produzione, ci teniamo a dire che tra i 12 sviluppati 3 hanno trovato produzione e sono stati girati.
Foto dal film In una goccia
Parliamo del concorso. Ricordiamo che si tratta di un concorso internazionale, a cui hanno partecipato numerosi corti da tutto il mondo e che spazia tra vari generi: dal dramma alla commedia, passando per l’animazione e molto altro.
La giuria è composta dai registi Tommaso Sant’Ambrogio e Duccio Chiarini, il documentarista e direttore del “Cactus Film Festival” Alessandro Stevanon e la sceneggiatrice Francesca Nozzolino. A vincere quest’anno è stata “La voix des autres” corto di esordo di Fatima Kaci. Parlaci dei corti in concorso e in particolare di quello che ha vinto.
Ci teniamo a dire che anche quest’anno in realtà ci consideriamo, in quanto festival, un monitor di come va l’andamento produttivo mondiale. Ogni anno testiamo con mano il livello dei corti e se nel mondo ci siano più o meno prodotti di qualità. La cosa di cui siamo contenti per questa edizione è che, nonostante non siano stati la maggioranza, tanti titoli in selezione erano italiani mentre nel 2023 c’era stato un calo drastico e questo spesso influisce su tutto quello che è il comparto finanziamenti ministeriali e regionali.
Fortunatamente la qualità italiana si è alzata molto. In generale ci sentiamo di dire che quest’anno c’è stata una selezione di livello altissimo anche dal punto di vista dell’intrattenimento. Il pubblico infatti è stato incredibilmente ampio rispetto alle scorse edizioni. Devo dire che con la qualità stiamo riuscendo ad alzare un po’ l’asticella anche del pubblico e sì, siamo enormemente felici della vittoria di Fatima essendo la sua anche un’opera prima.
In chiusura: progetti per il 2025 e un consiglio che daresti a chi vuole approcciarsi al meraviglioso ma intricato mondo del cinema
Come ti accennavo prima i progetti per il futuro sono l’ampliamento della parte educativa e d’intrattenimento dei più piccoli. Creeremo quindi delle proiezioni specifiche in collaborazione con altri festival perché ci teniamo a collaborare con le altre realtà. Quest’anno lo abbiamo fatto col “Cactus Film Festival” e l’anno prossimo potrebbe continuare così come potrebbe ampliarsi.
Il consiglio è sempre quello di non mollare. Spesso quest’ambiente si mette su un piano di lotta, di scontro e dunque di resistenza. Quello che diciamo sempre a tutti è di resistere perché spesso succede, ed è successo anche a noi, che le cose non vadano come ci si aspettava. Non tutti i giorni il festival è andato come speravamo, però poi insistendo i risultati arrivano. Sempre soprattutto se ci tieni e ci credi come facciamo noi che ancora oggi abbiamo lo stesso entusiasmo del primo giorno in cui abbiamo iniziato a fare questo mestiere.
L’unione fa la forza e voi, con Pierfrancesco Bigazzi e Andrea Rapallini, credo siate molto uniti. Affrontare tutto questo da soli ha un peso decisamente diverso dal farlo in gruppo
Certo! Senza Andrea e Pierfrancesco non faremmo niente. Funzioniamo perché siamo molto diversi tra di noi abbiamo idee anche molto diverse ci incontriamo continuamente e spero si veda nel senso positivo. Ci mettiamo sempre in discussione per migliorare e questo sono convinto sia fondamentale.