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Approfondimento

Cos’è il Neo Noir? Storia, caratteristiche ed esempi del fenomeno

Il Neo Noir è un fenomeno complesso ma affascinante, che mescola i generi, scompone i canoni e sovverte le aspettative. Esploriamone la storia, le caratteristiche fondamentali e gli esempi più importanti.

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In un’epoca cinematografica come quella attuale, quella del postmodernismo per intenderci, in cui i generi si sfaldano, si ricostruiscono e si ibridano tra di loro, il Neo Noir rappresenta un caso interessante. Se è vero che nell’immaginario collettivo si è riusciti a delineare un’idea comune di cosa sia il Noir, la stessa cosa non si può dire del Neo Noir. Critici, storici e teorici del cinema hanno infatti dato vita a una pluralità di supposizioni sulle caratteristiche principali del Neo Noir. Senza mai arrivare a una definizione univoca. Situazione particolarmente ardua, inoltre, se si considera che alcuni nomi importanti faticano a definire il Neo Noir come vero e proprio genere. Ma questo articolo è qui proprio per cercare di tracciare un percorso storico. Di spiegare gli elementi fondamentali e di mostrare alcuni importanti esempi del Neo Noir.

Il Noir è davvero un genere?

Per iniziare a parlare di Neo Noir, però, bisogna prima partire dal Noir. Anzi, più nello specifico, bisogna partire dal Noir classico.

Con Noir classico si intende quel filone, durato circa un ventennio, che inizia nel 1941 con Il mistero del falco di John Huston e che termina nel 1958 con L’infernale Quinlan di Orson Welles. Già qui possiamo notare una particolarità, ovvero che quando si parla di Noir classico non parliamo di un genere o di un sottogenere del Noir. Quanto più di una precisa periodizzazione storica. Che il Noir non fosse da considerare un vero e proprio genere lo diceva anche un giovane Paul Schrader nel 1972. Prima di diventare uno degli autori più rilevanti della New Hollywood, Schrader scrisse un articolo nel quale affermava:

Film noir is not a genre […]. It is not definied, as are the western and gangster genres, by conventions of setting and conflict, but rather by the more subtle qualities of tone and mood. It is a film ‘noir’ as opposed to the possible variants of film gray or film off-white. Film noir is also a specific period of film history, like German Expressionism or the French New Wave.

Non è un caso poi che, a livello cinematografico, il termine Noir venga utilizzato per la prima volta nel 1946 da alcuni critici francesi. Non tanto, appunto, per descrivere un genere, ma più che altro per descrivere le atmosfere cupe, cinice e pessimiste dei film statunitensi dell’epoca. Il motivo di queste atmosfere viene spiegato da Paul Schrader in uno dei 4 punti espressi nell’articolo, nel quale delinea le condizioni fondamentali che hanno portato alla nascita del Noir.

Le caratteristiche del Noir

Il primo punto riguarda proprio il senso di disillusione provocato dalla Seconda Guerra Mondiale e dal dopoguerra. Gli orrori della guerra, di Pearl Harbor e della Shoah segnarono profondamente la psiche e la cultura americana, ricadendo di conseguenza anche sul cinema. I temi e le atmosfere cominciarono a diventare più oscure e i protagonisti passarono dall’essere eroici al divenire antieroici, riprendendo la letteratura anni ’20 e ’30. Il secondo punto tratta infatti della tradizione letteraria hard boiled come principale fonte d’influenza narrativa. I cineasti Noir recuperarono spesso racconti e romanzi di autori quali Dashiell Hammett e Raymond Chandler, dando corpo agli iconici detective privati Sam Spade e Philip Marlowe. Ma in generale, il cinema Noir riprende alcuni archetipi narrativi dell’hard boiled, come l’investigatore rude e sarcastico, la femme fatale. La corruzione, l’ambientazione urbana, il MacGuffin e via dicendo.

Dal punto di vista estetico, invece, il cinema Noir subisce molto l’influenza tedesca, e in particolare si ispira alla corrente dell’Espressionismo Tedesco. Il Noir eredita quindi un intenso utilizzo del chiaroscuro. Pregno anche di una forte componente simbolica, e una predilezione per linee verticali e oblique nel taglio delle luci, nelle ambientazioni e nelle inquadrature.

Il quarto e ultimo punto riguarda invece il realismo nel dopoguerra, e in particolare quell’impellente bisogno di raccontare il reale dopo le barbarie belliche. Ma la realtà, dopo tutti questi orrori, appare come una realtà spezzata. Motivo per cui il Noir predilige una visione completamente soggettiva, dallo stampo cinico e pessimista.

Neo Noir: lavori di recupero, rottura e innovazione

Tutto ciò che abbiamo visto riguardo il Noir ci è utile per capire come si sia sviluppato il Neo Noir. Partendo proprio dalla questione del genere. Diamo per assodato l’idea che il Noir non sia un vero e proprio genere. Quanto più un fenomeno complesso, formatosi attraverso la mescolanza di svariate sfere di influenza, sia mediatiche che socio-culturali. E che delinea uno specifico periodo storico della settima arte. Allora, nemmeno il Neo Noir sarebbe da considerarsi un vero e proprio genere. Né tantomeno rappresenterebbe un sottogenere del Noir. Il Neo Noir, invece, andrebbe più che altro visto come un’evoluzione del fenomeno Noir. Ma cosa intendiamo per evoluzione?

I livelli del genere

Un primo livello riscontrabile sarebbe quello dell’evoluzione puramente tecnica del medium cinematografico. Dagli anni ’60, infatti, cominciò a prevalere sempre di più l’utilizzo della pellicola a colori, abbandonando progressivamente il bianco e nero. L’unico problema è che l’iconografia Noir era fortemente basata sull’estetica del bianco e nero. E sulla possibilità di creare chiaroscuri intensi, angoscianti e dalla carica allegorica impattante. Registi e direttori della fotografia furono quindi costretti a cercare nuove soluzioni stilistiche e furono in molti a optare per un’esaltazione dell’illuminazione. In particolare attraverso le luci al neon. Il neon è in grado di generare atmosfere atipiche, stranianti, alienanti. Che nulla hanno da invidiare persino ai migliori e più inquietanti esempi di bianco e nero nel Noir classico.

Basti pensare a Taxi Driver (1976), in cui le accecanti luci al neon della città di New York creano un senso di caos e confusione.  Rappresentativo del disturbo da stress post traumatico che Travis ha sviluppato dopo la sua partecipazione alla guerra in Vietnam.

Il senso di disillusione americano

Questo ci da lo spunto per parlare di un altro motivo per il quale si è passati dal Noir in senso classico al Neo Noir. Ovvero l’arrivo di un rinnovato senso di disillusione che ha colpito la società americana.

La dirompenza dei movimenti studenteschi e delle proteste per i diritti civili del Sessantotto e gli ideali di pace e di libertà della controcultura hippie furono quello scoppio che diede il via al motore della New Hollywood. Ma dietro a tutto ciò c’era anche un lato oscuro che proprio il Neo Noir seppe abbracciare più di qualsiasi altro fenomeno cinematografico.

Erano gli anni della guerra in Vietnam, dello scandalo Watergate, degli omicidi del presidente John Fitzgerald Kennedy e dell’attivista Martin Luther King. Era dunque un periodo di forti tensioni sociali, dove a fare da padroni erano lo sconforto e la delusione nei confronti della politica. In maniera non così tanto dissimile da quel sentimento di disincanto provato durante la Seconda Guerra Mondiale e nel dopoguerra, che diede il via proprio al periodo del Noir classico. Fra gli anni ’60 e gli anni ’70 si cominciano ad esplorare gli effetti che questi avvenimenti, sofferte cicatrici della storia degli Stati Uniti, hanno avuto sulla psiche degli americani.

Il filone politico

Si comincia inoltre a sviluppare un filone basato sulla paranoia politica e sulla cospirazione. Un precursore di questo filone lo si riscontra in Va’ e uccidi di John Frankenheimer, film che mette in scena un complotto dove un reduce della Guerra di Corea viene manipolato dai sovietici per assassinare il presidente degli Stati Uniti. La cosa particolare del film è che essendo del 1962 precede solamente di un anno la misteriosa morte di JFK.

Ma tematiche del genere le ritroviamo anche quando il fenomeno del Neo Noir si è ormai consolidato. Nel 1974 esce infatti Perché un assassino di Alan J. Pakula, una cinica pellicola che racconta di una cospirazione politica che porta alla morte di un candidato alla presidenza degli USA. Sempre dello stesso anno è anche La conversazione di Francis Ford Coppola, nevrotico thriller sulla paranoia delle intercettazioni, figlia dello scandalo Watergate.

Gli autori della New Hollywood

Altra motivazione, sempre a livello culturale, sullo sviluppo del fenomeno riguarda invece la formazione e la passione degli autori della New Hollywood.

Questi cineasti, prima di intraprendere la loro carriera, erano spesso studenti di cinema, critici cinematografici o molto semplicemente accaniti cinefili. Con smisurate conoscenze sia sulle vecchie pellicole hollywoodiane sia sul panorama cinematografico mondiale, con un focus in particolare sulla scena europea e su quella asiatica. Da una parte abbiamo quindi uno sguardo di ampio respiro cosmopolita, che cerca di recuperare tanto le innovazioni stilistiche e la poetica del montaggio dalla Nouvelle Vague. Quanto la cifra estetica e la profonda riflessività di certo cinema italiano. Tra i film che influenzarono la New Hollywood e il Neo Noir, inoltre, ci furono proprio opere europee che riscrissero a modo loro gli stilemi e i canoni del Noir. Come Tirate sul pianista di Francois Truffaut, Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard e L’avventura di Michelangelo Antonioni, tutti e tre del 1960.

jean-luc godard addio

Dall’altra parte troviamo invece la comprensione e l’assimilazione delle regole narrative e stilistiche di quello che è stato poi definito Noir classico. In modo da riutilizzarle in un nuovo contesto cinematografico. Non è una questiona da poco, e anzi rappresenta una cruciale differenza fra Noir classico e Neo Noir. Gli autori del Noir classico non avevano, almeno fino al 1946 se non anche oltre, la consapevolezza del tipo di prodotto che stavano realizzando. In poche parole non sapevano di star facendo cinema Noir. Al contrario, la nuova schiera di autori, che si sono consolidati dagli anni ’60 in poi, erano ben consci del tipo di prodotto che stavano realizzando. Erano quindi coscienti di star creando, se non proprio dei film Neo Noir, quantomeno dei prodotti Noir. E avere la piena consapevolezza del materiale su cui si sta lavorando, permette, in ottica postmoderna, di sperimentare a piacimento con suddetto materiale.

Neo Noir, un lavoro di decostruzione

Autori Neo Noir recuperano, smontano, rielaborano, mescolano alcuni degli elementi più caratteristici dell’iconografia Noir, così da poter giocare con le aspettative del pubblico. In questo filone si passa, quindi, dal puro citazionismo a lavori di vera e propria decostruzione, modificando coordinate spaziali e temporali, figure archetipali e soluzioni narrative. È un punto molto importante. La New Hollywood cercava ogni occasione possibile per distaccarsi dall’idea di cinema della Golden Age hollywoodiana. Il Noir, già di per sé un fenomeno peculiare e, in un certo senso, moderno nel contesto classico, era uno dei terreni giusti sul quale potersi mettere in gioco.

Il Codice Hays e la formazione del Neo Noir

L’ultimo punto, che spiega come mai si sia passati dal Noir classico al Neo Noir, è legato a fattori produttivi.

Nel 1968, dopo vari anni di progressivo deterioramento, il Codice Hays venne finalmente abolito. Il Codice, che entrò in vigore nel 1930, era un insieme di regole di stampo moralistico che registi, sceneggiatori e produttori dovevano seguire per la realizzazione dei film. Era a tutti gli effetti un sistema di censura, che dava di fatto a Hollywood un ruolo paternalistico nei confronti degli spettatori. Ma nel 1968 il Codice venne sostituito da un sistema di rating basato sulle fasce d’età. Ciò ha permesso una maggiore libertà espressiva nell’uso del linguaggio e nella rappresentazione della violenza e del sesso. I film Neo Noir sono in grado di risultare più crudi, espliciti, carnali. Nel mostrare tanto il corpo lacerato e insanguinato quanto il corpo erotico e sensuale, che trova pieno compimento nella nuova versione dell’archetipo della femme fatale, finalmente del tutto emancipata.

Esempio cardine in questo senso è la Catherine Tramell di Basic Instinct (1992), interpretata da Sharon Stone, che mostra in maniera libera il proprio sesso e che lo utilizza sapientemente come un’arma.

Il Neo Noir nel corso degli anni

Abbiamo dunque visto come il Neo Noir, così come il Noir classico, sia un fenomeno complesso, ma ancor più stratificato rispetto a ciò che lo ha preceduto. Se nel Noir classico, infatti, risulta facile riscontrare elementi iconici e caratteristici e di accomunare più film in un unico filone, nel Neo Noir questa distinzione si fa spesso più labile. A proposito di ciò, in questa circostanza, sarebbe utile parlare di come il Neo Noir si sia sviluppato dagli anni ’60 fino a oggi, raccontando qualche esempio rappresentativo per ogni decade.

Gli anni ’60 rappresentano un periodo di transizione dal modello paradigmatico del Noir classico all’innovativa visione del Neo Noir. In questi anni, come abbiamo già visto, vediamo fiorire alcuni emblematici antesignani di questo filone, in particolare nella rigogliosa scena internazionale dell’epoca, con pellicole a frima di Godard, Truffaut e Antonioni. Ma nel 1967, negli Stati Uniti, patria del fenomeno Noir, assistiamo all’uscita nelle sale di quello che secondo molti è l’iniziatore del Neo Noir, ovvero Senza un attimo di tregua, diretto da John Boorman. Recuperando elementi del cinema Noir e stilemi della Nouvelle Vague, Boorman realizza una revenge story particolarmente violenta, nichilista e ambigua, fondata sulla non linearità, tanto della narrazione quanto del montaggio, e sull’onirismo, grazie a un’estetica straniante e sospesa tra realismo e astrazione.

La nuova formula degli anni ’70

Negli anni ’70 la nuova formula, nelle sue varie declinazioni, si consolida e si assiste a uno dei momenti di massimo splendore.

Uno dei film più iconici dell’epoca è sicuramente il già citato Taxi Driver, diretto da Martin Scorsese e scritto da Paul Schrader (che come abbiamo visto ne sapeva un bel po’ di Noir). Ma altri caposaldi di quel periodo arrivarono anche da cineasti come Robert Altman e Roman Polanski, i quali realizzarono rispettivamente Il lungo addio (1973) e Chinatown (1974).

L’opera di Polanski è una sofisticata rievocazione d’epoca che recupera personaggi, tempi e spazi tipicamente hard boiled, modernizzando però la componente psicologica e le tematiche. Chinatown è un morboso e cinico racconto sugli aspetti più tetri del potere, in cui le apparenze spesso ingannano: gli indizi conducono a piste sbagliate, la femme fatale non è davvero tale e l’eroe si ritrova inerme dinnanzi a ciò che accade intorno a lui.

Quest’ultimo è un punto in comune con Il lungo addio. Per questo film, Altman ha la geniale intuizione di prendere un vecchio romanzo di Raymond Chandler e di riadattarlo nel contesto contemporaneo. Ne esce fuori un Philip Marlowe, cristallizzato agli anni ’50 come personalità, che vaga nella Los Angeles anni ’70 dei figli dei fiori, provocando un generale senso di straniamento. Marlowe non riesce veramente ad agire, troppo confuso dai cambiamenti socioculturali che gli USA stavano vivendo, in una parodia del Noir classico che riflette anche sui mutamenti dell’industria dello spettacolo.

Il lungo addio

Gli anni ’80

Durante gli anni ’80, il filone continua a proliferare con nuovi importantissimi film, come il seminale heist movie Strade violente (1981) di Michael Mann e con Velluto blu (1986) di David Lynch, prima intrusione del regista nel Noir e primo colpo d’attacco ai danni del mito americano. Ma il caso più particolare di questi anni è senza ombra di dubbio Blade Runner (1982), film ibrido tra Noir e fantascienza a opera di Ridley Scott.

Ispirandosi a un romanzo del maestro dello sci-fi Philip K. Dick, il regista britannico prende elementi caratteristici del cinema Noir (il mistero, il detective, la femme fatale…) e li utilizza in un inedito setting fantascientifico distopico, che ha fornito un contributo essenziale all’impronta estetica cyberpunk. In Blade Runner, inoltre, le questioni morali tipiche del Noir si espandono fino a diventare veri e propri dilemmi esistenziali. Le figure dei replicanti vengono usate come pretesto per tirare in ballo questioni identitarie e anticipare le riflessioni sulle distinzioni (non così scontate) tra ciò che è umano e tra ciò che è sintetico e artificiale.

Anni ’90

Anni di revival del più classico hard boiled, come dimostra L.A. Confidential (1997), basato sull’omonimo romanzo di James Ellroy e adattato sul grande schermo da Curtis Hanson. Anni in cui si intensifica l’ibridazione del Noir con l’horror, come accade in Strade perdute (1997), ansiogeno thriller psicanalitico di David Lynch. Ma gli anni ’90 sono soprattutto gli anni in cui certe peculiarità tipiche del cinema postmoderno cominciano a diventare smaccatamente pop. Il merito? Ovviamente di Quentin Tarantino, a partire dal suo fulminante esordio Le iene (1992), fino alla consacrazione come cineasta fondamentale e fondativo per tendenze ancora oggi attuali avvenuta con Pulp Fiction (1994).

Gusto postmoderno che ritroviamo anche in uno dei Neo Noir più significativi dell’epoca, ovvero Il grande Lebowski (1998), dei fratelli Joel e Ethan Coen.

Un pastiche, in puro stile Coen, che recupera il modello narrativo chandleriano, particolarmente arzigogolato, ispirandosi in particolare alla trama de Il grande sonno, e che ci innesta dentro un umorismo squisitamente assurdo e demenziale. Assistiamo anche a un cambio di paradigma interessante: Il grande Lebowski è un film investigativo senza investigatore. Il protagonista, infatti, il memorabile Drugo, è un uomo comune, totalmente vittima degli eventi, confuso e spaesato, un po’ come il Marlowe di Altman. Ma qui, in realtà, assistiamo a un lavoro inverso rispetto a quello attuato in Il lungo addio, per quanto riguarda il personaggio principale e il contesto in cui viene inserito. Potremmo infatti definire Drugo come un sopravvissuto, ultimo baluardo di una controcultura hippie ormai morta, in una società dove la mentalità capitalista ha preso il sopravvento.

Il Neo Noir negli anni 2000

Nei primi anni 2000, il mondo assiste alla nascita di nuovi turbamenti politici e socioculturali. L’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e la paranoia per l’esponenziale espansione del mondo digitale sono solo alcuni degli argomenti trattati dal fenomeno Neo Noir in quell’epoca. Fenomeno con un’impronta sempre più internazionale, fra cui spicca la Corea del Sud come nuovo impattante competitor.

Sono del 2003 sia Memorie di un assassino, film investigativo costruito da Bong Joon-ho attraverso canoni di una poetica prettamente orientale, e Oldboy, action con forti spunti filosofici realizzato da Park Chan-wook. Ma in questi anni assistiamo anche a un proliferare delle cosiddette narrazioni complesse, come nel caso della non linearità temporale di Memento (2000) di Christopher Nolan.

Ma in questo senso, il vero protagonista della stagione è nientemeno che David Lynch, con Inland Empire (2006), ma soprattutto con Mulholland Drive (2001). Quello che secondo molti è il capolavoro del regista è un’opera ambigua e stratificata, che gioca costantemente con la percezione dello spettatore, costruendo un labile confine tra ciò che è realtà e ciò che è sogno. Sogno che va inteso non solo come dimensione onirica ma anche come sogno americano, in particolare nella sua dimensione illusoria hollywoodiana, qui totalmente smontata, mostrando certi meccanismi oscuri e perversi di un’industria dello spettacolo popolata da personaggi bizzarri, inquietanti e grotteschi.

Gli anni ’10 del nuovo millennio

Sono un nuovo periodo d’oro per il Neo Noir. Si potrebbe parlare di Drive (2011), film in cui Nicolas Winding Refn esalta l’illuminazione al neon. Dilata i ritmi tipi dell’action e rilocalizza personaggi e atmosfere quasi western in un contesto urbano. Oppure si potrebbe parlare di Vizio di forma (2014), adattamento del romanzo del maestro del postmodernismo Thomas Pynchon a cura di Paul Thomas Anderson, che racconta la morte della controcultura e dei suoi ideali a discapito dell’ascesa del sistema capitalistico. O di Nightcrawler (2014), nel quale Dan Gilroy spinge al limite l’ambiguità morale dell’antieroe e discute dei rischi della manipolazione della realtà attuata dai media informativi.

Ma il film degli anni ’10 che è riuscito a incanalare al meglio le tendenze Neo Noir e a seminare alcune possibili prospettive future per questo filone è senz’ombra di dubbio Under the Silver Lake (2018) di David Robert Mitchell. Alcuni lo hanno definito un esempio di film Neo-Neo Noir. Altri ne hanno parlato come di un caso di Neo Noir post-postmoderno. Ciò che è certo è che è un prodotto unico, citazionista al massimo delle sue possibilità. Innovativo nella messa in scena dei misteri e nel modo in cui interagisce con il suo pubblico.

Under the Silver Lake recupera il cinema Noir e Neo Noir a lui precedente, mescolandolo inoltre con stilemi appartenenti all’horror e alla commedia. È un gioco citazionistico metacinematografico che non è però fine a sé stesso. Il film racconta infatti una generazione rimasta accecata e illusa dalle finzioni di Hollywood. Una vera e propria industria che crea prodotti che generano e alimentano i sogni delle persone per puro e semplice guadagno. Ma l’aspetto davvero peculiare del film è il sistema di simboli, codici e messaggi cifrati dietro ai quali si nascondono i grandi misteri di questa narrazione complessa e straniante. Misteri che non trovano totale risoluzione, tanto da alimentare una nicchia di appassionati, che si uniscono in appositi spazi del web per decifrare quei messaggi cifrati rimasti irrisolti in questo enigmatico film.

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