Presentato al Festival di Berlino e a Eugenea Film Festival di quest’anno, The Great Yawn of History sbarca al Cinema della Compagnia di Firenze grazie a Middle East Now.
Il film del regista e sceneggiatore Aliyar Rasti, porta sullo schermo una storia avvincente con venature drammatiche. La religione si intreccia e convive con l’ateismo, regalando allo spettatore un duetto assai innovativo.
Il cuore del film
Beitollah è un signore di mezza età, molto religioso. Una notte, sogna di trovare, in una cava, un baule pieno di gettoni d’oro. Essendo molto fedele alla sua religione, crede nei miracoli e inizia a cercare un compagno di avventure. Sarà Shoja il prescelto che intraprenderà il viaggio con Beitollah. Shoja è un ragazzo giovane che non ha nulla da perdere e si rende disponibile a partire per l’avventura. Lungo il loro cammino, tante saranno le sfide che dovranno affrontare, portandoli al gran finale, per nulla scontato.
Religione e ateismo a braccetto
La pellicola è interamente girata nell’entroterra iraniano con un cast originario di quelle zone. La prima cosa che ci frulla in testa quando si parla di Medio Oriente è proprio la religione, così sacra e vitale per i connazionali. Ecco che Rasti gioca una carta innovativa e vincente: fede e ateismo possono convivere e stringere amicizia.
Un uomo di mezza età credente e un ragazzo orfano ateo creano così un rapporto in stile padre – figlio, sfatando miti e leggende. I due inizieranno a conoscersi sempre di più con l’avanzamento della pellicola; lo spettatore è partecipe della loro amicizia e del rispetto reciproco.
Il linguaggio cinematografico di Aliyar Rasti
Un film diverso con una trama quasi fantasy, ma intrecciata ad una realtà esistente. Aliyar Rasti riesce nel suo obiettivo.
Grazie alle lunghe carrellate sul paesaggio desertico iraniano, alternate a dettagli sugli oggetti o sguardi dei personaggi, la pellicola risulta prettamente descrittiva e di stampo classico; anacronistico anche l’uso continuo del campo – controcampo nei dialoghi, una tecnica cinematografica in via d’estinzione. Un altro aspetto assai rilevante è la luce. Inquadrature lucenti alternate a inquadrature d’ombra danno un senso di interiorità ai personaggi. Infatti, l’utilizzo dell’ombra si rivede soprattutto in momenti particolari del film o nelle confessioni dei protagonisti. Luce ed ombra, due interiorità che ognuno di noi possiede.
The Great Yawn of History può risultare lungo e poco esaustivo in certi tratti, soprattutto durante la ricerca dalla cava, ma in realtà sono tutti passaggi indispensabili per interpretare il finale, passaggi resi interessanti dall’ottima qualità della fotografia.
Inoltre, il suono in presa diretta e la registrazione delle scene in luoghi reali, porta lo spettatore a credere in quello che sta vedendo, accentuando quella vena realistica dell’Iran e delle sue credenze. Le melodie, quasi assenti, rendono il film una sorta di documentario in cui la macchina da presa si sofferma e osserva la storia dei suoi protagonisti, senza intervenire.
Una scena del film.
Un film d’esordio
Nonostante alcune scelte cinematografiche possano essere altamente discutibili, The Great Yawn of History può essere considerato un film d’esordio per i temi affrontati. Per la prima volta si mette in discussione la veridicità della religione e l’importanza di pensare con la propria testa.
La libertà di pensiero e di parola è qui trascritta tra le rime del linguaggio cinematografico di Rasti che osserva attentamente la realtà del suo Paese, trasformando il film in una pellicola drammatica e intima.
L’amicizia tra Shoja e Beitollah diventa così un inno alla fratellanza e al rispetto di coloro che la pensano diversamente da noi, senza innescare le “artiglierie pesanti”. Un inno che dovrebbe essere urlato a squarcia gola, oggi più che mai.