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‘Interiors’: la vita sospesa

L’ottavo film di Woody Allen racconta di una famiglia già in bilico prima ancora della sua tragedia. L’impianto di Ingmar Bergman serve ad Allen per ciò che non vediamo ma a cui il film allude: la crisi della famiglia tradizionale americana

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Interiors

Interiors è un film scritto e diretto da Woody Allen. Prodotto da Chales H. Joffe e United Artists, ritroviamo alla fotografia Gordon Willis che aveva già collaborato con Allen in Annie Hall. Tra i protagonisti Geraldine Page, Sam Waterston, Mary Beth Hurt, e la musa del regista Diane Keaton giunta qui alla sua quinta collaborazione.

IL TRAILER – Interiors

Interni/Esterni – Interiors

Allen è sempre stato un autore che nella sua vita ha concepito non solo il rischio, ma lo ha attuato come normalità. Prima di concepire Interiors il cineasta newyorkese aveva gloriosamente archiviato il periodo della slapstick comedy, certificando alla soglia dei quaranta la propria consacrazione con il capolavoro Annie Hall in coppia con la musa Diane Keaton. La convenienza obbligava Allen nel seguire la scia della commedia intelligente a cui ci aveva abituato. Invece il regista con il suo ottavo film decide non solo di compiere la sua prima opera drammatica, ma anche e soprattutto di far combaciare ciò col suo terzo periodo. Quello dell’alienazione del cinema europeo.

Il punto di riferimento abbastanza esplicito di Interiors è Ingmar Bergman, pieno zeppo di divagazioni e citazioni che ci riconducono al cuore della filmografia del maestro svedese. L’uso delle grandi aperture dell’obiettivo, l’alienazione della casa a mare come punto spaziale e di costruzione psicologica, dimostrano l’intento di Allen di avvinarsi molto all’ermetismo di Bergman. Qui profondamente radicato nelle similitudini con Sussurri e grida film del cineasta svedese datato 1972. Ad occhio cinefilo attento difatti sembra di vedere lo stesso film seppur con tragedie diverse.

Il paragone con Bergman

In Interiors Allen recupera il profilo di una donna a fine corsa, sviluppando su di lei rapporti famigliari che progressivamente si incrinano col progredire dell’insofferenza della protagonista. Se in Sussurri e Grida un male incurabile crea il dissidio tra sorelle, nel film di Allen l’instabilità mentale di una madre rompe la finta armonia tra le sue figlie. La protagonista è interpretata dal premio Oscar Geraldine Page. Una decoratrice di interni, Eve, il cui mondo famigliare e interiore le si sgretola addosso una volta che il marito le annuncia di volerla lasciare. In Bergman la vicenda della matriarca della famiglia era destinata a modificare e far venire fuori l’anticonformismo, i desideri emotivi e sessuali degli altri personaggi. In Allen ciò che risulta subito interessante è il ruolo del personaggio della Page.

Un’eroina catalizzatrice della decostruzione famigliare. Lo scontro tra marito e moglie e le rovinose cadute di Eve, mettono in luce un sottobosco non secondario ma primario a cui da qui in poi Allen ci abituerà nel corso della sua filmografia. In Interiors la precisione di Eve, la sua cura degli arredamenti, le tende che non devono essere mai fuori posto fanno da contrasto con la disunione della famiglia. La casa sulla spiaggia diviene in brevissimo tempo la componente spaziale in cui l’interno si spoglia. Divenendo un esterno emotivo fragile e discontinuo. Interrogandosi continuamente nel corso del film sull’infelicità del ceto medio-alto americano.

Sorelle allo specchio – Interiors

Tutto si mette a nudo in Interiors. Nessuna musica. In apertura varie inquadrature silenziose degli interni della casa estiva in pieno inverno. Keaton con la mano sulla finestra, quasi intrappolata in questo spazio soffocante che è il luogo più famigliare e più estraneo che una figlia possa trovare. Interiors nasconde un film nel film. Nella sostanza ad Allen non interessa poi molto dei destini di Eve: se si rimetterà col marito, se andrà avanti con la sua vita o se porrà fine alla sua esistenza. Quello che interessa al regista di Annie Hall al suo primo dramma è sottolineare il contrasto tra sorelle. E Allen in ciò costruisce, sapientemente e intelligentemente, personaggi caratterizzandoli in modo diverso. Tra Renata, Joey, Flyn c’è una strana serenità. Un armistizio affettivo che viene meno con la vicenda della madre. Un calderone di risentimento pronto ad esplodere. Tre sorelle che rappresentano in primis tre vite più o meno insoddisfatte. Mentre l’avvenente Flyn ha trovato la propria strada seppur in b-movie, la figura più interessante è la sorella Joey. Frustrata in un lavoro che rinchiude la propria esistenza a discapito delle proprie velleità creative.

Una famiglia in disfacimento

Allen mette in luce il contrasto tra aspettative e realtà, ripetendo ed evidenziando lo scontro tra Joey e Renata. Quest’ultima una poetessa di successo, in un matrimonio in crisi, che non riesce a non distruggere l’ansia e il desiderio di Joey di una nuova carriera, impossibile per il personaggio della Keaton. Mentre le sorelle assistono quasi inermi allo disfacimento fisico-emotivo della madre, e alla vita che continua per il padre con un nuovo matrimonio, Allen scandaglia la crisi di una famiglia che passa dalle due sorelle per allargarsi ai loro consorti. Il successo di Renata si oppone all’insuccesso del marito Frederick, un romanziere fallito confinato nell’alcolismo per curare la propria nevrosi esistenziale. Come nella celebre opera teatrale di Cechov, le sorelle vivono di rimpianti di ambizioni represse e insoddisfazioni personali. Quasi nessuno sembra tener conto dei tentativi di suicidio della madre dal punto di vista individuale. Ciò avviene invece sul piano collettivo.

C’è in Interiors un chiaro tentativo di far risvegliare le interiorità nascoste per troppo tempo. La malattia della madre porta Renata e Joey a confrontarsi sul diverso affetto ricevuto da Eve nei confronti delle due sorelle. Joey passa rapidamente ad autoconvincersi della sua vita bloccata per colpa della madre. Mentre il marito di Renata, in preda a forme depressive di scarso autocontrollo, reagisce scagliandosi sessualmente con l’oggetto del desiderio rappresentato da Flyn. Il dramma di Eve, perennemente in bilico per tutto il film tra risolvimento e la sua caduta, impone ai personaggi di liberarsi della propria impostazione. Renata, Joey e consorti trasgrediscono come forma di libertà alla loro convivenza forzata. Ed è questa la riuscita migliore di Interiors: raffigurare tramite una donna in crisi le emozioni di una famiglia in disfacimento.

Abbracciare e liberarsi di Bergman

In Woody Allen la sua ossessione per Bergman è nota. Fin dal suo Boris in Amore e Guerra nel riflettere su temi morali dell’individuo come la paura nella morte e il contrasto con la fede. In Annie Hall  Bergman viene così esasperato da sembrare una visione contemporanea di Scene di un matrimonio, come del resto evidenzia Allen col poster di Persona all’interno del film. In Interiors l’applicazione spaziale e tecnica, compresi alcuni temi (famiglia contro esistenza), con il mondo di Bergman, assottigliano così tanto la distanza con Allen da evidenziarne i limiti autoriali del regista americano. Ma il paragone con Bergman riguarda la forma non l’applicazione di esso. Allen difatti rende viva la vita che Bergman fa rimanere immobile, trasformando il dramma da camera in un assoluto tormento dinamico. Interiors vive costantemente di intreccio tra situazioni rese vive dai personaggi.

Un film misto, freddo ed emotivo

L’assenza di umorismo all’epoca scandalizzò molto il pubblico di riferimento di Allen. Un autore che praticamente faceva vivere la storia attraverso le risate. Ma nel suo ottavo film il regista del futuro Manhattan paralizza le vite dei protagonisti per rappresentare il decadimento della società americana. Attraverso Interiors Allen usa continuamente Eve per tenere fisso nel film il rapporto che c’è tra realizzazione personale e obblighi che i componenti della famiglia hanno ma che non vogliono perseguire. Forse è un romanzo famigliare incompleto e troppo frammentato in superficiali ansie a metà film, ma è un film di Allen e senza nevrosi non sarebbe un suo film.

E Woody Allen non rinuncia ai suoi marchi di fabbrica. La falsa intervista, il lettino dello psicologo, le battute taglienti soprattutto con Joey, e voluminosi monologhi sulla metafisica e il senso di colpa. Eppure è questa straordinaria unione tra il teatro statico di Bergman e il dinamismo relazione di Allen a far apparire Interiors un’opera mista. Quasi sperimentale nell’emancipazione del cineasta newyorkese da se stesso nel suo periodo migliore dopo i grandi fasti di Annie Hall.

Interiors non commette l’errore futuro che Allen farà con Fellini e Stardust Memories. Il film, seppur esteticamente bergamiano, racconta qualcosa di doloroso. Il purgatorio di anime sofferenti incapaci di liberarsi dalle proprie ambizioni. Woody Allen arriva a chiedersi implicitamente quando e quanto l’essere umano possa riuscire a separarsi dal proprio dolore per soffrire di quello altrui. E la risposta sembra essere contenuta nello sguardo delle tre sorelle verso il mare. “L’acqua è calma. È molto tranquilla”.

  • Anno: 1978
  • Durata: 93'
  • Distribuzione: United Artists
  • Genere: dramma
  • Nazionalita: Usa
  • Regia: Woody Allen
  • Data di uscita: 02-August-1978

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