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FESTIVAL DI CINEMA

DocumentaRiff

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DocumentaRiff: Autobiografia Dell’Università Italiana (Italia 2012, 52’ di Piero Balzoni prodotto e distribuito da Jean Vigo Italia) e The Red Carpet (La Alfombra Roja, Spagna 2012, 11’45”, di Manuel Fernàndez e Iosu Lòpez prodotto da Malvalanda e distribuito da Lineup Shorts)

Il diritto di tutti a vivere una cittadinanza attiva e partecipata nei luoghi, l’uso delle nuove tecnologie, dei social media, l’arte per la promozione del dialogo tra popoli, il viaggio migratorio da un luogo all’altro del mondo, la nascita dei movimenti degli “indignati” nei confronti dei sistemi politici “democratici” della crisi globale: ecco i temi principali che accomunano la selezione di documentari indipendenti, italiani e stranieri, in concorso all’edizione 2013 del Rome Independent Film Festival, in questi giorni al Nuovo Cinema Aquila di Roma.

Piero Balzoni presenta il suo documentario Autobiografia Dell’Università Italiana, girato in due anni, a partire dalle proteste a seguito dal Decreto Legge del Ministro Gelmini, che ripercorre i giorni e i mesi precedenti l’approvazione della Legge, denominata Riforma Gelmini, “ultimo atto fondativo tuttora in vigore”; prima della proiezione, Balzoni invita a concepire l’Università come un “pensiero” e non come una semplice “infrastruttura”.

Il documentario, che si apre con una frase di Socrate “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”, raccoglie in maniera volutamente disordinata una sere di contributi da parte del filosofo Umberto Galimberti, dell’economista (e professore ordinario dell’Università di Bologna) Andrea Ichino, della scienziata Margherita Hack e dei ricercatori del CNR Francesco Sylos Labini (che interviene anche nel dibattito post film), Alessandro Orsini, Francesco Zamponi, emigrato al CNRS in Francia; a questi contributi si alternano le immagini della guerriglia urbana di fine 2010, strade affollate, atenei occupati, rotaie dei treni invase da studenti, ricercatori e precari della scuola e dell’Università, personaggi pubblici della politica e dello spettacolo come Nichi Vendola e Antonello Venditti sui tetti delle Facoltà a dare il loro appoggio agli studenti e ai precari.

I bei discorsi di Galimberti e della Hack, riecheggiano purtroppo di utopia: Galimberti parla di passione, che il mestiere di ricercatore lo si fa per passione e che le passioni sono la molla della vita (“è come dire a un pittore non dipingere perché non rende e quello continua a dipingere”), insiste sull’importanza della valorizzazione dei giovani, perché è dai venti ai trenta anni che uno ha la maggiore forza ideatrice e la possibilità di dare un contributo importante alla ricerca e condanna la logica ormai imperante del breve termine, e dei contratti a tempo determinato: un ricercatore deve essere a tempo indeterminato, soltanto così può impegnarsi nel suo lavoro; la Hack si scaglia contro una classe politica ignorante e arrogante, che non si rende conto della fuga di cervelli che studiano in Italia, diventano menti eccellenti e poi sono costretti ad andare all’estero per fare ricerca e vivere dignitosamente.

Tutti i ricercatori intervistati fanno, o hanno fatto in passato, altri lavori per mantenersi e continuare comunque a fare ricerca in Italia: si resta tra la rabbia e lo stupore ascoltando Alessandro Orsini, professore associato di sociologia politica all’Università di Roma Tor Vergata, precario in Italia, apprezzato all’estero: il suo libro “Anatomia delle Brigate Rosse” è stato definito dalla rivista di Harward The Journal of Cold War Studies “un libro di alto prestigio intellettuale”.

Il contributo di Andrea Ichino al documentario suscita l’indignazione di Sylos Labini, durante il dibattito: il professore (fratello di Pietro, prima giuslavorista parlamentare del PD e poi candidato a Scelta Civica di Mario Monti) sostiene che la riforma Gelmini ha dei principi ispiratori positivi, che sono la meritocrazia e il non pagare tutti (professori e ricercatori) allo stesso modo; propone inoltre quattro linee guida. Una Legge deve definire gli obiettivi, deve dare autonomia alle singole Università e ai singoli Dipartimenti, deve fare in modo che lo Stato attui dei controlli su ciò che è stato fatto per conseguire gli obiettivi e deve erogare soldi a chi ha fatto bene. Può decidere di erogare ugualmente soldi a chi non ha raggiunto gli obiettivi prefissati, rimuovendo la persona responsabile del mancato raggiungimento. E’ contro questo tipo di controllo dello Stato che si scaglia Sylos Labini, un controllo che piano piano farà strada ad un pensiero economico di tipo liberista anche nelle Università.

Francesco Sylos Labini fa una critca al documentario che ha peccato di “mistificare” troppo la lotta tra baroni e precari ed esorta il pubblico ad informarsi e continuare l’approfondimento della questione della Ricerca in Italia sul sito www.roars.it (Return On Academic Research).

The Red Carpet degli spagnoli Manuel Fernàndez e Iosu Lòpez, in concorso tra i documentari stranieri, è la storia di Rubina Alì, che si racconta davanti alla telecamera, sorridente ed entusiasta della sua vita libera nella baraccopoli di Garib Nabar, nel distretto di Bandra a Bombay; Rubina sogna di vivere in un posto più pulito, magari in un palazzo (come quelli che si scorgono sullo sfondo) e soprattutto sogna di diventare un’attrice famosa per aiutare tutti i bambini della sua baraccopoli a vivere una vita migliore. La storia di Rubina si intreccia con quella che è stata la sua vita reale: piccola star del film “The Millionaire”, vincitore del premio Oscar nel 2008, nel marzo del 2011 la baraccopoli fu distrutta da un incendio e Rubina lasciò lo slum di Garib Nabar per andare a vivere in un quartiere occidentale di Bombay, in un appartamento acquistato per lei da una società appartenente a Danny Boyle, regista di The Millionaire. Sembra che realtà e finzione si confondano in questo brevissimo documentario, che mette a fuoco una delle tante disparità e ingiustizie del mondo.

Anna Quaranta

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