Biennale del Cinema di Venezia
Venice Immersive. Mondi virtuali alla Mostra del cinema di Venezia
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3 mesi agoon
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Anja BoatoVenice Immersive giunge quest’anno alla sua ottava edizione, accogliendo sull’Isola del Lazzaretto Vecchio l’intera comunità immersiva in un imprescindibile appuntamento annuale. Con 26 progetti in competizione presentati in anteprima mondiale, 20 mondi in VRChat liberamente esplorabili, 9 delle migliori installazioni esposte nella sezione Best of, e 7 progetti legati al programma Biennale Collage Immersive, non esiste al mondo un’esposizione altrettanto ricca di opere XR (Extended Reality). Mentre al Lido si festeggia la centenaria festa del cinema, la sua sezione immersiva collaterale pulsa di vita propria, attirando i più importanti player del settore in un ecosistema che viaggia in parallelo. Produttori e artisti, distributori ed esercenti, grande pubblico e critica specializzata: tutti gli ospiti del festival navigano da un’opera all’altra per poi ritrovarsi a condividere idee, impressioni e progetti nel giardino comune, nei panel, nelle tavole rotonde, negli spazi di incontro.
Proprio in virtù di quel ruolo centrale che Venice Immersive ricopre nel piccolo (ma vivacissimo) mondo delle XR, non vi è da stupirsi se oggi costituisce una vera e propria vetrina delle principali tendenze del settore. Lo dimostra il cambiamento del nome: nel 2016 la sezione nasce come Venice Virtual Reality, ma l’egemonia della realtà virtuale viene presto superata, con una maggiore attenzione per l’intero spettro delle realtà estese, che coprono anche la realtà aumentata, la realtà mista, i dome. Nel 2020 viene ribattezzata Venice VR Expanded e nel 2022 Venice Immersive. L’ottava edizione è lo specchio di alcune tendenze che vanno lentamente a consolidarsi, incrociando esigenze di mercato e pulsioni creative.
Virtuali, sociali, immersive. Le principali tendenze del settore
Da un punto di vista tecnico, due sono le tendenze principali: la ricerca di esperienze collettive e sociali, e la riscoperta della semplicità di formato. Il primo caso in particolare viaggia in controtendenza rispetto all’idea di un medium isolante e individualista. Le arti immersive viaggiano invece verso la ricerca della socialità, trasformando il visore in uno strumento che plasma il modo in cui le persone si relazionano tra di loro e con l’ambiente. Non solo: si insiste sulla necessità di essere fisicamente insieme, pur se virtualmente connessi.
Ed ecco che a Venice Immersive è possibile viaggiare nel mondo onirico di Rencontres (di Mathieu Pradat), una camminata di gruppo in un mondo abitato da bestie giganti, piccoli aeroplani, piogge torrenziali. O è possibile ritrovarsi a collaborare alla risoluzione di un omicidio in In the realm of Ripley (di Soo Eung Chuck Chae) un’avventura fantascientifica che mette in relazione persone con e senza il visore al fine di risolvere un mistero dai pressanti dilemmi etici. La realtà virtuale fa un passo indietro rispetto alla realtà mista (MR, da Mixed Reality), che unisce elementi reali con la loro controparte virtuale: Fragile Home (di Ondřej Moravec e Victoria Lopukhina) è un’installazione che riproduce un’abitazione quotidiana, trasformata poi, attraverso l’ausilio del visore, in una casa travolta dal conflitto che si sta consumando oggi in Ucraina. Impulse: Playing with reality (di Barry Gene Murphy e May Abdalla) utilizza la MR per trattare il tema dell’ADHD, unendo una dimensione ludica con la riproduzione delle testimonianze di persone affette dalla malattia, usando la MR per mettere in relazione il loro mondo (virtuale) con quello fisico (reale?).
A questi si uniscono i mondi in VRChat, spazi sociali esplorabili dentro e fuori l’isola del Lazzaretto Vecchio, che talvolta si trasformano in palcoscenici teatrali per performance nel Metaverso.
Le esperienze individuali
La ricerca della semplicità del formato è esemplificata dal ritorno in auge dei video a 360°. Le esperienze individuali si dividono in due categorie: ci sono le opere a 6DoF (6 degrees of freedom), denominate standalone, e quelle a 3DoF (3 degrees of freedom), ovvero i video a 360°. Se le prime permettono una forma di tracciamento dei movimenti del corpo dell’utente nello spazio, le seconde non godono della stessa spazializzazione, e si presentano come filmati – vicini all’ideale cinematografico del termine – ambientati in location non esplorabili. Tecnicamente più semplici, ma più facili da fruire. Le scorse edizioni hanno visto diminuire la quantità di video a 360° a favore di una maggiore esposizione di opere standalone, ma quest’anno la selezione si è nuovamente arricchita, accogliendo 6 film nella competizione. Opere come Play Life (esperienza collettanea) e A simple silence (di Craig Quintero) adottano il formato a 360° per ricostruire, attraverso una selezione di immagini poetiche e potenti, la visione totalizzante e immersiva di una composizione di quadri – letteralmente nel primo caso, metaforicamente nel secondo. Pur nella loro semplicità, tutte le opere selezionate presentano una qualità eccezionale, che non fa rimpiangere l’impossibilità di navigare lo spazio.
Sempre più reale. I generi cinematografici nei progetti immersivi
Dietro l’organizzazione di Venice Immersive c’è il contributo fondamentale di Liz Rosenthal e Michel Reilhac, i consulenti che, attraverso un accurato lavoro di selezione e analisi delle principali tendenze del settore, ci riportano il meglio che il mondo immersivo ha da offrire. Non c’è da stupirsi che sia tanto centrale la dimensione documentaristica, dove le XR diventano uno strumento per rendere attraenti, spettacolari ed emotivamente coinvolgenti storie reali raccontate attraverso un filtro fantastico. L’anonimo Zhuzmo utilizza la realtà virtuale per ripercorrere gli aspetti più neri della politica Zero Covid in Cina in All I know About Teacher Li, trovando un delicato compromesso tra la presentazione di filmati pubblicati sui social media e la costruzione digitale di un’esperienza immersiva in cui all’utente è chiesto di interagire con le rappresentazioni metaforiche dei post. È toccante anche il già citato Fragile Home, che racconta la guerra attraverso la fedele riproduzione dei suoi spazi privati, esplorabili attraverso un attento utilizzo della MR. O ancora, un video a 360° come Address Unknwon: Fukushima Now (di Arif Khan) che riporta le testimonianze dei sopravvissuti all’incidente nucleare riproducendo tramite l’acquisizione volumetrica e la fotogrammetria gli ambienti sconvolti dal disastro.
Più di tutto, quest’anno le arti immersive adottano un registro poetico per raccontare emozioni, prima ancora che storie. Non vi è certo carenza di esperienze narrativa, ma il formato si presta a sperimentazioni più concettuali: abbiamo quindi opere come The Art of Change, dell’italiano Simone Fougnier e dell’olandese Vincent Rooijers, che utilizzano forme, colori e musica per raccontare un viaggio fortemente metaforico nella vita di un’anonima donna, o ancora esperienze come Earth to Come (di Rose Bond) che parte da una poesia di Emily Dickinson per trascinare gli spettatori in un viaggio sonoro attraverso immagini sintetiche di un mondo in cambiamento.
Un’arte ibrida
La selezione oscilla tra opere dai toni spiccatamente cinematografici ed esperienze più videoludiche e interattive, abbraccia videoarte sperimentale e installazioni artistiche, performance teatrali e show sonori e musicali. Da una parte, questa varietà di formati, idee e tematiche ci ricorda la nascita del cinema e di tutti gli altri media. Prima ancora che si stabiliscano gusti estetici e degli standard coerenti tra mercato, pubblico e pulsioni espressive, si sperimenta con formati che siano al tempo stesso spettacolari per l’unicità del medium e creativi nella ricerca di un linguaggio distintivo del mezzo. Nonostante non sia un medium strettamente nuovo, spazi come Venice Immersive offrono comunque uno sguardo ancora aperto alla ricerca espressiva, fuori dagli ambiti ormai consolidati del gaming.
Tra le XR e il cinema c’è lo stesso legame che un secolo fa univa il cinema al teatro, prima che si stabilizzasse l’idea di un’arte autonoma: il termine di paragone serviva prima di tutto a legittimare il mezzo e a offrire ai potenziali spettatori un appiglio conosciuto. Ma la comunità XR è sempre più grande, e forse non serve già più alcun appiglio – Venice Immersive è quello spazio dove si stabiliscono tendenze, si prende dimestichezza con il medium, e gli si riconosce la stessa autonomia espressiva del cinema, pur senza tradire la magia della scoperta, l’anima sperimentale del mezzo, e la sua essenza profondamente ibrida.