Il puzzle storico Sempre di Luciana Fina mostra come solo cinquanta anni fa fu possibile una rivoluzione pacifica e democratica per sovvertire un regime totalitario. Inevitabile porci la domanda oggi, in un contesto storico del tutto cambiato, ma di cui le basi antidemocratiche emergevano chiare già al tempo della Rivoluzione dei Garofani.
I popoli sarebbero in grado di liberarsi dai lacci che impediscono la libera espressione e i diritti umani nei rispettivi paesi? Luciana Fina non è nuova a questo tipo di ricognizioni d’archivio, specie con materiale portoghese: vive e lavora a Lisbona dal 1991. Dopo una lunga collaborazione con la Cinemateca Portuguesa come programmatrice indipendente, fa il suo debutto registico nel 1998. Da allora, il suo lavoro migra spesso dalla sala cinematografica allo spazio del museo, esplorando le possibilità e il potenziale del cinema nel campo delle arti.
Dialogo aperto tra passato e presente
Sempre ci conduce inevitabilmente ai confini europei di oggi, alle autarchie del Medio Oriente e all’influenza nefasta dei paesi occidentali che, forti di una sedicente democrazia sulla carta, si ritrovano a perpetrare lo stesso colonialismo nei fatti. Oggi si chiama neo-colonialismo (culturale ed economico) come quello che il Portogallo esercitava in Angola e Mozambico fino all’indipendenza di questi ultimi . Attraverso l’uso sapiente e certosino di immagini di repertorio provenienti da cinema, televisione, musica, teatro, e soprattutto materiale amatoriale raccolto durante la Rivoluzione, Sempre ripensa al passaggio dal fascismo alla liberazione e al processo di costruzione di un nuovo Paese.
Citazioni, musica, senso del film
I mezzi di comunicazione si sono da sempre fatti cassa di risonanza dei movimenti rivoluzionari, divulgandone prima e potenziandone poi l’impatto sociale. Un omaggio al cinema, dunque, ma anche e soprattutto al valore documentario dell’immagine audiovisiva che non smette nel tempo di esercitare una fondamentale funzione storica, sociale e politica. Persino Bianca di Nanni Moretti è citato riportandone la traccia audio: Nanni-Michele Apicella riflette sul suo passato giovanile in cui i genitori lo portavano, non sa spiegare il perché, ad onorare la memoria di un certo Otelo Saraiva de Carvalho, in Portogallo appunto. E non è un caso (o una necessità) che Bianca (1984) sia ricordato solo attraverso una citazione sonora: il film infatti intreccia passato e presente, il primo sul piano visivo, il secondo sul piano sonoro. Alla Resistenza dei giovani portoghesi degli anni ’70 si sovrappongono le voci delle manifestazioni attuali contro i cambiamenti climatici. La regista sembra suggerirci: la lotta continua! Non smettiamo di sognare un mondo migliore, continuiamo a dialogare con la nostra identità resistente! Ed è la potente citazione delle parole potenti di Franco Fortini, tra i più importanti intellettuali italiani ed europei del ventesimo secolo, animato da un lucido impegno politico, ad aprire il film.
El pueblo unido jamás será vencido
Un altro elemento inserito nel documentario spiega alla perfezione il senso del puzzle di Luciana Fina e di come si possa evocare un sentimento: le immagini scorrono sulle note della versione portoghese di El pueblo unido jamás será vencido, e l’aggancio emotivo con lo spettatore è pressoché immediato. Ricordiamo qui che la nota melodia venne composta nel 1970 da Sergio Ortega che ne scrisse la musica (in collaborazione con il gruppo musicale Quilapayún, ancora in attività), e il testo, a sostegno del movimento Unidad Popular e della presidenza del Cile da parte di Salvador Allende, morto nel golpe cileno del 1973. La canzone ha poi però oltrepassato i confini del Cile, ed è stata fatta propria da tutti i movimenti rivoluzionari degli anni ’70, compreso quello portoghese; pare che ne esista persino una versione iraniana in lingua persiana e cantata durante la rivoluzione contro la monarchia del 1979. Vi riproponiamo qui la versione originale eseguita dal gruppo storico Quilapayún.
Una melodia-simbolo della lotta per il ritorno alla democrazia tanto in Cile quanto nel resto del mondo.
Un omaggio al cinema e ai mezzi di comunicazione, come i rotocalchi stampati a caratteri mobili e diffusi grazie alla giovane “strillona” intervistata in un documentario dell’epoca, che hanno interferito nella storia e restituiscono oggi l’ipotesi di un momento straordinario. Il film passa dal Salazarismo e dal PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado), alle occupazioni studentesche del 1969. Il Movimento delle Forze Armate del 1974, i sogni, i programmi e le prospettive del PREC (Processo Revolucionário em Curso), il «Verão quente», la decolonizzazione, il femminismo e, riproponendo i gesti di grandi cineasti che entrarono in azione insieme a artisti, cantautori, compositori e registi radiofonici.
Per un’ estetica dell’impegno
No, non c’è un filo narrativo nel film. Ci sono i racconti per immagini riesumati dal dimenticatoio. Ci sono i colori, i gesti, le voci di sentimenti collettivi. Ciò che emerge è un senso di comunità contro, gruppi di uomini e donne uniti sotto una stessa bandiera, uno stesso obiettivo, uno stesso ideale. In questo senso sembrano passati secoli, quando ancora la condivisione di contenuti non passava attraverso i like, ma le piazze, le strade, le riunioni, le rappresentazioni teatrali di corpi che mettono in forma la memoria storica. Interessante la documentazione di come in Angola e in Mozambico esistessero (esistono ancora?) forme catartiche di autorappresentazione dove la liberazione dal colonialismo, l’indipendenza, vengono “messe in scena” in psico-drammi collettivi. Un teatro terapeutico che si fa memoria, politica, autodeterminazione.
E’ possibile credere che le immagini randomiche scorse dalla scroll mind sul cellulare, possano restituirci quel valore di coinvolgimento collettivo capace di sovvertire davvero un sistema? Sembra impossibile, eppure con tutte le informazioni che abbiamo sui genocidi, le persecuzioni, la violazione dei diritti umani perpetrate sul pianeta, non emerge una proporzionale forza aggregativa capace di unire i popoli sotto un’unica bandiera. Le battaglie sembrano le stesse di allora: l’aumento dei salari e la difesa del potere d’acquisto del denaro, la denuncia degli interessi delle multinazionali che fagocitano quelli degli individui, il tema della redistribuzione della ricchezza, l’imperialismo contemporaneo, i movimenti in difesa dei diritti delle donne… ma la frammentazione e la moltiplicazione dei contenuti multimediali, seppure a portata di click, sembrano non avere lo stesso impatto di un cinema di resistenza come quello di ‘Sempre’. C’è ancora spazio per un cinema della rivoluzione.
Sempre di Luciana Fina in anteprima mondiale a Venezia: un incontro tra cinema e storia