The Brutalist è il Leone d’argento per la regia di Brady Corbet alla Biennale di Venezia 2024. Il film ha dato subito uno scossone all’edizione numero 81 della Mostra del cinema di Venezia, fino a quel momento risultata abbastanza tiepida. Le ragioni sono molteplici, innanzitutto una: la pellicola “impossibile” – come il regista stesso l’ha definita in più occasioni – mette d’accordo critica e pubblico perché si posiziona sin dalle prime scene nell’alveo dei film epici e al tempo stesso profondamente raffinati, destinato dunque a rimanere impresso nella memoria dello spettatore.
L’opera mastodontica di Brady Corbet, regista statunitense molto apprezzato a livello internazionale, è frutto di un lavoro di dieci anni, con tutta la fatica che comporta. Dopo una lunga esperienza come attore in film quali Mysterious Skin, Melancholia, Saint Laurent o Forza Maggiore, Corbet decide di smettere nel 2014 per dedicarsi interamente alla regia. Con il suo primo lungometraggio dal titolo The Childhood of a Leader ha vinto il Premio Orizzonti alla miglior regia e il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis al Festival del cinema di Venezia 2015.
A distanza di 9 anni, Brady Corbet torna a Venezia con un’opera della durata di 215 minuti e divisa in 4 capitoli che coprono una durata temporale di 30 anni. La pellicola è incentrata sull’epopea dell’architetto ebreo-ungherese László Tóth, nel film interpretato magistralmente da Adrien Brody, che riesce a fuggire dai campi di concentramento, sbarcando negli Stati Uniti nel 1947. Vive lungamente in povertà, quando improvvisamente un magnate lo introduce al sogno americano, nient’altro che un alternarsi costante di luci ed ombre in una critica finissima agli splendori dell’America dell’epoca.
Il film è prodotto da Brookstreet Pictures, Kaplan Morrison e Andrew Lauren Productions. Distribuisce Focus Features.
La sinossi ufficiale di The Brutalist
The Brutalist racconta la storia dell’architetto ebreo László Tóth emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti nel 1947. Costretto dapprima a lavorare duramente e vivere in povertà, ottiene presto un contratto che cambierà il corso dei successivi trent’anni della sua vita.
The brutalist: un racconto di luce e di buio
Luce e buio si alternano continuamente nella pellicola di Brady Corbet, sin dall’arrivo negli Stati Uniti, una terra promessa necessaria come preludio all’unica meta possibile: l’Israele che non mancherà mai nella storia di Tòth. Eppure quella Statua della libertà rovesciata è solo il presagio di un inganno.
Il prologo mostra una società entusiasmante che accoglie chi vi fa visita e gli consente di trovare piena realizzazione. Poi seguiranno due atti e l’epilogo. In questa scia inizia il trentennio oggetto del racconto, contraddistinto dalla performance magistrale di Adrien Brody e della splendida colonna sonora di Daniel Blumberg.
Il cinema di Brady Corbet
Senza troppi indugi si può affermare che The Brutalist è l’espressione più ambiziosa, dirompente e “inattuale” (con accezione profondamente positiva) di un’idea di cinema che si sottrae a qualsiasi logica di tendenza, che si tratti di produzione o di visione. Il film, girato in 70 mm e quindi di per sé non particolarmente gestibile dalle sale veneziane, è l’acme di un percorso autoriale già cominciato con i suoi lavori precedenti e che qui trova la sua massima realizzazione come affermazione di un cinema che, quando si palesa, attiva i sensi e incanta chi guarda, trasformandolo.
Corbet introduce il pubblico al suo mondo artistico e di senso con una pellicola prodigiosa che di brutale ha tutte le tematiche affrontate: le ambizioni, il potere, le derive umane, il destino ed anche l’arte come tentativo di mostrare tutto questo. Non a caso, il protagonista del racconto è un architetto che si trova in seno alla Storia inconsapevolmente. Europeo nell’America delle grandi occasioni, nel continente delle infinite possibilità, costruisce una libreria “con sguardo rivolto al cielo” per il ricchissimo Van Buren (Guy Pearce). In un chiaro rimando tra vita e arte (di Tóth, ma anche di Corbet), la biblioteca costituisce solo il primo passo verso il successivo e mai completato progetto sulla collina, “impossibile” quasi quanto il film del regista stanutinense.
The brutalist: personale è politico
La bellezza, che è sembre brutale, ricercata da László Tóth nell’esistenza e nell’arte, si rivela una questione al tempo stesso personale e collettiva. La necessità di rivalsa sociale, di sentirsi affermato in una società intrinsecamente razzista, diventa una gabbia di acciaio e cemento armato in cui il protagonista sacrifica se stesso e i suoi legami affettivi per imprimere un segno indelebile sulla terra promessa. Purissimo e folle come i più grandi, il The brutalist di Corbet è il manifesto dell’inconciliabilità di capitalismo ed arte, oggi, domani e per sempre. L’unica cosa che conta è la meta, non il viaggio, dirà Tóth alla fine del film. È questa la sovversione di uno degli ideali cardine del neoliberismo, che riecheggia ancora oggi e su cui lo spettatore diventa immediatamente e irrimediabilmente coinvolto.
Sono Diletta e qui puoi trovare altri miei articoli