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Biennale del Cinema di Venezia

‘April’: la Georgia è un pa(e)saggio di donna

La regista georgiana racconta la storia di un medico incapace di imprimere un reale cambiamento, nonostante la coerenza del proprio agire. Premio speciale della Giuria alla Mostra del cinema di Venezia 2024, prodotto tra gli altri da Luca Guadagnino

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April

Premio speciale della Giuria alla Mostra del cinema di Venezia 2024  April, è il secondo lungometraggio della regista georgiana Dea Kulumbegashvili che si era fatta notare a livello internazionale per il suo primo film, Beginning, premiato al Festival di San Sebastian con l’assegnazione di tutti i premi principali. Presiedeva la giuria il regista Luca Guadagnino, che figura tra i produttori della nuova pellicola. I suoi precedenti cortometraggi, invece, erano stati ampiamente apprezzati in due diverse edizioni del Festival del cinema di Cannes.

Se in Beginning l’universo femminile è osservato da un punto di vista interno ad una comunità religiosa, in April la protagonista è una ginecologa – anche qui interpretata da Ia Sukhitashvili –, che si presta a praticare aborti clandestini alle donne che affrontano una gravidanza indesiderata. La pellicola dalla matrice fortemente autoriale contribuisce a fornire un altro tassello nel racconto del suo Paese, in una modalità sicuramente singolare di tenere insieme la vastità dell’esistenza umana, perlopiù femminile, e della natura, fino a farle combaciare.

Il film è prodotto da First Picture, Frenesy Film (Luca Guadagnino), Memo Films e Independent Film Project. Distribuisce Goodfellas SAS.

La sinossi ufficiale di April

Dopo la morte di un neonato durante il parto, l’etica e la professionalità di Nina, una ginecologa, vengono messe sotto esame per via di voci secondo cui eseguirebbe aborti illegali per chi ne ha bisogno.

April: dentro al personaggio di Nina

Che l’esistenza abbia una sua intrinseca ed evidente religiosità è una delle premesse del cinema di Dea Kulumbegashvili, che nel suo April problematizza questo assunto di base conferendo alla protagonista un ruolo che la costringe a posizionarsi dalla – presunta – altra parte della barricata: quella della scienza e del suo rigore metologico ed etico.

Nina è una ginecologa – lo si capisce subito in una delle primissime scene del film – che esercita la professione in un piccolo villaggio della provincia georgiana. Ancor prima di questo, si comprende che la natura, intesa nelle sue estensione, indomabilità e bellezza, è ciò che resiste ad ogni tentativo umano di dirigerne il corso, cambiare rotta. La regista, per il tramite di Nina, sembra asserire che siamo esseri fallibili e le nostre gesta, per quanto epiche, sono destinate a rimanere un cumulo di fallimenti.

Nina è un medico che vive della sua missione. Se le gravidanze sono espressione del volere di Dio, sua prerogativa è espugnarlo perché le donne del villaggio devono poter scegliere quando e se essere madri. Allora, gli interventi chirurgici in una casa in campagna e le iniziative illecite volte a fare prevenzione diventano per la protagonista l’unica scelta possibile, anche a costo di mettere a rischio se stessa.

Le dicotomie presenti in April

Nina è un personaggio che, a suo modo, appare esemplare. È dotata della massima empatia, ma è anche totalmente incapace di creare legami. La struttura narrativa del film acuisce questa evidenza eliminando, quasi del tutto, ogni forma di contatto fisico e verbale. I dialoghi sono, infatti, ridotti all’osso e non vi è alcuna manifestazione di coinvolgimento corporeo – nemmeno negli atti sessuali – né affettivo. La solitudine a cui Nina si ostina è un atto viscerale – seppur solo ad uno sguardo attento – di libertà individuale di un soggetto che si fa toccare dagli altri (specialmente dal loro dolore) ad un livello più profondo, ma mai per beneficiarne.

Forse Dio ci manda le avversità così da imparare a superare il dolore.

La camera ha una sola modalità di riprendere la scena: le sta dinanzi apparentemente immobile, non segue i personaggi, né le vicende nel loro dipanarsi. Eppure si agita come ondeggiante e poi stacca e via con la sequenza successiva. Ogni scena non è mai filmata integralmente; c’è sempre qualcosa che resta “non visto” o, meglio, escluso alla vista senza che sia necessariamente rilevante ai fini narrativi. È come accettare, fatalmente, che non ci è dato osservare tutto, ma che un punto di vista provoca necessariamente la dispersione di ciò che non (si) comprende, lasciandolo sommerso.

April: un film autoriale che pone quesiti filosofici

Se la natura spinge per prendersi tutto lo spazio che c’è (finzionale e non) – suggestive le scene in cui la camera indugia sui temporali scroscianti o il susseguirsi delle gravidanze -, i comportamenti e le azioni di Nina tentano di perimetrare questa superficie fisica e narrativa, con la risultante di un operato più vicino alla morte che alla vita, non solo perché come medico interviene sulle gestanti. Nina incarna la contradditorietà delle implicazioni umane, che nel femminile si amplificano. Dopo ogni aborto, che di sicuro è per lei la cosa giusta da fare, Nina si trasforma in una creatura avvizzita e mortifera che ha la sua unica consolazione nel farsi cosa tra le cose della natura e quindi tornare al principio del domandare. È realmente possibile provocare un cambiamento oppure siamo solo esseri in balia degli eventi?

Il secondo lungometraggio di Dea Kulumbegashvili ha l’ardire di portare nel suo cinema enormi quesiti filosofici, con una resa che riflette solo in parte questo sostrato febbrile delle intenzioni della regista. Non convincono, infatti, lo stile minimalista, l’andatura con scarso movimento visivo e il tono glaciale della sua direzione narrativa. Resta, in ogni caso, un tentativo audace e apprezzato di promuovere una cinematografia autoriale che fa riecheggiare questi temi nella mente del pubblico anche quando le luci della sala si spengono.

Sono Diletta e qui puoi trovare altri miei articoli

April

  • Anno: 2024
  • Durata: 134'
  • Distribuzione: Esther Devos - Goodfellas SAS
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Georgia
  • Regia: Dea Kulumbegashvili